Le Fo Sho non si aspettavano che il 2022 andasse così. Avrebbero dovuto chiudere in questi giorni il loro primo album con l’idea di andare oltre le atmosfere tra Cardi B e Beyoncé dei loro primi singoli. Avrebbero dovuto preparare alcuni concerti, tra cui uno in un festival europeo, e scegliere quale inedito presentare all’Eurovision, dopo il primo tentativo del 2020.
Subito dopo l’invasione russa, le sorelle Bethlehem (o Betty), Miriam e Siona Endale hanno lasciato le loro case a Kyiv e Kharkiv e, insieme ai genitori, si sono momentaneamente accasate presso una signora tedesca a Stoccarda che ha generosamente deciso di ospitarle. Qualche giorno fa hanno iniziato a studiare il tedesco in caso dovessero restare più del previsto. «Quando siamo arrivate ci hanno subito chiesto se fossimo ucraine», racconta Betty, che fra le tre ha l’inglese migliore, mentre le sorelle la ascoltano in silenzio durante la nostra call su Zoom.
Non è la prima volta che le tre si sentono straniere. Anche nel loro Paese, che aveva una scena musicale eterogenea che comprende punk, EDM, folk e hip hop, le Fo Sho erano diverse. Come dice Betty, sono orgogliosamente «ucraine nere ed ebree», giacché hanno genitori originari dell’Etiopia. Insieme a colleghi come Alyona Alyona e Alina Pash, le Fo Sho hanno aggiunto un po’ di sensibilità femminile nella scena hip hop ucraina. Una delle loro prime uscite, Xtra (2019), incoraggiava gli ascoltatori a «stare bene con loro stessi», spiega Betty, a prescindere dal proprio background (“Sfoggio il mio incarnato”, rappavano nel pezzo, “amami o odiami, sono vera”). Poi, nel 2020, hanno pubblicato BLCK SQR, un brano intitolato come un quadro dell’artista d’avanguardia di inizio Novecento Kazimir Malevich. Un pittore che, hanno scoperto con sgomento, è stato spesso descritto come russo-ucraino, anche se è nato a Kiev.
«Vogliamo mandare più messaggi che possiamo con la nostra musica», dice Betty. «Non ci interessa parlare di quanto vada tutto alla grande, ci interessa la politica».
È un atteggiamento che affonda le radici nella storia del loro Paese e nel modo in cui, dopo la rivoluzione del 2014, s’è allontanato politicamente e culturalmente dalla Russia. C’entra anche la loro infanzia, spesso difficile. I genitori si sono trasferiti in Ucraina separatamente nel 1985, per poi incontrarsi in una facoltà di medicina. Il padre è diventato neurologo, la madre veterinaria. Loro sono cresciute ascoltando Destiny’s Child, Rihanna e Spice Girls, per poi scopire l’hip hop americano con 2Pac, Notorious B.I.G., Eminem, J. Cole.
Erano adolescenti nere in un Paese a maggioranza bianca e in quanto tali hanno subito episodi di razzismo. Durante il primo giorno di scuola elementare, ad esempio, Shona era seduta vicino a un bambino bianco. Lui ha subito disegnato una linea sul banco e le ha intimato di non superarla. All’università, Betty è stata aggredita da una donna che le diceva di «tornare a Miami o in Africa». «Ho pensato: Miami? Ma vai a studiare!».
Per fortuna, dice Betty, in Ucraina negli ultimi anni il livello di tolleranza si è alzato. «Quello che vivo oggi non è paragonabile a quando avevo 12 anni», spiega. «L’Ucraina è parecchio migliorata».
Le sorelle hanno continuato gli studi e iniziato a lavorare. Betty, 33 anni, è una dentista. Siona, che ne compirà 20 tra poco, studia giornalismo (e pianoforte classico); Miriam, 24 anni, lavora nel management di un hotel. Cantavano insieme senza troppe pretese e, ispirate da una foto assieme in cui sembrava avessero la stessa età, tre anni fa hanno deciso di fondare il gruppo, proprio mentre l’hip hop iniziava a diffondersi nel Paese. «Non c’era granché spazio per il genere», dice Betty. «La gente lo considerava strano, era ancora interessata alle melodie. L’hip hop ha a che fare col ritmo, era rivoluzionario per i loro gusti. Non faceva parte della cultura ucraina».
Poco dopo, Betty ha contattato la produttrice e manager Inna Gissa, che ha ascoltato le loro demo e suggerito di formare la band. «Erano tutto quello di cui aveva bisogno il mercato», dice Gissa, che ha anche suggerito il nome. «Fo Sho significa 100%», dice Betty, «ed è anche una parola ucraina, è perfetto». Il primo singolo, Catchy, è uscito nel 2019. Un anno dopo hanno presentato BLCK SQR alla competizione per rappresentare l’Ucraina all’Eurovision (sono arrivate in semifinale).
Nonostante l’esperienza all’Eurovision, le sorelle hanno continuato a incontrare persone che dubitavano che fossero ucraine a causa del colore della pelle. Così hanno pubblicato un post sul loro profilo Instagram: «Da quando siamo entrate nel team ucraino dell’Eurovision, ogni giorno ci chiedono se siamo immigrate. Abbiamo la cittadinanza ucraina dalla nascita, abbiamo imparato l’inglese come tutti gli altri, queste domande e i commenti sono strani. Suoniamo così perché abbiamo lavorato duramente per diventare un gruppo internazionale».
L’ultimo singolo U Cry Now porta la loro musica e il loro messaggio in una direzione nuova. Si basa su chitarre metal e nel video si vedono immagini cruente del loro Paese colpito dal conflitto. Il pezzo, però, è stato scritto e registrato due anni fa. «La melodia era diversa dal resto del nostro repertorio», racconta Betty. «Eravamo più trap e hip hop, questo è un pezzo rock». Quando è iniziata la guerra, hanno capito che il testo era perfetto per quel che stava accadendo. «Parla proprio di questa guerra!», esclama Betty. «“Se mi mordi, morderò anch’io” è profetico». Il fatto che nel pezzo “you cry” e “Ukraine” abbiano un suono simile, dice, è pura coincidenza.
L’album che dovrebbe contenere il singolo è, proprio come le loro vite, in pausa. «Non avrebbe senso pubblicarlo adesso», dice Betty. «Quelle canzoni non ci sembrano più rilevanti, dobbiamo scriverne di nuove».
Anche la realizzazione del sogno di incontrare Tyler, the Creator o Rihanna è rimandata. «Stiamo molto meglio ora rispetto a quando eravamo in Ucraina, ma ancora non siamo in pace», dice Betty. «Non riusciamo a dormire bene. Siamo in terapia. Il suono delle bombe ci ha traumatizzate. Ci svegliamo ancora ogni notte». È strano sentirglielo dire, considerando la loro musica, ma «siamo diventate sensibili a qualunque suono».
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US