In piena pandemia Jess Williamson s’è messa a fare lunghe passeggiate con la vicina di casa Natalie Mering, in arte Weyes Blood. «L’avevo incontrata qualche volta di sfuggita, ma non ci conoscevamo», racconta Williamson. Avventurandosi per Los Feliz con Luigi, il pomerania di Mering, le due discutevano di musica e ragazzi, arrivando a creare una chat battezzata Ho Support. «Si parlava di ragazzi e magia», dice Mering, «ma soprattutto di ragazzi».
Williamson racconta alcuni dei suoi appuntamenti nel singolo uscito a fine marzo Hunter dove canta della dura realtà di Tinder: “Sono stata gettata in pasto ai lupi. E m’hanno mangiato cruda”.
«Non conoscevo le app di dating perché venivo da due relazioni lunghe», racconta Williamson, 35 anni. «C’è stato un momento fugace in cui ho pensato: “Vediamo com’è”. Ero impreparata al rifiuto e alla disumanizzazione. Mi sono resa conto di non essere interessata alle relazioni occasionali. Per me se non c’è amore, è noia».
Hunter è il secondo brano tratto dall’album Time Ain’t Accidental, uscito il 9 giugno. Con forti pennellate di Americana e un songwriting tagliente come un rasoio, il disco traccia una linea di continuità tra Sorceress del 2020 e I Walked with You a Ways del 2022, quest’ultimo realizzato in duo con Katie Crutchfield (Waxahatchee) e uscito a nome Plains. Le 11 canzoni del nuovo disco sono un mix di country anni ’90 e di influenze più datate: immaginate Strawberry Wine di Deana Carter mescolata con Harvest Moon di Neil Young. E no, Williamson non è una tipa superficiale quando si tratta di amore. È una che in Hunter canta che “il mio amore è puro come l’universo, onesto come un posacenere”.
«Sapevo che aveva questa sensibilità country che emerge nei testi», dice Mering. «Quando ho sentito la frase “onesto come un posacenere” ho pensato che faceva molto Jess. È schietta e informale. Riservata, ma calorosa. Non è depressa, è fiduciosa».
Foto: Thalía Gochez per Rolling Stone US. Abito Dôen
Williamson è collegata via Zoom dalla sua casa di Marfa, Texas. Indossa una camicetta bianca traforata sotto una salopette di jeans azzurra. La frangia dei capelli castano-marroni le scompiglia la fronte. Lei, originaria di Dallas, e il suo cane trovatello Nana (che riposa sul letto, dietro di lei) fanno la spola tra il Texas e la California. Williamson vive qui nel deserto con il compagno, un tipo che già conosceva quando tre anni fa ha iniziato a uscirci assieme. «È una città piccola», dice. «E da anni continuavo a imbattermi in questo ragazzo che non conoscevo granché».
Time Ain’t Accidental, che dà il titolo all’album, è il ricordo affascinante di come si sono innamorati. “Ti ho letto Raymond Carver al bar della piscina come una signora”, canta lei sopra un tappeto di drum machine. “Ti conoscevo da un po’, ma tu eri il ragazzo di qualcun’altro”.
Williamson stava davvero leggendo una raccolta di racconti di Carver (Da dove sto chiamando, 1988) e anche la vicenda di Time Ain’t Accidental si svolge come un racconto. «È stato magico», dice di quel giorno. «Eravamo in piscina e dal nulla è scesa una tempesta di grandine. Ci siamo riparati sotto una tenda e stavano suonando Bonnie “Prince” Billy. È stato così romantico». Il giorno seguente, Williamson si è seduta alla tastiera e ha scritto il pezzo.
Colonna portante del brano e di tutto l’album è la drum machine di un’app per iPhone che Williamson ha scoperto all’inizio del lockdown. Aveva bisogno di trovare un modo per creare musica da sola non potendo andare in tour, mentre si riprendeva dalla fine di una relazione durata quattro anni. «Per la prima volta non avevo nessuno con cui scambiarmi le idee, mi sono sentita molto esposta e sola. Scrivere con una drum machine mi ha aiutata a colmare certe lacune dal punto di vista sonoro».
È stato usando l’app che Williamson ha scritto Pictures of Flowers, una riflessione dolorosa sulla pandemia. “Se questa è la fine di Los Angeles, non sarò una star”, canta, con Meg Duffy degli Hand Habits che l’accompagna con la chitarra slide.
Pubblicata nel giugno 2020 in una compilation dell’etichetta Mexican Summer, la canzone ha rappresentato l’avvento di un nuovo sound per Williamson. Aveva già scritto per le Plains come Summer Sun e No Record of Wrongs, ma erano pezzi più lo-fi e indie, per quanto belli nella loro semplicità. «In quel momento mi si è accesa una lampadina: forse non ho bisogno dell’aiuto di altri e posso fidarmi di ciò che sento».
Foto: Thalía Gochez per Rolling Stone US. Abito Dôen
Williamson ha portato le canzoni a Durham, North Carolina, dal produttore Brad Cook, che aveva lavorato al disco delle Plains e a Saint Cloud dei Waxahatchee. Lei pensava che quei beat fossero provvisori, ma Cook l’ha convinta del contrario.
«È un’app molto facile da usare. Non c’è bisogno di sapere chissà che per creare suoni fantastici. Per me era come imbrogliare e invece lui mi ha preso il telefono, l’ha collegato al computer e ha importato i beat. “Hai scritto le canzoni con questa cornice sonora, dobbiamo tenerla”».
Una lezione simile Williamson l’ha avuta da Crutchfield che, a un certo punto, le ha detto di smettere di pasticciare con quella gemma che è Abilene delle Plains dicendole che era una canzone perfetta e non aveva bisogno di modifiche. «Se una cosa mi pare troppo facile, allora deve esserci qualcosa sbagliato. Devo essere presente a ogni singolo step del percorso, commentando ogni piccolo suono. E invece no, non funziona così. Non è questo il mio punto di forza».
Questo senso di semplicità permea tutto Time Ain’t Accidental compresa Chasing Spirits, scritta sul suo ex. “Le mie canzoni d’amore sono bugie, ora che l’amore è finito?”, si chiede. “Ce n’è una che parla di ‘per sempre’ e / Di averti ‘amato in una vita passata’ / O qualcosa del genere”.
In God in Everything Williamson canta di un potere superiore. Ma, come nella vecchia Wind on Tin, si mantiene sul vago. «Ho ricevuto un’educazione cattolica», dice. «Dio era una cosa molto importante e poi c’erano Gesù e la Chiesa e l’inferno ed evitare di fare sesso prima del matrimonio». Quando frequentava l’università del Texas, «mi ribellavo a tutto questo ed ero atea. Negli ultimi anni ho trovato una mia dimensione spirituale. Sento la presenza di un potere superiore quando sono nella natura e nelle piccole coincidenze e nei miracoli che accadono ogni giorno. Dico Dio perché è un termine universale che la gente capisce, ma non intendo proprio quell’uomo in cielo con la barba».
E poi ci sono Tobacco Two Step e Topanga Two Step, un uno-due allo stomaco che parla delle due case di Williamson e della sua breve esperienza con Tinder. «Stavo pensando al Texas Two Step, il ballo che facciamo a casa. Non mi sento più a mio agio lì e nemmeno so se sono ancora la benvenuta. Ero a Los Angeles, stavo provando la app di dating e in quel momento mi sentivo divisa tra i due posti. È così che mi sento a volte, ballando il Texas Two Step. Non so come si fa. Spesso nella vita mi sono sentita come se tutti gli altri conoscessero le regole, le seguissero e facessero tutto per bene. Io cerco solo di non restare indietro».
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Foto: Thalía Gochez per Rolling Stone US
Producer: Joe Rodriguez & Sandra Riaño
Acconciatura: Gabriella Mancha
Makeup: Yukari Bush
Styling: Raina Selene
Assistente alla fotografia: Ash Alexander
Da Rolling Stone US.