La vita di Goldie ha più aneddoti di molta gente che si è ingiustamente meritata un biopic. Metà scozzese e metà giamaicano, Clifford Price è stato abbandonato dalla madre a 3 anni, cosa che lo ha messo nella scomoda condizione di doversi arrangiare subito per evitare un’esistenza tra orfanotrofi, carceri o peggio. Invece, in 51 anni compiuti da poco, Goldie ha fatto lo street artist a New York, venduto denti d’oro a Miami, è stato fidanzato con Björk, ma soprattutto ha dato alla drum and bass l’attenzione che meritava. Il suo nuovo album, The Journey Man, riassume gli ultimi 25 anni della sua carriera da dj e produttore, ora in pianta stabile in Thailandia. Per quanto ci possa essere “stabilità”, quando si parla di Goldie.
Come mai la Thailandia?
Perché così posso fare musica migliore. Vivo a Phuket, vicino alla giungla. Conosci un posto migliore per fare jungle (sottogenere della drum and bass, ndr)?
Direi di no. Sei tu il Journey Man del titolo?
Sì. Finora è stato un unico lungo viaggio per me, ma non voglio fermarmi. C’è scritto The Journey Man, non The Journey Man End.
Un viaggio lungo per un album davvero lungo, come non se ne vedono più.
Alla fine c’è un motivo se si chiamano Long Play, no? Ormai sono spariti, specie nell’elettronica. La scena sembra più un circo pieno di persone che si vestono bene. La stanno passando liscia, ma sono colpevoli di averla uccisa. Contano solo i soldi e quanti ragazzini possono comprare i dischi con la carta di credito di papà. Io faccio musica per adulti. Se poi sei un ragazzino e ti piace quello che faccio, beh, bonus.
L’ultima volta che ti ho visto eri al telegiornale, incazzatissimo, perché era stato chiuso il Fabric. Sei contento ora che l’hanno riaperto?
Molto. Ho parecchio a cuore la club culture, venendo da lì. In Germania, invece, hanno capito l’importanza della musica underground. La gente comunque troverà il modo di uscire e andare a ballare.
L’hanno riaperto, ma ora all’ingresso trovi più controlli di sicurezza degli aeroporti.
È come quando vai a sciare con la famiglia. Ci vai a sciare?
Sì, ma non ci sono gli stessi controlli.
Ci arriveremo, fidati. Più ci saranno controlli e più i ragazzi ci andranno pesanti con le droghe. Più sicurezza c’è e più ci sono terrore, terrorismo e paura di innocenti come i migranti. Gli esseri umani diventeranno sempre più una parodia di se stessi.
Qui in Italia c’è l’Esercito per strada, ma non c’è mai stato un attacco terroristico.
Spaventoso.
Torniamo a noi. Ne hai vissute di tutti i colori, hai qualche rimpianto?
Per niente. In ogni caso la vita ti insegna sempre qualcosa, anche se fai degli errori. Io ne ho fatti parecchi e credo ne farò ancora.
Hai persino recitato in un film con David Bowie.
Io e David stavamo lavorando insieme a fine anni ’90. Questo mio amico stava scrivendo il film, così ho chiesto a David se volesse partecipare. La sua risposta è stata: “Sì”. (Ride). Fa ridere perché è stato semplice. Sono stato molto fortunato a poter lavorare con lui.
E nel tuo secondo album del ’98, Saturnz Return, Bowie canta anche su un tuo pezzo.
Esperienza fenomenale. Voleva fare un pezzo drum and bass e io gli ho detto: “Scordatelo”. Volevo essere più creativo, volevo il David Bowie sempre controcorrente. Sono molto legato a Truth, tanto che nel nuovo album l’ho rivisitata. È un po’ come se, con il nuovo disco, avessi “certificato” 25 anni di influenze musicali. In Castaway puoi sentire l’odore di metro e di pizza della prima volta a New York, c’è l’emozione del primo live di Prince che ho visto. Horizons parla di quando vai in un posto nuovo, mentre This Is Not a Love Song è dedicata ai primi amori, quando hai casa libera e inviti una ragazza. Poi Prism: che fine ha fatto la drum and bass? Come deve suonare quella del futuro? A un certo punto, ci siamo dimenticati di un genere musicale bellissimo che non è mai diventato adulto.
Sono totalmente d’accordo.
Quello che mi sento dire da 15 anni è: “Che è successo alla drum and bass?”. Beh, quando un genere diventa famoso, la gente comincia a farlo secondo una formula sempre identica, gentrificandosi, appiattendosi.
Hai fatto tutto in Thailandia?
La cosa incredibile è che l’album è stato realizzato tutto in remoto. Per due anni e mezzo ho annotato su un quaderno le idee dei brani, poi ho cantato tutto – testi, melodie, arrangiamenti – al telefono a qualcuno. So già la tua prossima domanda.
Allora rispondimi.
L’ho fatto per mostrare l’alchimia pura della creazione. È già tutto nella mia testa. Dovevo solo cantare le parti di voce ai cantanti dall’altra parte del mondo, ricevere le registrazioni, correggerle e poi rimandarle. Quando tutte le demo erano pronte, sono andato a Londra e in otto settimane abbiamo registrato tutto l’album. Ecco perché ti dico di ascoltarlo.
Nell’ordine esatto dei brani?
Così. Ora rispondimi tu: quand’è che capisci di stare guardando un film incredibile?
Non saprei, forse subito.
Nel secondo tempo! È lì che cominci a pensare: “Questa è regia!”. Mi ha ispirato molto Kubrick, perché non ho mai fatto ascoltare ai cantanti degli arrangiamenti di archi, né ai musicisti delle parti di voce. Ognuno ha la propria parte, ma nessuno deve influenzare il mio lavoro. Io sono un regista, non un produttore. It’s a dirty fucking job, man.