Il nome di Camilla Magli potrà suonare nuovo al grande pubblico, ma chi frequenta la scena musicale – in particolare quella milanese, sua città d’adozione, che considera casa ben più della provincia pugliese dove è nata e cresciuta – la conosce da un bel po’: il suo talento è il classico best kept secret che attende pazientemente di essere svelato. Canta fin da piccolissima, ma in maniera quasi inconsapevole: «Non ho mai deciso razionalmente di voler fare questo nella vita, è successo e basta», dice semplicemente. La mentalità del paesino dove cresce (Carovigno, non lontano da Brindisi) le sta stretta: «Era tutto molto pesante per me. La musica è stata un po’ la scusa per andare via, per giustificare ai miei genitori la voglia di trasferirmi altrove. Mi ha aiutato a trovare la mia vera voce, a non vivere tappandomi la bocca. L’ho detto anche alla mia psicologa: se nella vita non ho mai perso il focus, è stato proprio grazie alla musica. Non posso sfuggirle».
Così a 17 anni si trasferisce nel capoluogo lombardo per studiare al CPM, un istituto di alta formazione professionale a vocazione musicale. «Durante la prima lezione entra in classe uno studente ritardatario – avrei poi scoperto che è sempre in ritardo. Si faceva notare subito: capelli biondo platino, look anticonformista… È stato così che ho conosciuto Ale», racconta.
Ale sarebbe Alessandro Mahmoud, qualche anno dopo ben più noto come Mahmood. «È stato il mio primo amico, sia a Milano che nella vita. Mi ha insegnato che esistono persone che ti stanno vicino, ti apprezzano, ti aiutano e ti stimolano: fino ad allora non credevo fosse possibile. Non saprei neanche come descriverlo artisticamente, perché umanamente mi è così vicino che non riesco a separare le due cose. A livello musicale lo stimo tantissimo, ma per me è soprattutto un fratello».
Con Mahmood ha in comune parecchio, come la voglia di scrivere i propri testi e di non essere semplicemente un’interprete («Tra le altre cose facevamo anche dei corsi di songwriting, e mi si è aperto un mondo: ho iniziato a pensare che avrei dovuto scrivere canzoni mie»), ma anche un breve passaggio tra i concorrenti di X Factor (nel caso di Camilla si tratta dell’edizione 2014, vinta poi da Lorenzo Fragola: era nella squadra di Victoria Cabello) e ad Area Sanremo.
La sua gavetta prosegue con molto studio – sia di registrazione che in senso stretto – e nel 2020 ha modo di farsi notare dalla neo-rinata Numero Uno, l’etichetta di Lucio Battisti e della PFM, che ha riaperto ufficialmente i battenti due anni fa sotto l’egida di Sony. L’obbiettivo, per lei, è sempre quello: scrivere qualcosa di personale, che le permetta di emergere per ciò che è davvero. «Sono andata avanti a piccoli passi. È stato un lungo percorso di crescita personale, in cui ho dovuto risolvere alcuni aspetti di me: se non sei onesta in primis con te stessa, cosa potrai mai scrivere?». Oggi si sente più serena, ha voglia di mettersi in gioco e di esprimersi, ma in questi ultimi anni ha avuto un po’ di paura, ammette. «Ogni giorno era una lotta con i miei piccoli tormenti: mi tenevo tutto dentro, e il non detto mi faceva sentire oppressa. Questo primo EP era un appuntamento con me stessa che non potevo più rimandare».
L’EP in questione, Club Blu, è uscito il 30 settembre, segna il suo debutto ufficiale e raccoglie i singoli usciti finora, più due inediti (la title track e Ore). Caratterizzato da un racconto molto personale e da un punto di vista intimo e inconsueto, spazia tra vari generi musicali, con un unico trait d’union: la personalità e il carisma di Camilla Magli. «Sono pezzi influenzati dagli ascolti del momento, ma anche da sonorità che ti restano dentro senza neanche che tu le abbia scelte», spiega. «Ad esempio, quando ero ragazzina ascoltavo tantissimo Elliott Smith: nell’ambientazione di brani come Ore o Club Blu – chiusa, intima, quasi per voce e chitarra – sento molta affinità. Ma oggi ascolto molto anche Nathy Peluso, Rihanna o Rosalía, cosa che mi fa uscire del tutto da quei binari in pezzi come Knock Out. In generale mi piace chi riesce a guardarsi davvero dentro, senza filtri, aiutando anche te a fare lo stesso: Luigi Tenco, Califano, Marracash».
Tra i collaboratori dell’EP ci sono molti nomi noti, che però per Camilla sono parte di un percorso innanzitutto umano: Mahmood (con cui ha scritto il brano Il fumo uccide), Katoo (un altro amico della prima ora), Big Mama e Bresh (conosciuti tramite i social e poi diventati amici e collaboratori), Franco 126 (che ha voluto regalarle il suo brano Ore), ma anche Adele Nigro (in arte Any Other) e Michelangelo. «Con Michelangelo è stata una storia assurda!», esclama. «Nel 2015, dopo la partecipazione a X Factor, ero stata invitata a una serata di beneficenza a Cremona a suonare un paio di canzoni. Mi accompagnava un chitarrista che all’epoca non conoscevo. Anni dopo è venuto fuori che era proprio lui. L’avevo completamente rimosso, è stato lui a ricordarmelo mandandomi una foto di noi due sul palco insieme. Il mondo è davvero piccolo». Per sua fortuna, perché per sua stessa ammissione le piace molto stringere dei rapporti veri con la gente con cui collabora, al di là dell’aspetto lavorativo.
Club Blu, oltre ad essere il titolo del progetto, è il nome di una marca di sigarette, quella che fuma Camilla. «Ho fumato davvero parecchio mentre stavo scrivendo l’EP», ride. «Era un periodo molto intenso, di grande solitudine e analisi, trascorso cercando il coraggio di uscire dal mio guscio. Passavo molto tempo chiusa in casa a leggere e scrivere, immersa in un’atmosfera nebbiosa e malinconica (non a caso, in inglese la parola blue vuol dire anche triste). Insomma, mi sembrava il titolo perfetto».
I riferimenti al tabacco sono parecchi in ogni brano, e in questo periodo storico di salutismo estremo, o di vizi ben più strong, fa un po’ strano ascoltarle: se non fosse per il sound più che attuale, sembrerebbe di ascoltare quelle vecchie canzoni tipo Ta Ra Ta Ta (Fumo Blu) di Mina, in cui se un uomo sa di fumo è veramente uomo. «Mi sono posta il problema, e so che magari pare brutto parlarne così tanto, ma il fumo entra nella mia narrazione, è la mia vita: non potevo far finta che non fosse così, sarebbe stato disonesto», replica. «Per non parlare di canzoni come Il fumo uccide, ispirata proprio dalla scritta sul pacchetto che avevo appoggiato sul pianoforte in quel momento. Impossibile auto-censurarmi». È anche vero che per lei questo EP è stato «una sorta di parentesi personale che avevo bisogno di chiudere, nata in un momento molto particolare della mia vita. Ora mi sento molto diversa, rispetto a quel mood, perciò mi è venuto naturale racchiudere i brani scritti in quel periodo in un prodotto a sé, per poi andare avanti con il mio percorso».
Il suo percorso continua nel solco che ha tracciato finora. «Sto scrivendo tantissimo in questo periodo: il mio obbiettivo è quello di continuare a migliorare e tirare fuori tutto ciò che non ho detto finora. Non necessariamente le ferite: voglio darmi la possibilità di esplorare altri territori emotivi».
È un momento d’oro per le cantautrici pop: dopo anni in cui le semplici interpreti sembravano farla da padrone, oggi sembra che ci sia un’attenzione maggiore – anche da parte dell’industria e del mercato – per ciò che le donne hanno da raccontare. «In generale credo sia un problema di educazione all’ascolto, ma mi rendo conto che a volte è più semplice seguire un ragazzo. Forse le artiste donne sono percepite come più analitiche e complesse? Non saprei», osserva Camilla Magli. «Sicuramente in questo momento sentiamo di avere più libertà di espressione, e il ritorno (soprattutto in termini di energie che riceviamo indietro) è molto positivo. Se sei donna, però, devi ancora dimostrare di essere brava il doppio. Per quanto mi riguarda, cerco di guardare oltre e di offrire il meglio di ciò che sono, continuando a lavorare nella speranza che questo divario un giorno venga colmato».
Nell’attesa, è tempo di pensare a una dimensione live. «Ho 27 anni, vivo a Milano da 10, ma sto cominciando a muovere i primi passi ora, in termini di carriera: per me è tutto nuovo, è tutto una prima volta», sorride. «La sola idea che il mio progetto possa approdare dal vivo è un sogno: io che i concerti li vivo sotto il palco non vedo l’ora di ritrovarmi dall’altra parte. Sto lavorando molto anche in questo senso».