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God Save King John

Siamo andati a Malibu a trovare il re del punk. Ci ha parlato del nuovo album dei Public Image Ltd ‘End of World’, della causa coi Sex Pistols, di cos’è il vero punk (non è quello degli americani, troppo intellettuali), delle ceneri di Sid Vicious e di quelle della moglie Nora. Furore ed empatia: che Dio lo benedica

Foto: Chiara Meattelli per Rolling Stone Italia

Stessa strada, stesso oceano, stesso litorale californiano, è apparentemente un giorno come tanti. Mentre guido non faccio altro che pensare a quanto tutto sia uguale, a quanto nulla sia cambiato dall’ultima volta. Siamo sempre noi due, io e lui, a casa sua, intervista per Rolling Stone, nuovo album, nuovo tour. “L’ultima volta” è un’espressione che indica l’inesorabile trascorrere del tempo, il lento degrado che sottolinea il passaggio da una condizione migliore a una peggiore, che sgolandosi urla ai quattro venti quanto sei fucking invecchiato.

Il lui in questione è John Lydon in arte Johnny Rotten, king of punk, famoso infame e iconico frontman dei Sex Pistols, da decenni cantante, autore e mente creativa dei Public Image Ltd, gruppo inglese i cui membri oltre a lui sono ora il batterista Bruce Smith (ex Pop Group, ex Slits), il chitarrista e cantante folk Lu Edmonds e il bassista con origini musicali jazz Scott Firth. Sono qui per il loro nuovo album End of World che uscirà l’11 agosto e per il tour che toccherà l’Italia il 30 ottobre ai Magazzini Generali di Milano.

L’ultima volta che l’ho visto è stato nel 2015, a casa sua a Malibu, in occasione del lancio di What The World Needs Now… e tranne due righe di congratulazioni per il 40esimo anniversario della band tre anni dopo non ho avuto alcun contatto con Lydon, se non ascoltando vecchi dischi dei Sex Pistols e dei P.I.L. In quell’occasione, mi presentati con una six pack di Corona. Oggi, dovendolo incontrare alle 10 del mattino, mi presento con pane e nutella, non troppo salutare ma egualmente breakfast of champions. Codice segreto, si entra e la prima cosa che vedo – John non è ancora pronto – è la casa-giardino-veranda tutta addobbata con bandiere americane e Union Jack, ricordo della recente festa della incoronazione.

«Bullocks! What a joke Charles! It took Camilla 52 years to become Queen». Stessa voce, stesso taglio di capelli, stesso colore biondo paglia («mai visto una tinta che non abbia voluto provare»), stesso sguardo inquisitorio ossessivo alienato che aveva quando cantava a squarciagola God Save the Queen per cui ha rischiato di finire in galera per il reato di tradimento e offesa alla fucking Regina. Ma questo accadeva anni fa. Ora invece arriva con un sagoma di cartone della coppia reale Charles III & Camilla. Da Big Bad Johnny, come ama chiamarsi, non esita a prenderli per il culo, prestandosi a farsi fotografare nella parte di Camilla.

Finito il rituale, ci sediamo. Nonostante pane e nutella, apre un mini frigo contenente una cinquantina di Corona, la sua birra preferita. Mi passa l’apribottiglie: «You do the honor, bastard!».

Sono passati otto anni dal vostro ultimo album. Perche?
Coi PIL bisogna saper aspettare. Non seguiamo un programma aziendale, ma una volta prenotati concerti e tour non deludiamo mai. Un concerto dei Public Image Ltd è una cosa meravigliosa, imprevedibile. Venite con la mente aperta e lasciate ogni animosità fuori dal locale perché questa è la nostra chiesa, una chiesa senza religione. Preti bastardi! Ho sempre pensato al confessionale come a una forma di perversione, preti che chiedono i peccati ai bambini e poi li senti godere come pazzi. Che pecccati dovrebbero commettere bimbi di 9, 10 o 11 anni?

All’inizio di quest’anno, i PiL hanno pubblicato Hawaii, una lettera d’amore a tua moglie Nora che è poi morta nell’aprile 2023 dopo una battaglia contro l’Alzheimer.
Prima di morire, ha ascoltato l’album e lo ha amato. Dovevate vederla mentre lo sentiva, saltava e ballava seguendo il ritmo della musica.

Perché Hawaii?
Perché amiamo quelle isole, abbiamo trascorso lì delle vacanze fantastiche quand’eravamo giovani. È una canzone triste, il ritornello “aloha” si può interpretare sia come “ciao”, sia come “addio”, e lei che l’ha sentita in vita era abbastanza intelligente da saperlo. È stato difficile eseguirla dal vivo per la televisione irlandese (alle selezioni per l’Eurovision, nda) perché Nora era ancora viva. Ero lontano da casa e sapevo che poteva morire da un momento all’altro, è stata una tortura. Ma ce l’ho fatta e le ho mostrato il video dove indosso un completo rosa. La canzone in sé risale a circa otto anni fa, quando il chitarrista Lu Edmonds stava provando a giocare con una musica hawaiana sdolcinata, l’ho subito adorata.

Foto: Chiara Meattelli per Rolling Stone Italia

Come hai conosciuto Nora?
Vide un concerto negli anni ’70 e venne venne da me, incazzata: «Mi hanno detto di non parlare con te, boy». Assalito verbalmente sono stato altrettanto scortese. Abbiamo iniziato a litigare come due matti. Ed è stato un round così bello che è durato una vita. Litigare è un bene perché svela segreti e risentimenti, e ci ridi sopra quando ti rendi conto di essere stato un coglione. Non parlare apertamente è la morte by ghigliottina di una relazione. Un po’ come scordarti di abbassare l’asse del cesso (ride).

E il resto dell’album?
Con questo fanno tre dischi con questa formazione. È la prima volta nella mia vita e probabilmente anche in quella degli altri che siamo stati in una band così bene e così a lungo. Fuck, la colpa è delle case discografiche, sono loro la causa delle frizioni, interferiscono, dicono stronzate che qualcuno prende sul serio e così provocano attriti e rompono i coglioni, spingendo le persone ad andarsene. Io invece quando prendo un impegno con qualcuno o qualcosa ci rimango finché vivo, a meno che la situazione non sia insopportabile. Ed eccoci qui, con tre album. Non abbiamo nessuno a cui rendere conto se non noi stessi e ci piace così. Tutto filava bene… finché non sono arrivati i cazzi.

Quali cazzi?
Subito dopo l’ultimo album la situazione è cambiata per via della malattia di Nora. Poi è arrivato il Covid che ci ha rovinato finanziariamente e nel mezzo di tutto ho avuto una bloody fucking causa in tribunale con quei fucking Sex Pistols che ora sono solo dei prodotti cazzoni della Disney. Si sono uniti alle multinazionali, diventando così il nemico, l’antitesi di ciò che dovremmo rappresentare. Quindi ecco, niente più Pistols. Nora stava male e non avendo i mezzi finanziari per combattere la Disney Corporation siamo quasi finiti sul lastrico. E avevo bisogno di soldi per il trattamento medico di Nora. In America non ci sono fondi governativi, né mutua. E l’Alzheimer è fucking costoso. Sono diventato l’assistente di Nora 24 ore su 24, 7 giorni su 7, il che ha reso difficile scrivere canzoni o pensare ad altro che non fosse la consapevolezza che alla fine sarebbe morta per questa orribile malattia. Ma volevo fosse un periodo il più possibile felice per lei, e con l’umorismo e l’amore credo di esserci riuscito. E mi ha permesso di avere un po’ di libertà per poter scrivere canzoni su esperienze diverse da quel percorso doloroso. Incoraggiato anche da Nora, sono nate le altre canzoni, da 19 le abbiamo fatte diventare 13, e siamo entrati in studio l’anno scorso. È stato un percorso molto duro e difficile, ma la vita è così, no?

Foto: Chiara Meattelli per Rolling Stone Italia

C’è qualcosa che lega le canzoni?
Trattano di argomenti molto diversi, ma di base parlano di come le persone sono imprigionate nella loro stessa mente. Car Chase parla di un mio amico che è stato mandato in un ospizio e che di notte scappava, usciva e provocava il caos, rubando auto e rapinando supermercati a 79 anni. Mi piaceva l’idea… e poi è importante rispettare gli anziani e il nostro passato.

Perché è importante il passato?
Credo abbia a che fare con le mie origini celtiche. In Strange descrivo questa connessione. Gli alberi sono i miei punti fermi. Non venero statue di esseri umani, ma la natura stessa. Al giorno d’oggi, i giochi di guerra creano morte e paura al fine di manipolarci, per renderci insensibili nei confronti degli altri, per far sì che non proviamo empatia. Perché siamo sempre contro qualuno? Perché è sempre noi contro loro? Credo nella coesistenza pacifica e con le mie parole ho sempre voluto una cosa sola: empatia. Se fossi un uccello, e credimi lo sono, allora mi sento libero come un uccello. Ho bisogno di due ali per volare. L’ideologia, che sia di destra o sinistra, è manipolazione che ci spinge nella follia e ci fa dubitare di noi stessi. Noi invece cerchiamo solo equlibrio.

Pensi che la nuova generazione possa capire i PIL?
I giovani escono da questi cosiddetti luoghi di istruzione superiore, dalle università, e non hanno alcuna capacità di discussione. Non sono in grado di discutere di nulla, sanno solo vietare alle persone di dire cose diverse, è stata tolta la libertà di pensiero. Sono istituzionalizzati, non istruiti. Quando chiedi qualcosa che non sanno prendono il telefono e vanno su Google. Sono dei perfetti pappagalli. Non approvo la censura, mai e poi mai. Ma se qualcuno vuole spiegarmi le sue teorie, lo ascolto. Però le devi anche provare coi fatti. Vorrei che la nuova generazione imparasse a non ascoltare chi vuole dividerci.

Come lavora la band insieme?
Bruce Smith è un batterista molto figo, con un senso del ritmo unico. È cresciuto con James Brown, per poi suonare reggae, funk, jazz, fusion. Ha uno stile spettacolare. Non andiamo sempre d’accordo, ma rispetto la sua cultura musicale. Scotty Firth, beh, voglio dire, è proprio un altro mondo, tecnicamente è un camaleonte, è in grado di suonare con chiunque, da Stevie Winwood alle Spice Girls. Ha un’apertura mentale che non posso che ammirare. È stimolante lavorare con lui. Sono tutti incredibili. PIL è il modo in cui il rumore, il suono viene creato, laddove le parole non sono necessarie. Cerco di abbattere barriere e regole, perché alla fine tutti noi crediamo che le regole siano per gli sciocchi, i pazzi e i venduti. E quindi il processo di scrittura delle canzoni è libero, divertente, democratico, ci prendiamo i nostri momenti da soli in studio per poi ritrovarci. Senza odio, né animosità. C’è solo il torto e la ragione, una canzone bella contro una brutta.

Foto: Chiara Meattelli per Rolling Stone Italia

Il prossimo tour?
Inizieremo in Europa, partendo dalla Gran Bretagna. Verremo a Milano. Adoro suonare in Italia, Torino, Venezia, adoro l’atmosfera italiana, imprevedibile. Senza voler offendere Mark Knopfler, la musica serve a comunicare e non per educarci ai corretti principi musicali. È per comunicare. È un altro linguaggio.

Il tour più bello? E il peggiore?
Parigi per noi ha sempre rappresentato un problema. I parigini nei nostri primi concerti erano terribili. Snob e senza emozioni. E seguivano le recensioni di questi giornalisti senza palle. Quando salivamo sul palco urlavamo come bestie incazzate. E più eravamo incazzati e più il pubblico era pietrificato. Noi urlavamo la rabbia e dall’altra parte c’era un silenzio di tomba. Fucking scary. Ma un po’ alla volta, con la rabbia, li abbiamo conquistati. Ci hanno capiti. Urlavano e anche loro e dicevano: «Merda! Non posso stare seduto e far finta che questa musica non significhi niente, non posso andarmene, voglio ascoltare!». Così hanno imparato a dare un contributo. Perché il dono più grande di tutti i concerti è quello del pubblico che contribuisce a nutrire i musicisti con la loro energia. Il pubblico è la forza trainante. Quando li vedi che si esaltano, ecco, allora divento me stesso.

Come vedi oggi il tuo contributo al punk?
I Sex Pistols sono nati in Gran Bretagna e non potevano nascere da nessun’altra cultura. Pensare a una versione della scena punk newyorkese è una follia. Un pensiero folle e illogico. Qualsiasi cosa fosse la scena newyorkese, era fatta per lo più da gente più vecchia di noi, legata alla poesia simbolista di Rimbaud e a robe del genere di cui a noi non fregava un cazzo. Gli storici della musica cercano di raccontare cazzate per inscatolarci. Noi ascoltavamo Bowie, Alex Harvey, Slade, Marc Bolan & T. Rex.

Che musica ascolti in questo periodo?
Al momento niente perché mi sto preparando al tour. E poi ho troppi ricordi con Nora ed è difficile sentire qualsiasi cosa perché con lei ho ascoltato di tutto e mi manca troppo. Non sono mai riuscito a comprendere e accettare la morte. Ma ho capito che è inevitabile. Dormo con le sue ceneri accanto a me. Quando me ne andrò, voglio mischiarmi con lei. E sarebbe bello se ci disperdessero alle Hawaii. Non posso portare le sue ceneri in giro con me perché mi ricordano Sid Vicious e sua madre (ride). Quando Sid venne cremato, portò le ceneri in Inghilterra e giunta all’aeroporto di Heathrow la dogana le chiese cosa fosse quell’urna e lei parlandone la fece cadere. È giusto che anche voi lo sappiate, le ceneri di Sid fluttuano ancora oggi attorno al condizionatore d’aria del cancello d’imbarco numero 12.

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