Che Danny L Harle – il lord dell’harlecore – sia uno dei due produttori, insieme a Kevin Parker aka Tame Impala, del nuovo singolo di Dualipa Houdini oramai non è più una sorpresa. Uno dei pionieri dello strambo collettivo inglese Pc Music che produce una delle più grandi popstar del momento non è un corto circuito, bensì la chiusura di un cerchio. Nata nel 2013 dalla mente di A.G. Cook (produttore, tra i tanti, di Charli XCX, Jonsi dei Sigur Ros, Caroline Polachek, Troye Sivan), Pc Music ha radunato attorno a sé il meglio di una certa scena (musicalmente accelerazionista) – parliamo di artisti visionari come Sophie, gli stessi A.G. e Danny, Charli XCX, Caroline Polachek, Tommy Cash e molti altri – che si era posta una domanda comune: come poter spingere agli estremi il pop contemporaneo? (Qui 10 possibile risposte).
Tra i membri fondatori del collettivo, un ruolo fondamentale l’ha avuto Hannah Diamond, l’iper-popstar della porta accanto che oltre ad aver segnato i primi successi dell’etichetta e collettivo (con brani come Hi, Every Night, Fade Away) ha stabilito – grazie al suo background da visual artist – una certa estetica per l’intera Pc Music. HD (così il suo diminuitivo) ha appena festeggiato i suoi dieci anni di carriera, così come la Pc Music che però quest’estate ha annunciato la sua chiusura, mettendo fino ad un’era che ha avuto la capacità di plasmare per davvero il mainstream pop.
Incontro Hannah Diamond in un caffè a Hampstead, a Londra, poche ore prima che ad Halloween la Pc Music festeggi il suo decennale con un evento in città. Diamond – celebre per i suoi capelli rosa, la sua cuteness e una certa self-irony – si presenta con una sua stessa t-shirt con su scritto Miss HD. Ha 32 anni, ma potresti dargliene 10 di meno. È appena tornata dal suo primo tour – tutto sold-out – negli States («Dovevo andarci per il disco precedente ma poi arrivò alla pandemia») e da poco ha pubblicato il suo secondo disco Perfect Picture, seguito di Reflections del 2019. Ordiniamo un tè e un cappuccino.
Toglimi una curiosità. Il mondo Pc Music è da sempre molto legato ad internet e quindi è un po’ difficile immaginare quale sia l’identikit del fan del collettivo. Qual è il pubblico tipico di Hannah Diamond ad esempio?
La maggior parte sono persone della comunità LGBTQ+, gente creativa, spesso amanti del mondo della moda. Una comunità composta da persone gentili, che si prendono cura gli uni degli altri. Ho quella tipologia di fan che mi scrivono: «Ehy ora che state venendo negli States state attenti che sta girando una brutta influenza e non vorrei ti ammalassi in tour». Penso che prendersi cura sia qualcosa di intrinseco nella comunità LGBTQ+. È molto cute.
I tuoi fan ti idolatrano al punto che proprio oggi uno di loro ti ha taggato in una foto di Halloween vestito come te nella copertina di Reflections.
Pazzesco, mai visto qualcosa del genere. L’ho mandata a mia madre e mi ha fatto notare che si era pure fatto gli stivali uguali. Ecco, quella cura per i dettagli è il carattere distintivo della mia fanbase.
La tua estetica inoltre è stata fondamentale per far definire il mondo e l’idea dietro Pc Music.
Quando abbiamo cominciato con Pc Music io e A.G. Cook avevamo visioni ben chiare su cosa volevamo fare; lui sulla musica, io sull’estetica. Quando ci siamo conosciuti stavamo lavorando a delle cose che abbiamo scoperto essere perfettamente complementari: l’apprezzamento e la de-costruzione della pop music, oltre ad una certa critica al capitalismo.
Come vi siete conosciuti voi due?
Ci siamo trovati a lavorare entrambi per lo stesso magazine. E lì abbiamo scoperto che avevamo molti progetti in comune.
Tu nasci visual artist: sognavi di diventare una popstar?
No, mai, non ho mai immaginato potesse essere qualcosa possibile per me. Arrivo da un luogo (Norwich, ndr.) dove non esisteva questa possibilità. Ho sempre pensato che sarei diventata un’artista visiva o una fotografa ed è lì che ho impiegato tutte le mie energie. Poi ho conosciuto A.G. e parlando della mia passione per la pop culture e la moda abbiamo visto quanto le nostre visioni era più che interconnesse.
E ora sono 10 anni di carriera da Pink and Blu, il tuo primo singolo (nonché uno dei primi di Pc Music) del 2013.
Sì, 10 anni, parecchio tempo, no? A volte sembra siano passati due minuti, altre invece un tempo infinito in cui mi sorprendo ad essere ancora qui. È stato un percorso lungo per arrivare dove sono, ma ne sono molto fiera. Considerando che oltre a fare musica ho anche il mio lavoro come visual artist e fotografa che mi impegna parecchio tempo e mi dà molte soddisfazioni.
Chi conosce la Pc Music sa quanto questo collettivo aperto sia stato fondamentale per portare una certa aria fresca all’interno della pop music. All’inizio molti erano scettici, il vostro pop accelerazionista era considerato too much. Poi però il tempo vi ha dato ragione. molto Quando hai capito che con la Pc Music stava accadendo qualcosa?
Quando abbiamo ricevuto le prime critiche negative. Non proprio subito, ma verso il 2015 quando si iniziava a parlare di noi. Lì ho capito che stavamo sfidando la prospettiva di molti sulla musica pop. Non penso nessuno di noi si aspettasse così tanto, ma volevamo sfidare certe regole, anche solo a livello intellettuale, un po’ per divertimento un po’ perché volevamo vedere quanto potevamo diventare estremi. Non avevamo idea potessimo davvero plasmare il pop.
Dieci anni fa c’era tutto un altro clima del pop. Era più rigido, più aderente a certe regole, meno aperto a questi estremi. Ora però molto dell’estetica sonora della Pc Music è parte integrante del pop di oggi.
Sì, ai tempi era tutto più rigido, il pop era una cosa sola e univoca, non come adesso. Noi siamo riusciti a ritagliarci uno spazio tra la musica elettronica e il pop: e probabilmente siamo ancora in quell’area. All’inizio la gente non sapeva dove posizionarsi. E penso che questa sia la parte più noiosa dell’industria musicale. Critici e piattaforme di streaming provano sempre a categorizzarti o a metterti in qualche contenitore pre-esistente. Quindi quando siamo usciti, facendo qualcosa di diverso, li abbiamo mandati in difficoltà. Non c’era qualcosa di pre-esistente che si adattasse a noi.
E così hanno inventato il tanto discusso termine “hyperpop”.
Le persone hanno sempre bisogno di categorie, non credi? Poca importa se poi quelle categorie siano corrette o no. L’importante è che tu ci sia dentro, che ci sia qualcosa che ti definisca.
Ricordo che molti artisti del vostro collettivo non furono molto entusiasti di questa cosa dell’hyperpop.
Ricordo che quando quel termine è stato coniato c’è stata una grande discussione a riguardo. Molti artisti non si rispecchiavano in quel termine, era qualcosa che gli era stato messo addosso senza possibilità di scelta. Charlie XCX twittò una cosa tipo: «Ora che lo avete chiamato hyperpop è morto».
Tu hai un’estetica molto precisa (che definirei ad alta definizione, vagamente uncanny, reale-non-reale) che curi personalmente. Come hai sviluppato il tuo mondo HD?
Ho iniziato a lavorarci sin da bimba credo. Gran parte delle mie reference arrivano da ciò che mi piaceva quando avevo 10 anni; so che è strano da dire. Ritagliavo campagne pubblicitarie dai giornali e le mettevo in questo quadernone. Non ero interessata alla parte editoriale, ma alle pubblicità. Ed ero anche fissata con l’arte giapponese dell’aerografo. Ti mostro qualcosa.
(mi mostra alcune opere di airbrush giapponese anni ’80)
Come mai qusta fissazione?
La mia insegnate d’arte aveva sulla parete della classe un poster di un’opera fatta con l’aerografo. Ai tempi non avevo accesso a quell’attrezzatura e quindi ho imparato a replicare quella tecnica con le matite colorate, cercando di lavorare su ritratti iper-realistici e nature morte. Credo che ciò che mi piacesse dell’aerografo fosse quel senso di lucentezza. Ho speso tutta l’adolescenza a perfezionare quest’arte e quando sono arrivata all’università i miei professori mi hanno detto: «Ok, questo lo sai fare, e ora? Qual è il prossimo passo?». E, non so, tutto questo mi ha fatto mollare il disegno perché continuavo a pensare: “posso spingermi a fare qualcosa di più?”.
E qui è nata la tua estetica HD immagino.
Sì, ho iniziato a scannerizzare i miei disegni al computer, ritoccandoli. In quel magazine di cui ti parlavo mi occupavo della postproduzione delle foto e sono diventata davvero brava a farla, soprattutto nel capire la struttura facciale delle persone e come le ombre cadono sui volti. Se il disegno porta con sé delle imperfezioni, con la tecnologia puoi rimuovere tutto.
Nel nuovo disco Perfect Picture invece l’estetica pare meno iper-realistica, più ‘intima’.
Sì, credo sia meno irrealistica e più personale. Volevo mettermi alla prova e fare questo passo anche perché l’album parla proprio di me stessa e della mia immagine. Probabilmente mi sono solamente annoiata di quella irrealtà. Quando sei giovane vuoi costruire qualcosa che non esiste. Io facevo le mie foto in cameretta e poi il resto di questo mondo immaginario me lo costruivo al computer. Non sai quanto tempo per far tutto, ci ho messo tre anni per fare creare l’estetica e il materiale promo per Reflections.
Anche i testi mi sembrano più legati ad una sfera personale. Brani come Poster Girl, Affirmations e Lip Synch parlano di cosa significa per te essere una donna oggi e soprattutto una donna nell’industria musicale.
Mostrano sicuramente una differente parte di me, Nel primo disco avevo tanto da tirar fuori, ma in questo volevo mostrare e esprimere chi sono davvero. Per me questo album è un concept, un’opera che racconta una storia specifica. Ed è sicuramente più maturo di Reflection.
Questi dieci anni di carriera come hanno inciso sul tuo modo di scrivere e vivere la musica?
Ho dovuto imparare ad essere due persone, la popstar HD e la mia versione normale, quella che vedono i miei amici e la famiglia. Fino a che non ho iniziato a far musica non avevo idea di questo dualismo, ma sono sempre stata interessata alle identità delle popstar e di come queste identità comunichino di album in album. Ora lo sto sperimentato a livello personale. Anche solo scrivere una canzone come Lip Sync per fare ironia su chi mi accusava di fingere di cantare dal vivo (cosa di cui spesso vengono accusate le cantanti) è parte di questa ossessione del pubblico su cosa sia davvero autentico. E comunque essere autentici non è mai abbastanza. Come puoi essere autentica e onesta e genuina e allo stesso tempo essere sempre perfetta e al top?
Tu come ti relazioni a questa pressione?
Da ragazzina sicuramente mi pesava molto. Quando crescevo sentivo la pressione di dover essere una ragazza perfetta. Volevo avere una pelle perfetta e mettere l’apparecchio per avere denti perfettamente allineati, cosa che non ho mai fatto e si vede. E poi ad un certo punto, da donna, sono diventata consapevole del mio corpo, che è come avere una nuva valuta. Ti chiedono di essere magra, ma curvy, e con le tette grandi. E io non ce le ho. Come fare? Per una donna è impossibile stare in tutti questi – e spesso contrastanti – schemi.
E con la musica?
Mi sentivo in obbligo ad aver successo per pagarmi le bollette e mantenermi così da poter continuare a fare musica. Questo spesso può significare doversi adattare (nella musica e nel corpo) e diventare un prodotto, qualcosa che funziona nel sistema. Ma questo non fa per me.
In molti tuoi artwork o video la protagonista è una te (tendenzialmente raffigurata come una ragazzina sognante) che sulle pareti ha i poster di se stessa in versione popstar. Tu chi ti senti tra le due?
Quella è la vera identità HD: volersi sentire come quella popstar sulle pareti, ma non per forza voler diventare lei.
Per 10 anni hai lavorato con A.G. Cook ma per questo disco alla produzione c’è David Gamson degli Scritti Politti. Come è cambiato il tuo modo di far musica con David?
David e A.G. hanno molto in comune, anche perché A.G. è stato profondamente influenzato dai lavori di David agli inizi di Pc Music. Lavorare con David è stato come andare all’università del pop, in fondo lui ha prodotto un sacco di cose che amo.
Perfect Picture suona molto più coeso rispetto a Reflections.
Questo dipende molto dal fatto che Perfect Picture è stato scritto e prodotto in un lasso di tempo molto più ristretto, mentre Reflections è frutto di anni di lavoro.
Ora Pc Music chiude dopo 10 anni di carriera. Qual è il motivo? Come stai vivendo tutto questo?
Non c’è una vera e proprio ragione, bisognerebbe chiedere ad A.G.! Sono triste, ma entusiasta: siamo cresciuti, abbiamo fatto i nostri percorsi al di fuori della label, costruito i nostri mondi. Ora abbiamo tutti un’identità propria, sempre più definita.
Tu sei pronta a viaggiare da sola adesso?
Sì, non vedo l’ora di sapere che cosa accadrà.