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I Pop X hanno inventato un nuovo genere: la new sagra

Siamo stati a Trento da Davide e Walter per farci raccontare il nuovo album ‘Balla coi lupi nella stalla’. Una conversazione in tre atti (e molti drink) in cui si è parlato degli esordi, delle giornate senza casa a suonare con Calcutta e di come conciliare lavoro, paternità e musica (spoiler: whisky e cola)

Foto: press

Davide Panizza viene a prendermi alla stazione di Rovereto in monopattino. Non quelli elettrici, ma uno col manubrio ribassato e largo per fare i trick negli skatepark. Le sue dimensioni comunque sono troppo piccole per un adulto, cosa che rende ancora più goffa e curva la posizione del frontman e fondatore di Pop X nel tragitto dalla stazione alla macchina. «Sì, è dei miei figli» ammette con un sorriso a sua volta bambinesco.

Nel bagagliaio del suo furgoncino 4×4 c’è anche il sacchettone con dentro i rollerblade, il caschetto e le ginocchiere di Gioacchino, il maggiore dei tre baby Panizza. Fermi nel traffico di Trento, Davide mi spiega che deve lasciare alla sua compagna l’armamentario dei pattini perché Gio quel giorno ha la lezione di rollerblade. In più, dovremmo anche aspettare che Walter (Biondani, l’altro fondatore del progetto synth pop nel lontano 2005) esca dal suo ufficio per continuare tutti e tre l’intervista, che come vedremo si svolge in tre momenti e luoghi diversi di un mercoledì pomeriggio. Il tema centrale, così come il motivo della gita in Trentino, è chiaramente il nuovo album, Balla coi lupi nella stalla, in uscita il 18 ottobre per la consueta Bomba Dischi.

Insomma, per farla breve, ci sediamo in un bar, ordiniamo birre e spritz bianchi, e nell’attesa che accadano i sopraccitati eventi, cominciamo a parlare. Il locale comunque non è un posto a cazzo, bensì un’istituzione della cittadina, il Bar Funivia: un chioschetto in muratura che prende il suo nome dalla cabinovia che parte proprio lì dietro, sulla sponda dell’Adige, e collega Trento con la sua frazione Sardagna, 400 metri più in alto.

Nonostante non siano neanche le 4 di pomeriggio, tra i tavolini del Funivia si contano già i primi valorosi caduti: un ragazzo sui 30, completamente ubriaco, canticchia canzoni incomprensibili, alternando momenti narcolettici a ondate euforiche, per poi tornare di nuovo col cervello in modalità aereo. Il suo socio, più in là con gli anni, porta dei vistosi dreadlocks grigi. In bocca tiene un cannone di erba grande come il reattore numero 2 di Chernobyl, che evidentemente sta sortendo l’effetto desiderato. Scene di ordinaria amministrazione per chi, come me e Davide, è cresciuto in qualche bar di montagna, nella provincia del nord.

Ero rimasto che avevi due figli!
Davide: No, ora sono tre. Due anni fa è arrivata Carolina. Poi c’è Medea che è quella di mezzo e Gioacchino il più grande, che ha 10 anni.

L’ultima volta mi dicevi che non sopportano la tua musica.
Davide:
Ah, è ancora così! Gli faccio ascoltare altro, tipo Grassa e bella di Louis Armstrong, una vecchia canzone dove canta in italiano. Oppure gli piace il punk hardcore di qualche gruppo giovane di adesso. Poi, vabbè, La guerra di Piero di De André e cose così. Per forza di cose alle feste di compleanno dei loro amichetti ascoltano le hit di oggi, tipo Elettra Lamborghini. Ogni tanto quindi si lamentano con me che si sentono un po’ esclusi dagli altri perché non conoscono le canzoni del momento. Ma è meglio così, va.

Sono già venuti a un tuo concerto?
Davide:
Sì, pensa che la Medea è anche salita sul palco, una volta qui a Trento. L’ho presa in braccio e abbiamo fatto una canzone insieme. Era contenta ma anche sopraffatta dalle emozioni. Salire su un palco davanti a centinaia di persone è già un’emozione per un adulto. Figurati per una bambina di 7 anni.

Però almeno ora hai il tuo spazio per suonare e produrre le canzoni, senza rompere le scatole ai pargoli.
Davide:
Sì, da un anno e mezzo ho messo a posto questo sottotetto all’ultimo piano di casa mia. È lì che abbiamo fatto il disco nuovo, permettendomi di non rompere il cazzo ai miei familiari. Dopo ti ci porto.

Il nuovo disco è un bel ritorno ai vecchi Pop X. L’ultimo Anal House era una pazzia quasi tutta strumentale ed elettronica. I tuoi fan come avevano reagito?
Davide:
Anal House è stato recepito solo da una parte dei seguaci di Pop X, da quelli un po’ più perversi. Quelli che si aspettavano robe più classiche nostre ci mandavano messaggi tipo: «Ma cos’è sta merda, un’ora e mezza di live manco cantato». Fortunatamente i messaggi così crudeli sono stati pochi. Balla coi lupi nella stalla è un ritorno anche alle primissime robe che facevamo col Walter, ancora prima di avere un’etichetta dove pubblicarle. È tutto nato quando ai tempi di Anal House Walter mi ha chiamato dicendomi di aver scritto dei pezzi con la chitarra. Mi ha chiesto se volevamo riarrangiarli. Allora mi sono messo là e abbiamo cominciato a lavorarci.

Che poi se ci pensi, un disco pazzo come Anal House, prodotto con software come Max MSP, come fanno gli Autechre, è una follia. Soprattutto se pensi che è distribuito da una major come Universal.
Davide:
Sì, l’idea era di fare una roba ballabile, con un linguaggio comprensibile come la dance, ma con un metodo inusuale. Non è la techno oscura, è musica allegra. Di solito ste robe un po’ pazze escono su Pan o su Warp. Invece noi su Bomba Dischi (ride).

Altro motivo di lode i ragazzi di Bomba. Poi ora anche la Francia si è innamorata di Calcutta, Giorgio Poi e banda. Voi avete aperto per i Phoenix a Parigi.
Davide:
Ma tra l’altro sai che due dei Phoenix sono di qua? I due fratelli Mazzalai sono originari di Sardagna, quel paesino che c’è lassù alla fine della funivia. Mazzalai è un cognome trentino. Sono cresciuti a Versailles, ma i parenti vengono da qua. Sono dei trentinazzi e mi hanno detto che ogni tanto ci tornano anche.

Allucinante. E Walter invece che ruolo ha? Ci sono stati molti anni di Pop X senza di lui.
Davide:
Con lui ho sempre collaborato quando si trattava di fare delle canzoni. Quindi proprio riguardo all’aspetto compositivo. Secondo me lui ha un suo punto di vista chiaro e le canzoni che scrive sono buone. Quindi ogni tot io gli scrivo sempre per chiedergli come va, se ha scritto qualcosa, se ha voglia di farmi sentire quello che ha scritto, se ci becchiamo insomma. A volte mi dice di no, a volte sì. Semplicemente è successo che per anni non ha scritto nulla e quindi non abbiamo fatto robe insieme. Negli ultimi anni è tornato a scrivere di più. Quando abbiamo fatto il primo album, Pop Per, nel 2005, ci eravamo messi lì, a tavolino, dopo la maturità, con l’idea di fare canzoni in italiano con questo sound un po’ retrò ma elettronico. Allo stesso modo abbiamo fatto con l’ultimo album.

Quali erano le reference iniziali nel 2005?
Davide:
Ci eravamo ispirati a tante cose diverse. C’era il Morgan di Canzoni dell’appartamento, c’erano i Soerba che erano tipo i Bluvertigo ma più elettronici. Era il synth pop italiano di quegli anni che ci piaceva. Ascoltavamo anche tanti cantautori come De Gregori, infatti avevamo anche fatto la cover de La casa di Hilde. Era un po’ la musica che c’era all’epoca. Niente di troppo ricercato ma neanche troppo mainstream. Anche gli Amari ci piacevano molto, erano un bel modello, così come Bugo dei primi dischi. Walter invece veniva più dai NOFX, i Green Day, i CCCP. O anche Battiato, Enya, gli Enigma, musica da film come la colonna sonora di Donnie Darko o le musiche dei film di Lynch.

Badalamenti!
Davide:
Esatto, Badalamenti. Ma la roba che abbiamo ascoltato di più forse era lo ska. Sia io che Walter. Noi suonavamo insieme in un gruppo che si chiamava Gengiska. Cioè, il gruppo era suo, ma a un certo punto mi aveva inserito nella band con il ruolo di giullare/suonatore di tastiera e robe elettroniche. Poi però gli avevo proposto di inserire molta più elettronica nel gruppo. Io all’epoca avevo iniziato a smanettare coi software. Avevamo questa canzone intitolata Caprozzo, e avevo proposto di sostituire le batterie con quelle elettroniche. Ricordo che siamo andati a Padova a registrare a casa di una sua amica. Siamo stati tutta la notte a programmare nei minimi dettagli questa batteria in tutti i suoi stacchi eccetera. C’era questa voglia di ska, quindi di chitarra in levare tipo Giuliano Palma e i Bluebeaters, ma più elettronica. Se ci fai caso, la chitarra del Walter è sempre in levare, è una chitarra Godin, quindi piccolina con le corde in nylon ma amplificata. Mettici anche una sostanziale influenza di valzer e musica folkloristica, ed eccoci qua.

Avete adottato un metodo preciso per l’album?
Davide:
Di solito parto dai kit di batteria. Quindi, i vari suoni dalla cassa, al rullante, al charleston. Ne ho trovato uno che ci piaceva molto, quindi ci abbiamo fatto tutto l’album. Esclusa una traccia. Abbiamo iniziato almeno due anni fa, mentre facevo Anal House, e poi per tutto lo scorso inverno a cadenza settimanale. Nello studio nel sottotetto abbiamo iniziato a stendere brani, a finirne altri che aveva iniziato Walter per conto suo. È un disco che si presta bene al live, lo vogliamo ballare. Poi il Walter ha questa regola cosmologica per cui i pezzi devono sempre pompare. Lui non accetta brani che non spingano. Quando magari gli propongo un sound più sofisticato, dove magari manca quella pompa da ballare, lui allora inizia a storcere il naso, va a rollarsi una sigaretta. Si chiude un po’ in sé stesso.

Voi avete la stessa età?
Davide:
No, lui è più grande di me. Io sono dell’85, mentre lui penso dell’81. O forse addirittura dell’80, ora non mi ricordo bene. Ma è questo che lo rende speciale. Ha 43-44 anni ma è il più gasato di tutti, la musica per lui è quello. Il suo contributo a Pop X è stato soprattutto questo. Il dire: «Bello, va bene tutto, però se non pompa lascia perdere, fa schifo». E alla fine questa cosa me l’ha passata un po’, mi ha influenzato la sua filosofia. Poi, chiaro, magari il concetto di pezzo che pompa è cambiato anche per noi nel tempo. Ora che abbiamo 40 anni i pezzi non pompano più velocissimi come Motoretta o Io centro con i missili. È un divertimento un po’ diverso, fatto per chi magari si beve giù cinque o sei spritz, ha voglia di fare festa, star lì a far il coglione con questa musica da Oktoberfest senza troppe pretese.

In effetti c’è anche questa commistione di giri da liscio, musica da sagra.
Davide:
Sì, in questo disco più che negli altri. Abbiamo suonato tanto alle sagre, anche quando avevamo la band ska. Però è più ricercata come musica, è new sagra. Una sagra dirottata in un contesto che non esiste. Perché le sagre, poi dopo un po’ fanno cagare. Cioè io dopo un po’ mi rompo i coglioni, anche se mi sbronzo. Non c’è niente da fare al di fuori di mangiare, bere e osservare la fauna.

Gli altri regaz che di solito sono sul palco con te hanno un qualche ruolo nella scrittura o sono solo live members? Parlo di Babic, Niccolò, ecc.
Davide:
Niccolò ha contribuito per un periodo. Dal 2011 al 2015, più o meno quando è uscito Mainstream, sia io che Edoardo (Calcutta) frequentavamo molto la casa di Niccolò (Di Gregorio) nelle Marche. C’era anche il Babic. Sia d’estate che d’inverno andavamo lì a Pesaro, dove Nico aveva una soffitta tutta sua. Noi tutti non avevamo ancora una casa nostra dove vivere per i fatti nostri. Né io, né Edoardo, né Babic. E quindi potevamo stare lì quanto volevamo, perché Niccolò era contento, ci facevamo compagnia, cucinavamo e scrivevamo canzoni. Era l’epoca di Friuilli, il progetto che avevamo con Edo. Molte delle canzoni di Mainstream sono state scritte e arrangiate là. Poi lui, dopo vari tentativi con altri, è riuscito a farsi pubblicare da Bomba Dischi e da lì è iniziato tutto. C’era molto lavoro di gruppo. Niccolò magari buttava giù le batterie, e qualcun altro aggiungeva le chitarre o le tastiere.

Foto press

A questo punto Davide riceve la chiamata dalla sua compagna, che gli dice di essere quasi arrivata al Bar Funivia. Davide allora prende il sacchetto, lo consegna al volo alla macchina traboccante di bambini sorridenti, che riparte subito. Noi invece finiamo le birre, offerte gentilmente dal Maestro Panizza (è docente di tecnologie musicali a tempo pieno, dopotutto), e finalmente becchiamo Walter. Ci aspetta in un parcheggio a un quarto d’ora di macchina da Trento, su una strada in salita che porta a un bel laghetto circondato da pini e larici. La parte d’intervista che segue è la nostra chiacchierata mentre camminiamo lungo i sentieri attorno al lago e sopra le miniere d’argento lì vicino, ormai dismesse.

Walter, quindi quanto ci avete messo a fare il disco?
Walter:
Un paio di mesi, dai.
Davide: Ma come un paio di mesi? Cazzo, gli ho appena detto che son passati due anni dalle prime canzoni che abbiamo scritto, mona.
Walter: Allora, ok, nella primavera 2023 abbiamo cominciato a mandarci qualche canzone. Quindi, un anno e mezzo fa. E da lì poi abbiamo accelerato. Si vedeva da subito che queste canzoni erano lanciate.

C’è però una canzone, Fuma, che però era già presente in parte in un’altra di qualche anno fa, Destination Malarya, no?
Davide:
Ah sì? Cazzo è vero! È una canzone totalmente diversa ora. Anche il testo è stato cambiato in diversi punti. Però, sì, non me lo ricordavo.

Walter, tu sei appena uscito dall’ufficio. Ma che lavoro fai?
Walter:
Lavoro per la Soprintendenza per i beni e le attività culturali. Sostanzialmente, il grosso del lavoro che faccio è fotografare e digitalizzare vecchie opere, siti o documentare tradizioni del Trentino.

E questa cosa di Pop X è sempre stata una valvola di sfogo, quindi? Una fuga dalla routine quotidiana.
Walter:
Sì, ma lo è sempre stata soprattutto per Davide. A me quasi spaventa andare in tour. La mia routine è forse più serrata. Sarà anche per questo che a volte può essere destabilizzante andare per concerti. Da una parte ho un’attrazione per l’inusuale, e suonare dal vivo ti dà delle sensazioni indescrivibili. Dall’altra parte non vorrei devastarmi. L’ultimo hangover pesantissimo è stato proprio dopo un nostro concerto. Ho bevuto troppo e l’ho pagata cara. Devo trovare un equilibrio, anche perché ci sarò per tutto il tour. Non posso mica bere whisky e cola come questo qua (indica Panizza).
Davide: Vecio, il whisky e cola è la bevanda perfetta. La cola ti dà quella botta di energia degli zuccheri e caffeina, mentre il whisky ti dà l’euforia. Io il giorno dopo che bevo quella roba sto da Dio, come se avessi fatto attività fisica.

Il tour si estende anche all’anno prossimo, il 2025. Saranno 20 anni del progetto Pop X. A parte l’età che cosa è cambiato da allora?
Walter:
Per me è sempre un’avventura. Non sento che è cambiato molto. C’è solo più gente ai concerti. Ma se c’è qualcosa su cui siamo sempre stati coerenti è la musica. Non ci siamo mai posti il problema di piacere agli altri o fare cose che andavano di moda.

A cosa pensi siano dovuti i periodi in cui non scrivi musica?
Walter:
Di solito funziona che scrivo musica quando ascolto tanta musica. Sono in un periodo in cui ascolto tanta musica leggera, un po’ di tutto. Da Skinshape a Tony Guerrero, tanta roba per chitarra. Non lo so se poi quello che scrivo c’entra molto con quello che ascolto, però le due cose sono sicuramente correlate. In generale, quando scopro musica nuova che non conoscevo, allora scrivo qualcosa. Poi magari ci sono dei periodi in cui, sai, uno ascolta sempre le stesse robe. E allora no. Oppure, magari, può succedere che mi viene una roba e la butto lì. Quando poi comincio ad avere una quantità di materiale consistente, e per caso il Davide mi scrive se ho roba nuova, allora da lì nasce qualcosa.

Dopo tutti questi anni, vi siete fatti un’idea del prototipo del vostro fan?
Walter:
Più o meno la gente è quella. Universitari, gente che vuole fare un po’ di festa. Poi, è chiaro che molta della gente che ci seguiva dieci anni fa ora non fa più l’università, si spera. Io sono molto curioso di vedere questo album fatto dal vivo.

Anche io, e poi secondo me dentro ci sono già dei classici.
Davide: A me piace molto China, il primo singolo che è uscito.
Walter: Anche Fuma è bella. Ha del potenziale.
Davide: Lì mi è dispiaciuto togliere la rima con “Aquila Nera”. Era uno dei miei ristoranti preferiti. Entravi e chiedevi all’anziana proprietaria, la signora Maria, dov’è il bagno e lei ti rispondeva marmorea: “Giù, da basso”. Non era propriamente una persona espansiva.

Il sole tramonta sullo specchio d’acqua del laghetto, quindi decidiamo di andare a casa di Davide, qualche tornante più sotto. Lì ci accoglie la sua famigliola. Beviamo qualche calice di vino e di amaro, per poi concludere la giornata e l’intervista nello studio nel sottotetto. Passiamo un’ultima mezz’ora a chiacchierare e sparare qualche stronzata. Poi Walter verso sera mi riaccompagna alla stazione.

Ma poi tra l’altro, chi sono le due persone che hanno i vostri vestiti addosso nelle foto in studio?
Davide:
Ah, sono dei nostri amici. Ci piaceva la gag di confondere un po’ le cose scambiandoci i vestiti con qualcuno di lontanamente somigliante a me e Walter. Era un po’ per fare gli scemi.

Però in compenso in questo disco ci sono pochissime parolacce.
Davide:
È vero. Anal House era tutto una parolaccia in inglese. In questo disco invece c’è una traccia dove parlo portoghese. Sono stato in Brasile nel 2001, per studiare un mese lì. Ho ancora qualche reminiscenza della lingua. E poi c’è qualche verso in inglese. Ormai ho fatto il B2 d’inglese, lo padroneggio perfettamente. Quella canzone in particolare è quella che ti dicevo prima che si differenzia da tutti. Drumkit diverso, lingua diversa. L’abbiamo messa per spezzare la monotonia.

Per spezzare la monotonia tu l’anno scorso hai anche prodotto la tua prima colonna sonora per un film, Troppo azzurro di Felice Barbagallo. Lo rifaresti?
Davide:
Sì, perché no? Mi sono divertito. Era un film d’esordio ma era prodotto come si deve, da una casa di produzione. Pensa che io e Walter sono mille anni che diciamo di voler fare un film, proprio come registi, ma ancora non abbiamo fatto nulla. Anche tra Anal House e questo disco c’eravamo messi di nuovo a pensarci, ma alla fine abbiamo fatto il disco.

Ma c’è già una trama di questo film?
Davide:
Certo!
Walter: Un horror!
Davide: Però è complicato, molto più che fare un disco. Abbiamo anche provato nell’estate 2022 a prenderla finalmente sul serio contattando una sceneggiatrice. Abbiamo fatto una passeggiata con lei nel bosco su come volevamo fare il film. Ci siamo messi lì anche a scrivere qualche scena, però poi ci è sembrato più impegnativo di quanto potessimo dedicargli.
Walter: Volevamo fare una roba realistica con ultra violenza.
Davide: Un film sostanzialmente contro il turismo di massa. Anzi, contro il turismo. Era ambientato qui, con protagonisti due padri di famiglia che poi siamo noi due. Anche Walter ha due figli. E quindi pian piano cominciano a sbroccare contro i turisti che vengono qui in zona. Prima compiono azioni ostili, anche solo insultando. Ma poi c’è questa escalation per cui l’ostilità diventa sempre più sanguinosa e concreta. Alla fine insegnano ai figli a uccidere i turisti, tramandando l’omicidio di generazione in generazione. Ci eravamo immaginati la scena del classico milanese col macchinone che viene raggiunto alle spalle da uno dei protagonisti e gli spacca in due la testa con una pietra.

Comunque sarebbe un tema perfettamente attuale. Vabbè, quindi se non ci fosse questo studiolo non ci sarebbe il disco?
Davide:
Ci credi che sono vent’anni che suoniamo e non abbiamo mai avuto un posto dove suonare? Mai avuto un cazzo di parente che ci prestasse una cazzo di cantina. Siamo sempre stati dei nomadi e nonostante ciò siamo riusciti a fare i nostri dischi. Quindi, da quando ho questo spazio, che fino a un anno e mezzo fa era solo cemento e tegole, tutto è cambiato. Walter, ti ricordi i primi tempi che venivamo qua? Al posto dei pannelli di legno, con dentro l’isolante, al posto del bel Velux, c’era il polistirolo attaccato con lo scotch per non aver freddo. Qua c’erano le tegole da cui passava tutta l’aria del mondo. Era come stare all’aperto. Facevamo le prove in giacca, quattro calzettoni e doposci addosso.
Walter: Io dovevo suonare la chitarra e dopo un po’ non mi si muoveva più il polso. Dovevo tornare a casa perché non riuscivamo più a suonare.
Davide: Ora si sta bene perché è mezza stagione ed è tutto ben isolato. Ma quando fa così freddo che non hai neanche più voglia di parlare, allora ti passa la voglia di ascoltare e registrare anche. La vedi quella bottigliona di grappa vuota? Quella è stata la migliore compagna durante quelle sessioni.
Walter: Cazzo, avevamo il fiato che si condensava.
Davide: Ma poi a 40 anni, non a 17. Io ho passato la mia vita attorniato da persone che avevano già il gruppetto con la loro sala prove, gli strumenti, tutto perfetto.
Walter: Sì, ci abbiamo provato ad affittare le salette. Ma anche lì non duravamo tanto.
Davide: Eh, se gli rovesciavamo la birra sul tappeto ci rompevano i coglioni, se non pagavamo l’affitto ci rompevano i coglioni (risata collettiva).
Walter: Tu pensa, gli sfasciavamo le cose e si lamentavano pure!
Davide: Ti giuro, questo è il primo posto fisso che abbiamo, a 40 anni suonati. Non avessimo avuto questo posticino non so se avremmo continuato.

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