«La mia previsione è che questa tecnica segnerà una rivoluzione simile a quella segnata a suo tempo dagli album in stereo rispetto a quelli in mono». A Pino “Pinaxa” Pischetola quasi brillano gli occhi. Ha appena ricevuto da Londra il master del mix in Dolby Atmos di Let It Be, l’album dei Beatles appena uscito in una serie di nuove versioni che anticipano di qualche settimana la messa in onda di The Beatles: Get Back, il documentario di Peter Jackson basato sulle oltre 60 ore di materiale video inedito registrato nel gennaio del 1969.
Ce lo fa ascoltare nel suo antro alla periferia di Milano, l’unico studio in Italia attrezzato per il mixaggio in Atmos. Proprio qui, per la prima volta, è stato mixato con questa tecnologia un album italiano: La voce del padrone di Franco Battiato, di cui Pinaxa è stato per anni uno dei più stretti collaboratori.
Ascoltato seduti su una comoda poltrona in uno studio con undici casse, ovviamente il “nuovo” Let It Be suona alla grande: qui probabilmente suonerebbe bene anche la sua prima versione in cassetta. In realtà, spiega il padrone di casa, la versione Atmos è notevole anche in streaming: «È una tecnica scalabile, nel senso che si adatta al sistema che viene utilizzato, che sia un cinema con decine di casse o una semplice cuffia. Questo perché il master contiene già tutte le informazioni su come posizionare i suoni nello spazio, indipendentemente dal modo in cui l’album viene ascoltato».
Intanto, Pinaxa fa ripartire Across the Universe e salta dal vecchio al nuovo mix. Non c’è bisogno di essere audiofili per accorgersi che quest’ultimo è molto diverso, molto più “aperto”. Poi con il suo puntatore isola un violoncello che diventa un punto su uno degli schermi di controllo. Lo prende e lo sposta all’interno di questa specie di astronave in cui ci troviamo. Quello che sentivamo a ore 11, ora lo sentiamo dietro la testa. È quello che, moltiplicato per decine di volte, ha fatto Giles Martin, figlio di George, nell’approntare il nuovo mix delle dodici canzoni dell’album. La tecnologia Atmos permette infatti di posizionare voci, strumenti e suoni in un preciso spazio, mantenendo l’ascoltatore al centro del suono.
Il risultato, assicura Pinaxa, è una versione dei brani che suona molto bene anche con un telefonino, cioè nel modo in cui la maggior parte delle persone ascolta musica, ed è proprio per questo che usciranno sempre di più album, vecchi e nuovi, in questa versione. «Ancora mi gaso per queste cose», dice l’ingegnere del suono che a 25 anni, nella primavera del 1989, registrava gli anfibi dei Depeche Mode per la parte ritmica di Personal Jesus nei Logic Studios dei fratelli La Bionda.
Per realizzare il nuovo mix dell’album, oggi disponibile su Amazon Music, Apple Music e Tidal, Martin ha mixato separatamente le tracce dei vari strumenti, provenienti direttamente dalle sessioni originali del gennaio 1969. «Ascoltando quei nastri» racconta nel booklet che accompagna il disco, «la mia sensazione istintiva è che Let It Be non sia l’album di un gruppo che sta per sciogliersi. I Beatles stavano tentando di ritrovare il divertimento di essere semplicemente una band. Adoravano il suono che solo loro potevano produrre suonando insieme, e i brani raggiungono lo scopo originario: quello di registrare un album in presa diretta, senza espedienti».
A proposito di Let It Be, Martin ricorda anche un’appuntita battuta di suo padre: «Dovrebbe esserci scritto sopra “Prodotto da George Martin e sovraprodotto da Phil Spector”». Però, riconosce Giles, «per quanto Spector mancasse forse della sensibilità per gli arrangiamenti che mio padre aveva messo negli altri album dei Beatles, aveva creato un suono senza tempo che era d’obbligo rispettare nel nuovo mix».
E proprio a proposito del lavoro di Phil Spector sull’album, lasciamo l’ultima parola a Paul McCartney, notoriamente il suo primo critico. «Devo ammettere che non ero entusiasta di alcuni dei suoi interventi», dice nell’introduzione dello stesso booklet, «ma alla fine è venuto fuori un bel disco. Assieme al nuovo film è un ricordo potente di quel periodo. È così che voglio ricordarmi dei Beatles».