Erano le 2 di notte al Sunset Marquis di Hollywood e Josh Kiszka guardava un cubetto di giacchio rimbalzare nel bicchiere. È stato allora che gli è venuta l’idea per una nuova canzone dei Greta Van Fleet. Il movimento del ghiaccio gli ha fatto venire il mente il pensiero del suo filosofo preferito, Alan Watts. Secondo il teologo inglese, la vita è un processo che fluisce. «E tutta questa roba la vedevo in quel cubetto».
«È questo il significato di “Ah Sri Rama Jayam Ram”», dice il cantante citando il mantra di Trip the Light Fantastic, una delle canzoni del secondo album della band The Battle at Garden’s State che uscirà il 16 aprile (venerdì 4 dicembre è stato pubblicato il singolo Age of the Machine). «Parlo di autoliberazione, dell’idea di mollare tutto, di trascendenza. C’è un aldilà? Preferirei di no. Meglio un sonno eterno. Torni alla terra dove cresce un albero che produce ossigeno. Ecco: balliamo col cosmo».
Cresciuto una piccola città del Michigan, Kiszka ha scoperto lo spiritualismo mentre i suoi coetanei andavano in chiesa. Loro stavano incollati su internet, lui giocava con la videocamera della nonna. Ha formato i Greta Van Fleet nel 2012 col gemello Jake alla chitarra e il fratello minore Sam al basso. Il batterista Danny Wagner si è unito al gruppo l’anno seguente. Nel 2017 la loro Highway Tune è finita in cima alle classifiche delle radio rock annunciando l’avvento di una nuova, grande band. I Greta sono stati poi headliner a Red Rocks, hanno vinto un Grammy per l’EP del 2017 From the Fires e guadagnato infiniti paragoni con i Led Zeppelin.
Persino al telefono – i due parlano dalla loro casa di Nashville – emerge la competizione divertita fra i gemelli. Non è difficile immaginarli nella loro stanza a Frankenmuth, 5 mila anime, «che ci lanciamo roba addosso», come dice Jake. A un certo punto Josh dice che ha con sé un quaderno pieno di testi di canzoni e appunti presi sulla strada. Jake aggiunge che quegli appunti sembrano il delirio di «uno che è appena scappato dal manicomio».
Sparsi sul pavimento del soggiorno ci sono vari volumi, tra cui Il libro della giungla di Rudyard Kipling e i romanzi distopici di Aldous Huxley. I due non hanno ancora comprato una libreria. Quei due titoli danno un’idea di come sarà The Battle at Garden’s Gate che comincia là dov’era finito Anthem of the Peaceful Army, tra leggende e l’allarme molto concreto per lo stato di salute del pianeta. «Ci sono riferimenti alla Bibbia», spiega Josh, «non solo nel titolo, ma in tutto il disco. È un universo parallelo fatto di antiche civilizzazioni. Parlo per analogie. Ogni canzone tratta un tema, culture e civiltà alla ricerca di qualche tipo di salvezza o di illuminazione».
Andare in tour ha aperto gli occhi ai gemelli. Hanno visto un mondo diverso e più grande di quello in cui sono cresciuti. «Non siamo cresciuti in povertà», spiega Josh, «crescendo non abbiamo mai visto qualcuno lottare per sopravvivere». Jack ricorda di avere visto in una sala da concerto del Cile un addetto alle pulizie mettere da parte avanzi di cibo. «Vedere scene del genere influenza quel che sei, quel che pensi, o almeno su di me ha avuto quell’effetto».
In Tears of Rain Josh canta di un pianeta in fiamme, in The Weight fo Dreams la ricchezza è l’oro degli sciocchi, in The Heat Above echi di guerra si fanno sempre più vicini. «Ecco, la guerra è un tema ricorrente nel mio lavoro», dice il cantante. «A volte scoppia per motivi religiosi, a volte c’è dietro un’industria – immagino l’industria bellica. C’è questa idea di un’industria che diventa l’identità stessa della società. Che succede in questo caso all’umanità?».
La band ha cominciato a lavorare al disco nell’estate del 2019 registrando a Los Angeles col produttore Greg Kurstin una canzone d’amore, una rarità per i Greta: Light My Love. Agli Henson Recording Studios e ai No Expectations Studio, sempre nella California meridionale, hanno messo a punto un nuovo sound che porta a un nuovo livello la venerazione della band per il classic rock. Si va da brevi pezzi radiofonici a jam di oltre otto minuti di durata.
«Volevamo fare un disco che fosse grandioso quanto la colonna sonora di un film», spiega Josh. «Lo volevamo fare da un pezzo, ma non pensavamo che la gente fosse pronta».
Josh parlotta un po’ con Jack prima di concludere: «In questi anni abbiamo sviluppato un rapporto più stretto con chi ci ascolta. Penso che questo li aiuterà a capire il disco. Perché, credimi, è un album sofisticato questo».
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.