Dopo il successo di Toska, che ha riportato nell’indie italiano una sferzata di post-rock punkeggiante, i Gomma – al loro secondo album – hanno fatto la cosa migliore che potessero fare: ricominciare da capo. Sacrosanto sembra un disco di esordio. Quando lo dico ai ragazzi – Giovanni, Ilaria e Paolo – seduti in un bar di Napoli, spero che non la prendano male. Per fortuna no.
Giovanni: Mi fa piacere, perché io la vivo così. Non mi riconosco più in Toska, mi sono pentito di molte cose che ho scritto. Se potessi tornare indietro, non lo scriverei uguale.
Addirittura, perché?
Giovanni: Perché per quanto fosse un disco sincero, c’era molta superficialità e inutilità nei temi.
Ilaria: Per me non è proprio così, lo vedo come qualcosa che appartiene al mio passato, ma non sono pentita. Di sicuro in questo album sento un’urgenza più nostra. Abbiamo fatto quello che non siamo riusciti a fare con Toska, scartare un sacco di roba.
Giovanni: Ti dico solo che ho 326 registrazioni sul mio computer.
In che senso?
Giovanni: Registro tutto quello su cui lavoriamo, in maniera rozza, col microfono del Pc, e ieri ho visto che avevo fatto 326 registrazioni. Di tutta quella roba nel disco saranno rimaste una decina di cose.
C’è unanimità quando decidete cosa scartare?
Paolo: No!
Giovanni: No.
Ilaria: Non è vero, diciamo che se due su quattro non sono convinti, ne teniamo conto.
Ma eliminate in fase di scrittura o anche a pezzo finito?
Ilaria: In fase di scrittura, quindi non è una perdita tragica. Però c’è stato anche un pezzo che abbiamo scartato alla fine. Si chiamava Compleanno.
Giovanni: Prima aveva pure un altro titolo: Istruzioni per piangere.
Ilaria: In realtà il pezzo mi piaceva, ma non riuscivo a cantarlo, abbiamo provato a lavorarci in tutti i modi, l’abbiamo cambiato un sacco di volte e alla fine l’abbiamo scartato.
Giovanni: Quando ti accanisci e cominci a fare tutte quelle prove, significa che qualcosa non funziona.
Paolo: Adesso però ci mettiamo a cambiare pure i pezzi vecchi per i concerti.
Giovanni: Fanno talmente schifo!
Ma poi il pubblico non vi perdona, se non può più fare il karaoke.
Ilaria: Sì, infatti. Stiamo cercando di mantenere una struttura riconoscibile, ma vogliamo suonarli in un modo che ci piaccia oggi.
C’è un pezzo che proprio non vi va di suonare?
Ilaria: Sì, quello che ci chiedono sempre: Vacanza. Ecco, ad esempio, quello oggi sarebbe tra gli scarti.
Mi fa un po’ impressione che sentiate già una distanza così netta dal passato, nonostante siate giovanissimi. È un tema presente pure nei vostri testi, penso per esempio a Quarto Piano.
Ilaria: È uno dei pochi pezzi scritti a tavolino da me e Giovanni. Volevamo trovare un qualcosa che ci riguardasse entrambi, e così gli ho detto: “Hai presente la sensazione di quando provi a ricordare un posto in cui non vai da tanto tempo perché è troppo legato a qualcuno, e non ti ricordi più l’odore che ha?”. E lui mi ha risposto subito: “Sì!”.
Ma è un bene che quell’odore si sia perso o c’è più un senso di nostalgia?
Ilaria: Tutte e due le cose. Tipo: è bello pensarci, anche se non me lo ricordo.
Aldilà del titolo, ci sono un po’ di riferimenti religiosi nei testi. Mi sembra ci sia un aspetto liturgico-rituale da chiesa cattolica, ma anche un sentimento più trascendente.
Ilaria: Per me la religione significa credere in qualcosa. Sono affascinata da chi dà tutto se stesso per qualcosa di astratto e ineffabile. Quando ero più giovane, avevo solo un atteggiamento di rifiuto, davo di continuo del democristiano a mio padre, poi mi sono ritrovata a scrivere questi pezzi e a pensare a quanto avesse ragione.
Cioè sei diventata democristiana pure te.
Ilaria: (ride) Sì, esatto.
Ma tuo padre apprezza quello che fai? Gli piace la tua musica?
Ilaria: Sì, molto, ma mi dice sempre: “Devi urlare di più!”. Ha una formazione punk.
E invece quali sono le cose da democristiano che ti dice?
Ilaria: Ricordo che prima di andare a Diamante, in Calabria (dove ho una casa), per finire di scrivere un pezzo, mi aveva detto: “Ricordati di santificare le feste”. E poi ho capito cosa intendesse: “Dai un valore alle cose importanti”.
Giovanni: Però dopo tutto il predicozzo che facciamo in Santa Messa, chiudiamo in maniera ironica, per alleggerire.
Ilaria: Sì, Giovanni ha trovato quella chiusa perfetta: “Andate in pace”. Giovanni: C’era un che di liberatorio, del tipo: “Va bene tutto, prendetevi sul serio, ma ora andate a farvi la vostra vita!”.
Qual è stato il momento collettivo più bello da santificare da quando ci sono i Gomma?
Giovanni: Ognuno ha il suo.
Vabbe’, ho capito, devi sempre fare il nichilista, ma ce l’avrete avuto un momento di gioia condivisa?
Giovanni: A gennaio scorso, verso la fine del tour, volevo mollare tutto e basta. Ero stanco, preso male, c’erano tensioni tra me e Ilaria, nemmeno ci parlavamo più…
Ilaria: Io avevo fatto un po’ di scenate assurde, rifiutavo tutto quello che aveva a che fare col progetto. Mi sembrava sempre di stare dove non volevo… Giovanni: Vabbe’, insomma, finito il tour ci siamo detti: “Prendiamoci una pausa a tempo indeterminato. È stato bello finché è durato”. Per me i Gomma erano finiti, in quel momento.
Mi sta sfuggendo il momento bello…
Giovanni: Il momento bello è stato quando mi sono reso conto che mi mancavano. Come quando abbiamo cominciato a suonare per la prima volta. Come quando avevo visto Ilaria cantare, e la sua voce mi arrivava in 3D. Così ho fatto proprio una cosa da vecchi, le ho scritto una mail e le ho detto tutte queste cose.
Ilaria: Però io non l’ho letta subito, perché non sono una che controlla spesso la mail, a meno che non mi debba arrivare un pacco da Amazon.
Giovanni: Io pensavo che la controllasse, cazzo.
Ilaria: Quando ci vedevamo, Giovanni mi chiedeva: “Ma hai letto?”. E io non capivo a che si riferisse, così, per non fare brutta figura, dicevo: “Sì, sì, certo che ho letto…”.
Come hai reagito quando l’hai letta?
Ilaria: Sono scoppiata a piangere. E quando siamo tornati in saletta a provare, finalmente, dopo tanti mesi, ero felice di quello che stavo facendo. Il mio momento bello è stato quello.
Giovanni: Ecco perché quest’album rappresenta un nuovo inizio, un debutto.
E il titolo Sacrosanto, come vi è venuto?
Ilaria: Era un modo di dare importanza a quello che stavamo dicendo, non perché forse importante in sé, ma lo era per noi, erano tutte cose che ci riguardavano.
Giovanni: Sì, quest’album di base è “100% cazzi nostri”.
Che per fortuna non avete scelto come titolo.
Giovanni: Ah, in realtà avevamo un altro titolo.
Ilaria: Era un po’ pretenzioso Giovanni: Vabbe’ dai, lo diciamo: Manifesto.
Be’, bello.
Giovanni: Insomma, era un po’ eccessivo. Tipo un proclama: “Ehi, questo è il nostro White Album!”. Non era cosa.
Con Tamburo, i Gomma hanno dato il via a una campagna benefica, con tutti i ricavati del nuovo singolo che andranno all’Associazione Onlus EMMEPI4EVER che si occupa di sostenere le persone affette da disturbi del comportamento alimentare e le loro famiglie. Tamburo, infatti, racconta la volontà di non sottovalutare il dolore altrui, di cercarlo e combatterlo anche quando è invisibile: la canzone è una dedica a una rugbista, concittadina della band, scomparsa sei anni fa, ma mai dimenticata.