Probabilmente i maggot italiani lo sapranno già ma domani, 5 ottobre, è un giorno molto importante per gli Slipknot. Uscirà al cinema, per un solo giorno, Day Of The Gusano, il docu-film girato durante una mastodontica data dei ragazzi dell’Iowa a Città del Messico.
Un live gigantesco, soprattutto grazie alla spaventosa fanbase che gli Slipknot hanno in Messico. Nonostante ciò, la band non si era mai esibita nella capitale prima del The Day Of Gusano che dà il titolo al film. Motivo per cui—guardare il trailer qui sopra per credere—l’eccitazione collettiva aveva motivo di essere tanta.
Eppure, per qualcuno come il Shawn Crahan, ovvero il percussionista che si nasconde dietro la maschera da clown, il Knotfest a Città del Messico è stato soprattutto una grande fatica, dovendo giocare il doppio ruolo di artista sul palco e regista del docu-film. Tutta fatica ripagata però, perché per Shawn alla fine queste cose sono «come il sesso».
La lista dei cinema dove verrà proiettato Day Of The Gusano è vasta ma non infinita, cercate il più vicino a voi sul sul sito ufficiale.
Ho notato che anche nel tuo entourage ti chiamano Clown.
È soprattutto una cosa dei fan. Sono loro a chiamarmi così. Tutti gli altri—tranne mio padre e mia madre che sono morti—mi chiamano Shawn.
Cosa significa quel “Gusano” nel titolo del film?
L’hai già visto?
No, non ancora.
“Gusano” in spagnolo significa verme [in inglese maggot, ndr].
Chi è stato il primo a chiamare maggots i vostri fan?
Sono stato io, più o meno ai tempi del primo album. L’ho fatto perché i vermi mangiano la merda. Si nutrono delle peggiori cose, eppure poi gli crescono le ali e si trasformano in splendide mosche. Sono eccezionali, proprio come i nostri fan.
Nessuno si è mai offeso per essere paragonato a un insetto che mangia merda?
Tutti mangiamo merda. Ogni giorno siamo costretti a vivere una condizione orribile, quella umana. La musica degli Slipknot è qui per aiutare i vermi a diventare mosche. Qualcosa su cui puoi contare, qualcosa che ti aiuti a superare il giorno e ti faccia crescere le ali per lasciarti volare per il mondo e imparare. Offendersi è un problema di chi non ci prende sul serio, di chi mischia le cose a cazzo. E noi non facciamo nulla senza una ragione dietro. Ricordo all’inizio fan arrabbiati per il termine maggots. Persino Joey [Jordison, l’ex batterista, ndr] odiava quella parola. Pensava che fosse maleducato nei confronti dei nostri fan, che non fosse carino chiamarli così. In ogni caso, non faccio e soprattutto non penso nulla se dietro non c’è una ragione precisa, un’idea che vada più a fondo della semplice parola. Non mi frega se la gente non capisce il termine, io e i fan sappiamo il vero significato. Niente di quello che diciamo è così semplice.
Che effetto fa essere l’ultimo membro originario della band?
È dura. Mi mancano tantissimo gli altri con cui ho fondato il gruppo. Ma non voglio cambiare nulla rispetto a come è adesso. Non voglio nemmeno spendere troppo tempo a parlare di Joey, però è una persona importante per me. Fa parte della mia vita ed è stato protagonista della nostra storia tanto quanto me. Non posso dimenticare il passato, né tantomeno che io e Paul Gray abbiamo fondato questa band con in mente una cosa sola: la ferocia. Ora non voglio sputare nel mio attuale piatto, però sono l’ultimo membro a incarnare ancora quello spirito rude delle origini, l’unico che rappresenta ancora il concetto iniziale della band. Alla fine, ognuno nella band deve pensare a sé stesso, a crescere e diventare un uomo. Sai, mettere su famiglia. Ognuno pensa alla propria vita e io mi sento l’unico portatore dell’impulso, della rabbia primordiale che ha generato gli Slipknot. A volte mi sento solo in questo contesto, con le spalle al muro cercando di mantenere l’identità della band. Non fraintendermi però, tutto deve cambiare. Sia io che gli Slipknot. Ma è mia personale responsabilità che questo cambiamento rimanga coerente con chi si è innamorato della band nel 1999. Certe cose però devono rimanere immutate, come il fatto di chiamare maggots i nostri fan.
Non bastasse, oltre che membro devi anche fare da regista dei video e dei documentari della band, come nel caso di Day Of The Gusano. Lo fai per piacere o perché senti sempre questa responsabilità?
Fare arte per me non è divertente, semmai è come il sesso. Sta oltre il divertimento, è pura euforia. Mi fa stare bene, male, mi fa piangere. D’altra parte, fare anche il regista è un incubo. Mettiti nei miei panni: devo suonare per un’ora e quaranta minuti sul palco, senza poter dirigere i movimenti delle telecamere in regia. Quindi devo fidarmi di qualcuno, i cameraman, a cui ho chiesto di fare una determinata cosa. Il problema nasce quando i cameraman vogliono fare gli artisti pure loro, facendo un po’ il cazzo che gli pare. Alla fine dello show devo arrangiarmi con il materiale che ho, che non è mai come l’ho chiesto. Mai, cazzo. C’è bisogno di almeno due o tre telecamere per ogni membro sul palco: una fissa da davanti, una sullo strumento e una dal lato del palco. Se ognuno fa il suo lavoro, il lavoro del regista è molto più semplice. Morale della favola? Quando chiedi a un cameraman di inquadrare espressamente una persona in un momento preciso, puoi stare certo che lui inquadrerà qualcun altro. Un cazzo di incubo, è stato un cazzo di incubo e sai una cosa? Ho chiuso con gli errori e con gli incubi. Non ne posso più. Per il prossimo album prenderò gli insegnamenti imparati in vent’anni di carriera e ne verrà fuori la migliore opera che abbiamo mai fatto. Prossima volta nessuno dell’etichetta mi dirà il giorno del concerto: “Oh, scusa! Abbiamo 4 cameraman anziché 9!” Col cazzo, la prossima volta voglio tutto scritto nero su bianco in un contratto.
State lavorando al nuovo album, quindi?
Sì, ci stiamo lavorando su. L’ultimo album è stato in tutto e per tutto una fatica organizzativa. Primo perché il nostro bassista Paul Gray è morto e quindi abbiamo speso almeno due anni in tour a piangerlo insieme ai fan. È stato difficile iniziare a lavorare su un disco, .5: The Gray Chapter, senza poter contare sull’apporto di Paul e onestamente anche di Joey. Non solo dovevamo fare un disco, ma anche trovare qualcuno che potesse rimpiazzare due membri. Molto lavoro spirituale è stato fatto e, dopo una decina di mesi di tour, ci siamo chiusi in studio per suonare. Quattro settimane fa è successo lo stesso, ma questa volta è stato diverso perché abbiamo praticamente concepito un album mentre eravamo in tour. Ora abbiamo una quantità allucinante di materiale, sia di jam session che di pepite.
Pepite?
Sì, come le pepite d’oro [in inglese gold nuggets, ndr]. Quando fai una buona jam session da cui ricavarne pezzi interessanti, allora hai per le mani una pepita.
Capito. Beh, siete a buon punto.
C’è una marea di ottimo materiale praticamente pronto. Non mi sono mai sentito più sicuro di me prima d’ora. A gennaio ci troveremo di nuovo e altro materiale si aggiungerà. Dopodiché, cinque o sei mesi dopo, ci incontreremo ancora una volta e a quel punto sarà il momento prendere le pepite, farne dei pezzi e registrarli. A quel punto avremo talmente tanti pezzi, anche 40 o 50, che magari ne nascerà un concept album oppure un doppio album. Siamo davvero impazienti di dare ai maggots un sesto album. Se lo meritano, hanno aspettato tanto.