Fare cover è un mestiere antico, ma non a tutti riesce bene. Marc Collin dei Nouvelle Vague ci mette tantissimo di suo come nel progetto Strange as Angels, album pubblicato nel 2021 e uscito di recente in versione deluxe in cui arrangia brani storici dei Cure per la voce duttile di Chrystabell, una delle muse di David Lynch. Abbiamo deciso di fare una chiacchierata con Marc sul mondo della band britannica.
Perché hai deciso di fare un disco sui Cure e perché con Chrystabell e non con il tuo gruppo?
Avevo in mente di fare una sorta di estensione del progetto Nouvelle Vague ma focalizzato su un solo gruppo. In mente avevo tre band che hanno un sacco di canzoni fantastiche: Cure, Depeche Mode e New Order. Ho pensato di iniziare con i Cure perché è il primo gruppo di cui ero fan quando ero giovane. Poi mi sono chiesto: chi potrebbe cantare tutto questo? E non so, credo di aver visto Chrystabelle due volte dal vivo e avevamo lo stesso agente. Così ci siamo incontrati a San Francisco, è venuta a vedere i Nouvelle Vague e l’ho incontrata nel backstage. L’ho rivista dal vivo a Parigi e ho pensato: sarebbe fantastico se fosse lei a cantare. Credevo conoscesse i Cure, ma non ne sapeva molto al di là delle hit. La cosa interessante è che le canzoni dei Cure che sono popolari in Europa non sono le stesse che sono famose in America (Collin è francese, Chrystabell americana, ndr).
Come ha impostato il suo modo di cantare per il disco?
Ha voluto rispettare le melodie esattamente come Robert le ha realizzate. Ho anche pensato: ma perché? Perché vuoi esattamente fare le stesse melodie? Prendiamo Dressing Up: non sono sicuro che Smith avesse una melodia precisa in mente quando l’ha registrata, sembra più un’improvvisazione, ma lei l’ha voluta riprodurre esattamente com’era.
Ha raggiunto una notevole carica interpretativa e credo sia merito anche delle tue basi.
Quando ti metti a fare un disco di cover devi in qualche modo avere delle regole, una forma, delle convenzioni, per non metterti a fare qualsiasi cosa, tipo rock, bossa nova, roba acustica o elettronica. Per questo album ho pensato: proveremo a ricreare una sorta di orchestra classica degli anni ’30/40, quando avevano molte percussioni, cembali, e allo stesso tempo l’Onde Martenot, il theremin, un po’ della prima elettronica ma anche gli organi… In quel periodo Edgar Varèse ad esempio usava questo tipo di orchestra. Ho quindi riarrangiato le canzoni dei Cure partendo da questi colori e con questi strumenti.
Credo che la musica dei Cure sia molto cinematica.
Hai perfettamente ragione ed è quello che ho voluto creare. Mi interessava entrare profondamente nel mood dei Cure. La cosa incredibile è che a volte sono veramente dark, come in The Drowning Man, e altre volte assolutamente allegri, come in The Walk, Just Like Heaven o Friday I’m in Love, c’è un ampio spettro di emozioni.
Raccontami qualcosa del tuo rapporto con la musica dei Cure…
Nel 1981/82 avevo 14 anni e alla radio ho sentito questa canzone che ho amato subito. Era A Forest. Mi sono detto: devo assolutamente conoscere questa band. Con la mia prima band, che era una specie di gruppo new wave nel tardo periodo ’84/85, suonavamo proprio A Forest. La facevamo anche con i Nouvelle Vague e c’è anche in Strange as Angels. Quindi è una canzone molto importante per me. All’epoca pensavo che fossimo in pochi a conoscere i Cure e invece suonavano all’Olympia di fronte a 2000 persone. Andai a sentirli nell’84, nel tour di The Top, a Parigi. Suonarono due sere e fu fantastico. Ancora ricordo la partenza con Shake Dog Shake, davvero potente. Li andai a rivedere quando diventarono grossi in Francia con The Head on the Door e Kiss Me Kiss Me Kiss Me, ma ad essere onesto non mi piace tanto il periodo Disintegration.
Ma dai, sei forse una delle poche persone che lo pensa.
Credo che stessero rifacendo quel che avevano fatto meglio in precedenza.
A proposito di Disintegration, la vostra cover di Lullaby in versione spy non me l’aspettavo. Non avevo mai pensato alla melodia di quel pezzo come qualcosa stile James Bond.
Questo è il punto: quando riarrangi le canzoni crei un nuovo mondo. Gli artisti che abbiamo rifatto con i Nouvelle Vague apprezzano molto il nostro lavoro proprio perché abbiamo preso le canzoni portandole da un’altra parte.
Hai mai incontrato con Robert Smith?
No ed è strano perché ho incontrato un sacco di gente. Di recente però ha twittato cose molto belle su Strange as Angels, e ne sono molto felice.
Perché è un ottimo lavoro ed è difficile fare cover di un solo artista. Anche se in questo caso possiamo considerare i Cure non come una sola band, ma come tante band differenti, visto quanta gente è entrata e uscita dall’organico…
Però alla fine i Cure sono Robert Smith. Ho letto l’autobiografia di Lol Tolhurst, il primo batterista. Leggendola capisci che Robert Smith era the guy, quello che faceva tutto, mentre gli altri arrivavano, suonavano, qualche volta se ne andavano, altre volte tornavano… ma le canzoni erano alla fine tutte scritte da Smith.
È di sicuro il centro della band, ma penso che anche la qualità degli altri musicisti abbia influito, soprattutto nella resa dal vivo. Che ne pensi delle notizie che danno per imminente la pubblicazione di due album di inediti?
Non so… molte band hanno fatto i loro migliori lavori nei primi dieci anni di creatività e credo che i Cure fossero davvero creativi nel periodo tra il ’79 e l’89. Quindi cosa ti puoi aspettare da un loro nuovo disco? Per me dipende dalla produzione: per esempio a me è piaciuto molto l’ultimo album dei Depeche Mode perché la produzione è fenomenale. Ma se i Cure volessero tornare al loro sound originale cercando di farlo un po’ diversamente allora dovrebbero produrlo nello stile di Seventeen Seconds. E sarebbe straordinario. Ad ogni modo ho preso i biglietti per andarli a vedere a novembre a Parigi, non vedo i Cure dal 1987.
Potresti approfittarne per proporti a Robert Smith come produttore.
Ah beh, magari (ride). Ma sai, ora sono un po’ troppo duri, hanno un sacco di riverbero, batterie pesanti… La bellezza di Seventeen Seconds è tutta un’altra cosa.
Pensi di fare un sequel di questo progetto sui Cure?
Non è nei piani, ma se dovessi fare un altro disco monografico mi concentrerei sui Depeche Mode o sui New Order, con altri cantanti ovviamente… Ma ci sono ancora grandi canzoni dei Cure che sarebbe bello rifare, quindi vedremo…
Visto che nella tua vita sono stati importanti, che cosa cosa significano i Cure per te in poche parole?
Difficile dirlo in poche parole. Hanno inventato un nuovo sound e un’immagine forte, anche dopo quarant’anni c’è gente che si veste come Robert Smith, con la sua acconciatura, il rossetto… Sono interessanti, perché sono molto anni ’80, ma se li paragoni ai Depeche o ai New Order hanno fatto cose molto pop come Boys Don’t Cry per poi andare in profondità. La cosa incredibile è che la stessa band che ha scritto e prodotto Pornography sei mesi dopo ha fatto cose come The Walk. Hanno fatto canzoni cupe e leggere, è inusuale, ti fa capire che ti trovi di fronte a una grande band.
Allora possiamo dirlo che alla fine sono loro i Beatles degli anni ’80?
In un certo senso sì, è vero.