Di Steve Appleford e Chiara Papaccio
Mancano meno di due ore al concerto dei Pixies, e Black Francis sta freneticamente riorganizzando le birre nel mini-frigo. Quando una lattina cade a terra, il chitarrista Joey Santiago la fa finire con un calcio dall’altra parte della roulette e urla “Vuoi una birra, Dave?”.
Il batterista David Lovering passa la mano sulla bevanda ora “esplosiva”, e ride nel retropalco dell’ultimo fine settimana del Coachella Festival di Indio, in California. I Pixies sono tornati in attività dopo una reunion risalente al 2004, e in tour hanno suonato canzoni dai loro quattro album in studio, che furono di grande influenza su band come Nirvana e Radiohead. L’anno scorso la bassista-vocalist Kim Deal ha lasciato la formazione per dedicarsi al progetto Breeders, ma i Pixies hanno continuato a esistere fino alla pubblicazione di Indie Cindy, il primo album di inediti da 23 anni a questa parte, pubblicato il 25 aprile.
Black Francis (vero nome Charles Thompson), Lovering e Santiago hanno parlato a Rolling Stone della loro rinascita come band con nuova musica – qui in alto lo streaming integrale di Indie Cindy.
Trovate che avere musica nuova da suonare costituisca una grande differenza per la band?
Black Francis: Personalmente, sì. Il disco sta uscendo solo adesso quindi è difficile valutarne l’importanza nel lungo periodo ma di sicuro è bello poter fare qualcosa di nuovo invece di Monkey Gone to Heaven per l’ennesima volta. Non che io abbia niente contro quel pezzo, ma dopo un po’ durante il Doolittle tour, mi estraniavo sul palco suonando le canzoni nello stesso ordine tutte le sere. Mi veniva una cosa tipo quel film, il Giorno della Marmotta, mi chiedevo “Dove mi trovo?”. Mi perdevo un po’.
E avere un album di nuovo materiale mette i Pixies in una posizione differente rispetto a prima?
Joey Santiago: Ora siamo una band a tutti gli effetti. Una band va in tour, compone musica. Sui social media i fan parlavano molto del fatto che avrebbero voluto un nuovo album. Abbiamo dovuto ricavare del tempo per poterci lavorare. Volevamo provare qualcosa a qualcuno? Volevamo solo suonare. Siamo ancora vitali, creativi.
I fan vogliono sempre musica nuova, anche se poi criticano i dischi più recenti… Francis: Non penso che abbiamo analizzato questa cosa poi così tanto. Non abbiamo pubblicato cose nuove negli ultimi dieci anni perché in pratica non eravamo d’accordo su cosa fare in studio, anche se ci sono stati diversi tentativi in questo senso. Alla fine ci siamo trovati d’accordo solo un paio di anni fa. Del tipo, sì – vogliamo avere successo; no – non vogliamo rimanerci fregati, no – non vogliamo avere stroncature (ride). Non sono cose che vogliamo, ma siamo in grado di accettarle se dovessere arrivare. Alla fine di tutto vogliamo solo suonare, senza altre cazzate.
Siamo una rock band che vive nella realtà… almeno per la maggior parte del tempo, se non ci fate bere. Siamo coi piedi per terra.
Santiago: I primi anni abbiamo avuto la sensazione che la gente volesse solo sentire il nostro vecchio repertorio. Ma che senso ha avere un pubblico che vuole sentire, diciamo, Don’t Fear the Reaper? Comunque erano dieci anni che non andavamo in tour, quando ci siamo riuniti: quindi abbiamo dovuto fare il giro del pianeta un po’ di volte per far contenti i fan.
Francis: Eravamo in tour in Brasile e lì abbiamo incontrato uno dei nostri vecchi roadie, Guitar George, quello che sa tutti gli accordi di tutte le nostre canzoni, “He knows all the chords”, come dice il testo di quel pezzo dei Dire Straits. Stavamo chiacchierando nella hall dell’albergo e ci fa “Ragazzi, è bellissimo rivedervi in tour, ora con questi dischi che avete potete campare altri cinque anni”. È stato il suo consiglio. A un certo punto ho capito che aveva ragione, che era lecito tornare a fare per un po’ le cose che hai già fatto. E quindi siamo passati a ripeterli per otto o nove anni (ride)!
Tu sei stato molto prolifico anche lontano dalla band.
Francis: Ho tenuto il piede nella porta, per così dire. Nove anni fa sono diventato padre. Se avessi avuto bambini prima, avrei rischiato facilmente di distrarmi, ma non avendo responsabilità ho continuato a fare la sola cosa che sapevo fare. Ci sono stati tour con Dave come gruppo spalla, ma col suo spettacolo di magia. Capiamo la cultura del tour, quello che c’è dietro. A volte non importa farci soldi. Certo se arrivano è una bella cosa, ma penso che fra di noi abbiamo capito che era bello anche fare certe cose a livello ridotto. Del resto veniamo da quelle situazioni, non è che siamo partiti già suonando su palchi enormi. Abbiamo iniziato con club di merda.
Nella prima incarnazione dei Pixies eravate molto seguiti ma ciononostante rimanevate un fenomeno underground.
Francis: Decisamente. Suonavamo ai festival, nei teatri. nei club. Dopo lo scioglimento venivamo approcciati da persone che ci dicevano “Però in Europa avevate fatto il botto, suonavate davanti a 50.000 persone!”. Però era prima di Sting, era lui l’headliner.
Santiago: Guarda che eravamo gli headliner a Reading.
Francis: Ah sì, OK.
Il video di Snakes:
Scrivere oggi per i Pixies è diverso da quanto succedeva prima?
Francis: Mi ci è voluto un po’ a capire come cambiare abito, mettiamola così. Mi è stato di aiuto il fatto che la band abbia avuto la pazienza di aspettare del materiale un po’ sostanzioso. Non posso mica portare in studio la prima cosa che mi viene in mente! Ma ci siamo anche fatti aiutare da Gil Norton alla produzione, che è stato fondamentale nell’indicare “Questo sì, questo no”.
Abbiamo suonato pezzi di Neil Young o Leonard Cohen, ma dopo il nostro trattamento suonavano ancora come pezzi dei Pixies. Il nostro filtro è così forte che qualunque cosa suoniamo continuerà a suonare come noi.
State scrivendo ancora?
Francis: Non come lo facevamo proprio all’inizio. Abbiamo provato la stessa modalità un paio di anni fa e non ha funzionato. Fumavamo un sacco di erba da ragazzi, come tante band giovani. Al sabato ci trovavamo in saletta. Riprovavamo lo stesso materiale per ore di seguito. Ogni notte dopo essere usciti dal lavoro andavamo in una sala prove a Boston che per essere un buco costava un occhio. Ci passavamo un sacco di tempo, cercando di capire chi cazzo fossimo.
David Lovering: Nella nostra saletta c’era un tombino per le fognature, e puzzava di fogna tutto il tempo, ma era fantastica. Ci divertivamo un sacco.
Francis: Anche quando non avevamo uno spazio dove provare andavano a casa dei genitori di David e suonavamo nel loro garage. Suonavamo e suonavamo e suonavamo. Ci esibivamo il più spesso possibile. Non vedevo l’ora di stare in saletta perché mi piace. Non facevamo improvvisazione… era come se trovassimo un groove dal quale si sviluppava un mantra, e io mi chiedevo “È questo il massimo che posso ottenere da questa cosa?”. E aspetti quel piccolo incidente, quel piccolo casino che fa diventare il tutto fantastico. Mi piacerebbe tornare in quella situazione.
È stato incoraggiante completare il disco?
Lovering: Mi sono divertito.
Francis: È successo che Kim Deal ha lasciato la band nel bel mezzo della lavorazione, quindi è stata una sfida… interessante. Non penso che vorremo vivere una cosa del genere di nuovo.
Cioè in pratica… avete dovuto decidere se continuare oppure no?
Francis: Già. In generale, l’idea parlandone fra di noi e con Gil e il nostro manager fu di non cercare di rimpiazzare Kim. Anche se il disco ha un buco a forma di Kim, avevamo bisogno di lasciarlo al suo posto, di non riempirlo. Non “Cerchiamo una ragazza con lo stesso suono di Kim!”. Ovviamente è una cosa che siamo stati tentati di fare. Abbiamo dovuto farci i conti.
Santiago: L’abbiamo lasciato lì, abbiamo lasciato quell’assenza al suo posto come un omaggio e per rispetto a lei.
In Bagboy c’è una voce che sembra quella di Kim.
Santiago: Non è stato voluto!
Francis: C’era questo ragazzo che ci stava aiutando a registrare i demo, e aveva messo giù delle tracce di voce quando non era in studio. Anche al momento quando l’ho risentito ho pensato “Oddio, ma è Kim, aha!”.
Santiago: All’epoca ho pensato anche io che suonasse davvero come Kim ma sai che c’è? Piuttosto che farlo notare ho preferito farmi i fatti miei e lasciar decidere a loro se la cosa andava bene. Io non lo sapevo.
Francis: Lo stesso ragazzo ci ha aiutato in un altro paio di occasioni, e lì non suonava affatto come Kim. È semplicemente uscito così in quella singola traccia. Peccato perché tanti fissati con i complotti hanno pensato che l’avessimo fatto apposta. Che palle.
I Pixies saranno in Italia al Rock in Idro il 2 giugno per l’unica data nel nostro paese. In questi giorni Black Francis ha anche pubblicato il suo primo libro, dal titolo The Good Inn (ne avevamo parlato qui).
L’ultimissima dei Pixies: la loro Gigantic nello spot iPhone!
(La foto in homepage è di Joseph Llanes)