Con i Moderat si rivive un po’ il fenomeno dei Notwist di 10 anni fa: improvvisamente nella grande community hipster da London a Vancouver chiunque parla di questo gruppo di tedeschi; ed ecco che trovi il loro album in tutti i negozi di dischi. E allora viene spontaneo chiedersi: ma quando è successo? E perché proprio loro? Una risposta non riescono a darsela nemmeno i tre berlinesi in questione. Il trio, risultato della collaborazione tra i progetti di musica elettronica Modeselektor e Apparat, a gennaio ha annunciato l’uscita del terzo album III e un tour. I concerti di Londra, Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Varsavia, Milano (28/4), Roma (29/4) e Montreal sono andati sold out in pochi minuti. «La gente deve essere stata lì pronta a fare clic su BUY alle 12 in punto. Incredibile».
Incontriamo i Moderat nella sede dell’etichetta fondata nel 2009 dai Modeselektor, Monkeytown. L’edificio si trova in uno dei cortili interni del quartiere Mitte, a Berlino, proprio accanto al Kit Kat Club (locale reso noto anche oltre frontiera per i suoi fetish party settimanali, in cui a ritmo di techno si balla e ci si scambia umori corporali in massima libertà). L’intera zona, con i suoi casermoni in degrado, ha il respiro della cultura underground e dei club berlinesi. Per entrare negli uffici dell’etichetta bisogna superare due pesanti porte e, una volta dentro, si rimane colpiti dall’atmosfera professionale che si respira. Telefoni che squillano, una macchina del caffè superautomatica e persone non più tanto giovani che spostano cartelle e fogli da una stanza all’altra. Nella sala conferenze alla fine del corridoio, Gernot Bronsert, Sebastian Szary e Sascha Ring sono stravaccati su sedie di legno che, in realtà, non sono state disegnate per lo stravaccamento. Sono reduci da una riunione con i collaboratori dell’etichetta; all’ordine del giorno c’erano prove e organizzazione: è chiaro che ne sono usciti tutti piuttosto tesi. «Non è una roba da comuni mortali», dice Gernot Bronsert, mentre si sposta nervoso avanti e indietro con la sedia. Nonostante si avvicini ai 40 e sia di corporatura robusta, si intravede ancora chiaramente in lui il ragazzino iperattivo che andava ai rave. Il suo collega dei Modeselektor – che chiamano tutti solo con il cognome, Szary – siede invece pacifico davanti alla tavola imbandita (ciotole piene di frutta, un piatto di affettati) per la giornata promozionale. Se fossimo al casting di una commedia tedesca, gli darebbero subito il ruolo del meccanico straniero: dal colletto della tuta da lavoro nera gli escono i peli della barba e si infittiscono verso l’alto sopra uno di quei visi particolari che, riducendo al minimo la mimica, raggiungono il massimo della comicità. Sono tre personaggi completamente diversi, lo si capisce subito. Anche esteticamente, Sascha Ring (aka Apparat) è l’esatto opposto dei due produttori dei Modeselektor, più compagnoni. È uno spilungone dalla fronte spaziosa e i capelli arruffati, che si dondola sulla sedia come un ragazzino insolente: «Dopo una riunione del genere, l’intervista non può andare che bene». Per i Moderat le interviste sono un’occasione per stasarsene seduti insieme senza stress e senza fretta. La collaborazione in studio ha messo la loro amicizia a repentaglio più di una volta. I techno kid di una volta sono diventati adulti insieme; volenti o nolenti, hanno dovuto farsene una ragione.
Si sono conosciuti a Berlino nel 2003, a un festival per artisti emergenti; l’intesa è stata immediata, perché parlavano tutti e tre la lingua franca dei nerd e poco dopo hanno cominciato a suonare assieme. «I live set con laptop erano la novità del momento», ricorda Ring, che con i software si creava da solo i programmi per fare musica. «Internet era una cosa ancora relativamente nuova. E la musica elettronica è diventata presto un fenomeno globale, perché per un electro act puoi volare in qualsiasi parte del mondo senza doverti portare appresso troppa roba». Quando i tre parlano del passato o raccontano aneddoti divertenti sugli altri, mischiano parole inglesi al dialetto berlinese; cosa che non sembra una posa snob, ma piuttosto l’espressione di un autentico cosmopolitismo. Come Moderat, come dj o con progetti propri, hanno suonato in piccoli club dal Messico a Bagdad, dal Giappone al Missouri, portandosi dietro una nuova coolness teutonica e titoli di pezzi che sembravano presi da un manuale Siemens, Multifunktionsebene (livello multifunzione, ndr) o da ammiccamenti culturali (German Clap). Il loro successo in Paesi come l’Inghilterra, l’Italia o la Francia dipende però sicuramente dal mito della techno berlinese, dalle leggende di party selvaggi in case mezze fatiscenti e dallo spirito do it yourself che i Modeselektor, più di qualsiasi altro gruppo attivo nell’ambito dei club berlinesi, incarna ancora oggi. Quando era ragazzino, Szary organizzava rave party in provincia, nel Brandeburgo, dentro vecchi mulini di carbone o silos per le patate, e Gernot era suo ospite fisso. A metà degli anni ’90, dopo un apprendistato da muratore, ha cominciato a lavorare in un circolo giovanile nel quartiere di Köpenick a Berlino. Gernot – che in fatto di prospettive stava messo ancora peggio – è diventato educatore e il caso vuole abbia svolto il suo anno di praticantato obbligatorio proprio in quel circolo giovanile. Quando il centro era deserto, i due lavoravano fino all’alba ai loro pezzi. La notorietà è arrivata all’improvviso, non appena Thom Yorke dei Radiohead ha dichiarato: «There is this guy called Modeselektor – his stuff is THE shit». Sascha Ring invece è cresciuto a Quedlinburg, ma la sua storia è simile: organizzava rave con gli amici e si faceva i viaggioni ascoltando i Boards of Canada fumando il bong. A causa delle troppe droghe e di una generica mancanza di prospettive, a 19 anni si è trasferito a Berlino e ha cominciato un apprendistato da grafico, che però non ha dato grandi frutti, visto che con Shitkatapult ha trovato presto un’etichetta per la sua musica elettronica. Col passar del tempo, le composizioni di Apparat si adattavano sempre meno a nomi d’arte tecnoidi; album elegiaci come Walls – con i suoi echi, i riflessi e gli archi malinconici – si posizionano meglio tra i Sigur Rós e i Radiohead.
Anche se i tre da tempo suonavano con il nome di Moderat, il loro primo album è uscito soltanto nel 2009 ed è nato «per emanciparci dalle categorie in cui eravamo stati messi», spiega Ring. C’è voluto il secondo album, II, a rendere i Moderat una band con un’estetica propria e Ring – a lungo riluttante – è diventato suo malgrado il cantante solista. «Quando collaboriamo, riusciamo a fare cose che non riusciremmo a fare da soli», dice il musicista che venne invitato in Inghilterra da John Peel e che ha composto molta musica per il teatro, tra cui un lavoro su commissione per Sebastian Hartmann, un adattamento teatrale di Guerra e pace. I Modeselektor, più animali da palcoscenico, abituati a vedere durante i loro concerti scatenati e martellanti anche guerre di cuscini o flash stroboscopisci lanciati tra la gente, come Moderat hanno dovuto imparare che, a favore dell’armonia, si possono evitare quei break micidiali; insomma, hanno dovuto imparare l’arte della moderazione. Fare musica solo per far ballare la gente non è più nelle intenzioni dei Moderat, ora più interessati a un esperimento pop futuristico eseguito con gli strumenti della techno. Lo si potrebbe definire una specie di soul marmoreo, pesante, cangiante e iridescente. Ed è la voce di Ring, impersonale e malinconica, a elevarsi sopra il sottofondo di rumori distorti e a rendere questa musica persino radiofonica. Molti pezzi del nuovo album dal titolo minimale, III, hanno voci campionate e straniate, tanto che nel secondo pezzo, Running, si ha l’impressione di vedere un’armata di robot fare il suo ingresso in una città distopica alla Blade Runner, e intonare come inno di battaglia dei cori gregoriani. Anche se in III prendono molto spazio le strutture classiche e i ritmi sembrano ancora più involuti, la musica rimane ancora ballabile. In realtà, però, questa musica è perfetta per accompagnare pratiche meditative durante viaggi notturni: per esempio, se si preme il viso contro il finestrino dell’auto e si cerca di seguire la corsa infinita dei cavi dell’alta tensione lungo la strada. È la musica di tunnel della metropolitana che scorrono dal finestrino, di facciate trasparenti, di travi in acciaio, di corridoi aerei, di pioviggine e di fumo che esce dai tombini.
Come a smorzare l’aura carica di mistero e sentimento della loro musica, i tre sottolineano continuamente che non avevano né un progetto, né intenzioni precise. «Non siamo molto bravi a pensare», scherza Gernot: «Una cosa deve suonare bene, deve essere forte e cerchiamo sempre di migliorarci: un nuovo break, un nuovo sound. Altrimenti ci annoiamo». Con le tante tracce vocali, i Moderat hanno dovuto aumentare anche i contenuti. L’oscura The Fool ruota attorno a immagini poetiche che sanno di lavanda e tranquillità. «In realtà il testo era molto più lungo e complesso», dice Ring, che sembra quasi vergognarsi quando parla dei suoi testi in presenza altrui. «Alla fine era solo un ritaglio di vocals che ho trovato su un hard disk e che era perfetto per una roba mia», interviene Gernot in berlinese, all’insegna dell’understatement proletario dei Modeselektor. Le loro produzioni nascondono chiaramente un lavoro complesso che non vogliono celebrare troppo (non è un caso che la tuta da operaio faccia da tempo parte della loro iconografia). Non appena Szary attacca a parlare di sintesi dei filtri e di onde quadre sinusoidali, Bronsert lo interrompe: «Che nerd che sei. Guarda che non è un’intervista per addetti ai lavori!». «Sascha è un po’ schizzato. Improvvisamente decide che qualcosa è una merda, a volte anche in modo ingiustificato, e sa essere molto duro con se stesso. E dai suoi sbalzi d’umore ci dobbiamo ancora proteggere», lancia la frecciatina Gernot, scherzando solo a metà. Può succedere che le loro collaborazioni degenerino in un piccolo supplizio in cui passano più tempo a discutere che a comporre. «Siamo arrivati al punto che nessuno poteva più entrare da solo in studio, per paura che andasse a fare le modifiche di nascosto». “Sangue, sudore e lacrime”, così hanno annunciato l’uscita dell’album su Facebook. Tra gli altri, si è riproposto anche un loro vecchio problema, che aveva rischiato di far naufragare pure l’ultimo album: le loro vite molto diverse. «Se hai famiglia, fai il dj e hai una band, diventa tutto veramente complicato», dice Gernot. Lui e Szary vivono appena fuori Berlino e hanno figli che accompagnano tutti i giorni a scuola. Ring vive nel quartiere di Mitte e lavora soprattutto di notte. «Il problema è che con il tempo la situazione non diventerà più semplice», sospira. Ma i tre hanno ancora voglia, per lavoro, di tornare alla loro vita notturna? Alla fine è quello che fanno da 15 anni… «Quando sei in tour, va bene», dice Gernot, «ma altrimenti, suonare ogni weekend per due serate, no, non lo possiamo più fare». Per questo sono contenti del successo di Moderat, il loro “progetto adulto”: «Il pubblico dei Modeselektor non invecchia con te. Noi invecchiamo, loro restano giovani», spiega Gernot. «Ai concerti dei Moderat vengono persone che ci conoscono da anni, che sono invecchiate con noi e che sono contente di andare il sabato sera alle dieci a vedersi un concerto insieme alla moglie o al marito». Ormai anche in Germania quello che era nato come un gioco, attira più pubblico di quanto avessero fatto i Modeselektor o Apparat in autonomia. Ai loro concerti c’è sempre più gente che non si era mai interessata di musica techno o di elettronica astratta, che non ha mai ballato tutta la notte nei club, che potrebbe pure conoscere gli eredi dei Kraftwerk, ma che non sa nulla dei pionieri della techno di Detroit, di Underground Resistance o dei Warehouse Party, le feste in capannoni industriali di Frankie Knuckles a Chicago. Gernot aggiunge nel suo slang berlinese/inglese: «Ora finalmente abbiamo anche qui lo stesso impact che prima avevamo solo in Benelux o in Inghilterra».
Loro non vedono nessuna contraddizione tra lo spirito dell’underground e le date sold out: finché hanno la possibilità di suonare la musica che gli piace, il successo non è mai troppo. «Che cosa vuol dire troppo, come sarebbe? È una figata!». Cominciano a esaltarsi così tanto che non la smettono più di rimpallarsi possibili visioni, ognuno a rilanciare con un sogno di gloria sempre più bombastico: «Oh, ma chi è quella accanto a Moderat?».
«Ah, ma dai, è Beyoncé».
«Uuh. Che figata!».
«E comunque non è vero quello che ti dicono sempre i genitori», commenta Ring, dopo che si sono dati una calmata. «Si può avere tutto». Una frase perfetta per la conclusione, se non fosse che Gernot ci tiene a reclamare l’ultima parola per sé: «Ecco, vedi, adesso ti abbiamo anche risolto il trauma infantile», chiosa.
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