Nessuna amministrazione comunale potrà mai convincere i milanesi a chiamare la suddivisione a “Zone” della città con il nuovo termine “Municipio”. Non è un limite mnemonico, è proprio che è una parola terribile, capace di ammantare di burocrazia qualsiasi contesto in cui venga utilizzata. Per esempio, nessuno chiamerebbe mai il proprio collettivo di rapper Municipio 4 Gang. Invece, Zona 4 Gang è un ottimo nome.
La Zona 4 di Milano va da Porta Romana, il punto più vicino al centro, fino all’aeroporto di Linate. In mezzo ci passa la Metro 3 da Lodi fino a San Donato, un pezzo di Tangenziale Est e di fiume Lambro. E in un angolino a sud c’è un quartiere delimitato dalla circonvallazione interna e dalla ferrovia, tagliato a metà dal filobus 90: Calvairate. Per me che sono di Zona 2 (una striscia di città a nord che va da Stazione Centrale a Greco, su per il Naviglio Martesana), Calvairate è un mistero. Approfitto di Rkomi, rapper della Zona 4 Gang nato e cresciuto in quel quartiere, per farmi spiegare come sia: «C’è una parte popolare e una parte residenziale. Non è balorda come poteva essere una volta, siamo comunque a 15 minuti dal centro. Ma bisogna passarci un paio di giorni per capirla». La descrizione potrà essere insoddisfacente, ma la verità è che nessuno come Rkomi – all’anagrafe Mirko Martorana, classe 1994 – ha raccontato così bene quel quartiere, prima con Calvairate Mixtape, poi con Dasein Sollen, l’EP pubblicato a ottobre 2016 che lo ha fatto emergere dalla scena trap milanese come uno degli autori più interessanti, e non solo per i fan del genere – Calcutta, l’Oprah Winfrey del cantautorato indie, ha messo il suo bollino di approvazione sull’EP, e se lo porterà come apertura ai concerti.
Mirko non aveva il sogno del rap, «il desiderio di fare musica è iniziato quando ho scritto le prime cose, quando ero un ragazzino direi che non avevo voglia di fare un cazzo», racconta con un tono di voce pacato e le stesse “e” allungate dei ragazzi seduti sulle panchine della mia Zona 2, e di qualsiasi altro quartiere di Milano. «Ascoltavo mio cugino, che è sempre stato fortissimo a rappare, e mi piaceva andare in studio, anche se non avevo niente da registrare. A un certo punto, mi sono detto: provo a scrivere, a registrare qualcosa». I primi pezzi arrivano quando ha 17 anni, e un anno dopo esce Calvairate Mixtape, sette brani pubblicati su YouTube, che passa piuttosto inosservato. Ingiustamente: la produzione è più semplice rispetto a quella dei brani successivi, ma i testi sono già più complessi e fuori dai cliché di quelli di molti suoi colleghi. Si sente che, pur conoscendo il genere, Rkomi non ha intenzione di copiare nessuno: «Ho sempre ascoltato rap e hip hop. Ho tanti idoli, come Marracash, Gué Pequeno, Noyz Narcos, ma non ho mai detto “voglio fare come loro”. La maggior parte delle volte non è possibile farlo, e più ti impunti, peggio è». Rkomi non ha preso bene il poco seguito del mixtape: «Dopo Calvairate Mixtape ho smesso di crederci, perché non vedevo troppi riscontri. Io stesso non ero felicissimo, non sapevo se volessi fare davvero rap – spesso me lo chiedo ancora». Passano due anni prima che scriva nuovi pezzi, e alla domanda su come sia tornata la voglia di ributtarsi, risponde: «Sono situazioni, non per forza deve succedere qualcosa, ti metti lì e scrivi».
A qualsiasi domanda legata alla scrittura, la risposta di Rkomi resta vaga. Lui stesso dice di non sapere come succeda, e usa spesso l’espressione “flusso di coscienza”. La quantità di parole e la velocità di espressione assomigliano a un flusso di coscienza, ma i versi sono assolutamente precisi, non sono una libera associazione di parole. La stessa difficoltà nel descrivere il processo di scrittura fa pensare che quei testi siano un’urgenza: urgenza di raccontare il suo quartiere, i suoi rapporti di amicizia e le vite degli altri che lo circondano. Così urgenti che ogni tanto si pente di quello che dice, «però se in quel momento ho deciso di dire quella specifica cosa è perché la vivevo, e volevo dirla. È difficile che censuri un pensiero, a meno che non sia troppo distorto».
Il primo brano registrato dopo i due anni di pausa è Dasein Sollen, titolo che riprende un concetto filosofico di Kant sviluppato da Heidegger ed Ernesto di Martino, riassumibile in “esserci nel presente”: «L’ho trovato casualmente su Google. Ho letto la definizione e descriveva il periodo in cui mi trovavo. Non ho una piena visione del termine: mi piaceva la definizione, così l’ho usato per la traccia. Essendo la prima a essere uscita, abbiamo deciso di chiamare così l’intero EP». Il video di Dasein Sollen esce a inizio febbraio 2016, ed è girato a Calvairate. Citando un commentatore su YouTube, il brano è “una mina assoluta”. Da questo pezzo arrivano le prime condivisioni di colleghi come Sfera Ebbasta e Ghali, e le chiamate dei producer che vogliono collaborare con lui, per esempio The Night Skinny, con cui registrerà Sissignore, pubblicato a maggio: «Night Skinny mi ha scritto su Instagram il giorno dopo l’uscita di Dasein Sollen, e mi ha invitato in studio. Mi fa ancora strano leggere il suo nome tra i miei producer». In un verso di Sissignore, Rkomi parla di un “grande risveglio”, arrivato per puro caso due anni prima dell’uscita dell’EP: «Io non ho avuto un grande rapporto con la scuola, l’ho lasciata quando avevo 17 anni. Ho iniziato subito a lavorare nella ristorazione, e a 18 ho iniziato a fare muay thai (la boxe thailandese) su consiglio di un amico». Questa è stata la svolta, «ho passato un anno e mezzo duro, e con la muay thai sono cambiato tantissimo, spiritualmente e fisicamente. Ho iniziato a leggere un po’ di libri, passati dal mio allenatore o da alcuni conoscenti, e si è risvegliata la voglia di sapere e di non buttarsi giù. Questa parte di me che non conoscevo si è riversata nella scrittura». L’altro aiuto è arrivato dagli amici, che nomina continuamente nei suoi pezzi e mentre parliamo. Uno dei primi a venire fuori è Simone, il suo giovanissimo manager della Thaurus Music, che durante l’intervista si lascia andare a una dichiarazione di stima nei confronti del suo altrettanto giovane protetto. Poi c’è Falco, che Rkomi chiama al telefono nel finale di Oh Mama con un tono di voce intimo e ironico. Falco è un suo amico d’infanzia che gli sta accanto in questo periodo delicatissimo dalla cameretta alla notorietà: «I primi live sono stati terribili. Al secondo c’era Falco sotto al palco, io l’ho guardato e trenta secondi prima di iniziare gli ho detto: “Falco, non salgo”. Lui mi ha preso e mi ha buttato su – e meno male che c’era, altrimenti me ne sarei andato». Poi c’è Ciccio, altro amico citato nei brani, che lavora insieme a Izi, rapper ligure che canta con Rkomi in Aeroplanini di Carta, il brano prodotto da Shablo che ha superato il milione di views. E poi c’è Tedua, altro rapper ligure, membro acquisito della Zona 4 Gang che merita un discorso a parte: «Siamo fratelli. Ci vogliamo un gran bene, c’è un filo che ci collega da quando abbiamo 13 anni. Lui faceva avanti e indietro tra Genova e Milano, finché si è trasferito con me a Calvairate. Ora siamo in quattro coinquilini, tutti rapper» – sembra il soggetto di una bellissima sit-com.
Quando i brani gli sono esplosi in mano, Rkomi si è trovato a gestire la risposta del pubblico, dai complimenti dei coetanei ai ringraziamenti dei genitori di 12enni per i valori che trasmette, passando per i fan che gli chiedono il permesso di tatuarsi una sua frase. E sembra che nessuno lo odi – merito forse dei testi poco “gangsta” o dell’onestà che si sente nella sua interpretazione. E nonostante parliamo di queste cose dopo uno shooting, tra un live e un altro, in cui il pubblico conosce sempre di più i suoi testi, Rkomi ha i piedi inchiodati a terra: «Se dovesse finire, non voglio stare un mese a letto, depresso. Questa cosa che sta succedendo, esiste, ma non nella mia testa». L’aforisma migliore sul tema lo tira fuori parlando della dimensione live, a cui pian piano si sta abituando: «Ho voglia di fare le mie figure di merda». Se non fosse un rapper, Rkomi sarebbe un ottimo life coach.
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