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Imagine Dragons: «O ci ami o ci odi»

La musica del gruppo che non conosce sottigliezze. Las Vegas città del peccato e dei mormoni. L’ansia e il desiderio di piacere alla gente. Il ruolo della religione. La fine del matrimonio. Se volete capire gli Imagine Dragons e il nuovo album ‘Loom’, leggete questa intervista a Dan Reynolds

Foto: Eric Ray Davidson

Dan Reynolds ha affrontato dolori e stravolgimenti dai tempi dell’ultimo disco degli Imagine Dragons Mercury Act 2 del 2022. Ha divorziato dopo 13 anni di matrimonio da Aja Volkman, cantante dei Nico Vega e madre dei suoi quattro figli. Il batterista Daniel Platzman s’è preso una pausa a tempo indeterminato dal gruppo per problemi di salute, riducendo così gli Imagine Dragons a un trio. E Reynolds ha continuato a soffrire di dolori cronici causati dalla spondilite anchilosante, una malattia infiammatoria delle ossa.

Il cantante ha messo tutto quanto nel nuovo album degli Imagine Dragons Loom. «L’ho scritto in un periodi di grandi cambiamenti», racconta. «Sono anni di pagine di diario messe in musica». pagine di diario trasformate in inni da stadio col chitarrista Wayne Sermon e il bassista Ben McKee, e col duo di autori-produttori svedesi Mattman & Robin, già al lavoro con Taylor Swift, Dua Lipa e Britney Spears.

Mattman & Ronim hanno contribuito a passare al setaccio una rosa di 100 canzoni. «Le volevano semplici, senza troppi fronzoli», racconta Reynolds. «Uno dei miei dischi preferiti di sempre è il Blue Album dei Weezer, non salti un pezzo quando l’ascolti e mostra tutti i lati del gruppo che mi piace trovare in un disco. Era anche il nostro obiettivo».

Canzoni come Wake Up, Gods Don’t Pray e Fire in These Hills passano dalla frustrazione al rimpianto, altre parlano della ricerca di un amore e riniziare tutto da capo, che è esattamente quel che Reynolds ha fatto con Minka Kelly. L’attrice ha registrato anche dei battimano in Nice to Meet You, che parla dei primi giorni della loro relazione quando gli amici di lei avevano dubbi sul fatto che una rockstar piombasse così dal nulla nella sua vita.

Qualche giorno prima dell’uscita di Loom mi sono collegato su Zoom con Reynolds per parlare dell’album, della situazione batterista (spoiler: non è disposto a dire granché), della spondilite anchilosante, della difficile scelta di rinunciare al mormonismo e delle critiche ricevute dagli Imagine Dragons per aver scelto di esibirsi a Israele e in Azerbaigian.

L’ultima volta che abbiamo parlato era il 2013, quando Radioactive stava esplodendo. Una parte di te temeva di diventare una one-hit wonder?
È stato tutto scioccante, ma non credo che quel pensiero mi sia passato neanche lontanamente per la testa. Ero preso dall’idea di viaggiare ovunque potessi e suonare davanti a quante più persone possibile. Questo era l’obiettivo. E quindi ho fatto avanti e indietro da una parte all’altra del globo. Ero sempre in un nuovo fuso orario, su un palco o a fare un’intervista. Non avevo tempo per pensare. Ho cominciato a riflettere solo negli ultimi anni.

È il tipo di vortice che ha distrutto molti gruppi. Come ti si è assicurato che non succedesse anche a voi?
In realtà mi ha distrutto.

Ma non in modo tale da rallentare la band.
No. A quel punto facevamo tutti musica da un pezzo. Tutti i ragazzi erano andati alla Berklee e avevano iniziato da giovanissimi. L’abbiamo presa molto sul serio. Era un lavoro. Ci sono voluti quattro anni prima che un’etichetta ci mettesse sotto contratto. Provavamo dalle sei alle sette ore al giorno. Vivevamo insieme in una casa a Las Vegas e ogni sera uscivamo per suonare per sei ore sullo Strip. Siamo andati avanti così per quattro anni e credo che questo ci abbia aiutati parecchio. Quando tutto è diventato folle e duro, avevamo già superato momenti difficili, quando non avevamo un soldo. Stavamo facendo musica, stavano guadagnando, stavamo suonando in tutto il mondo. Era la nostra carriera ed era tutto ciò che volevamo. Non so se ho risposto alla domanda, ma tutto ciò ci ha aiutati. I nostri ego erano stati già ridimensionati dai tanti anni passati a suonare in sale vuote e a lottare per tirare avanti e pagare l’affitto.

Cos’è successo negli ultimi 15 o 20 anni che ha reso sostanzialmente impossibile per le rock band avere un successo di massa? Gli Imagine Dragons sono uno dei pochi gruppi che ce l’hanno fatta dopo mezzo secolo in cui nuove band esplodevano di continuo.
Bella domanda. Credo ci abbiano aiutato due aspetti. Il primo è che componiamo la nostra musica. Io scrivo da una prospettiva narrativa, testi e melodie. Quindi i nostri fan possono riconoscere qualcosa di lineare, quasi prevedibile. Sanno quel che facciamo. È un passaggio del mio diario messo in musica. Anche se dal punto di vista sonoro vestiamo queste canzoni in modo vario, rimangono pur sempre pagine di diario. Questo approccio molto onesto è diventato il nostro marchio, qualcosa di familiare. Per molta gente è un luogo in cui ritrovarsi.

Il secondo aspetto ha a che fare con la qualità emotiva della musica, i diversi generi e quanto ci impegniamo ai concerti. Facciamo un grande show, lo abbiamo perfezionato nel corso degli anni, ci abbiamo messo molto impegno. Il resto lo fa il passaparola. I genitori portano i loro figli. Le persone che andavano a vedere i Dragons 12 anni fa ora sono diventati genitori e portano i figli. Ci sono un sacco di famiglie ai nostri concerti.

Credo aiuti il fatto che non temi di scrivere canzoni enormi con ritornelli enormi. Tanti gruppi rock più giovani evitando di farlo.
A me piace. È la musica con la quale sono cresciuto. Mio padre ascoltava Paul Simon, Harry Nilsson, Cat Stevens, Billy Joel, tutti cantautori che scrivevano delle loro emozioni. In più mettici la mia passione per i Queen, il fatto che sono cresciuto a Las Vegas, dove ogni cosa è eccentrica e gigantesca e spudoratamente teatrale, e le lezioni di piano che ho preso tra i 6 e i 16 anni. Somma tutte queste cose e avrai la musica degli Imagine Dragons.

Per alcuni il fatto che non siate fedeli a un solo genere è negativo.
Ma è così che scrivo musica. Mi annoierei a scrivere solo guitar songs o altro. Vogliamo che la musica ecciti prima di tutto noi stessi, tutto qua.

Veniamo all’album nuovo. L’ultima volta avete lavorato con Rick Rubin, com’è che ora siete andati in un’altra direzione?
Adoro Rick, ci parliamo quasi tutti i giorni, non era una questione di volere o meno lavorare con lui. Semplicemente, volevo provare qualcosa di nuovo ed eccitante per il gruppo. Non ci eravamo mai affidati a un solo produttore, nemmeno con Rick, che in fin dei conti supervisionava il lavoro di altri produttori. Abbiamo scelto Mattman & Robin perché avevo lavorato con loro e mi ero sentito a mio agio nel mostrarmi vulnerabile. E per la prima volta ho scritto nella stanza dove lavoravano i produttori, e questo per sei mesi.

Son venuti fuori testi estremamente personali.
Mi sono trasferito in una nuova città dopo una vita passata a Las Vegas e sono uscito da una relazione durata una decina d’anni, ho cercato di capire cosa significasse tutto ciò per me. Anni fa mi sono messo alle spalle la religione con cui sono cresciuto, che è sempre stato un tema della musica degli Imagine Dragons, mi è sembrato di scavare di più dentro me stesso.

Dimmi di Wake Up, come ti è venuto di scriverla?
Ho sempre avuto problemi d’ansia. Sono un introverso che fa un lavoro che gli impone d’essere estroverso. E quando sono sul palco lo sono sul serio, mi sento libero, non è mi sforzo di esserlo. Non mi sono mai sentito nervoso prima di un concerto, ma lo sono quando devo andare ad esempio a un party. Sono il tipo che vorrebbe chiudersi in bagno a fare esercizi di respirazione. Non so quale sia il motivo. Non so se è perché sono nato così o se c’entra l’educazione mormona che m’hanno impartito, il fatto di sentirsi perennemente irrisolto o inquieto, non avere fiducia in me stesso o nei leader della chiesa o chissà cos’altro. È una cosa che sto cercando di risolvere facendo terapia. Per me Wake Up è una canzone sull’ansia, l’idea era rappresentare l’ansia, spiegare quel che si prova.

Essendo il primo pezzo, detta il tono del resto dell’album.
E volevo che fosse così, che è poi il motivo per il quale abbiamo scelto Loom come titolo del disco. Looming è una parola che ti mette ansia, evoca qualcosa che incombe. Non necessariamente una cosa brutta, può essere anche una cosa positiva, ma ce l’hai fissa in testa. Vedi, gli Imagine Dragons non sono una band che ama le sottigliezze. È amore e odio. E in questo siamo molto Vegas. È tutto esplicito e te lo diciamo subito. Il nostro primo singolo Radioactive era anche quello che apriva Night Visions. Qui è la stessa cosa: eccoci. Ci ami o ci odi, che comunque è meglio che suscitare indifferenza o noia.

In Take Me to the Beach canti di lasciarti tutto alle spalle, spegnere il telefono, rilassarti su una spiaggia.
È uno dei miei pezzi preferiti del disco perché non è serio. È sciocco come i dischi che ascoltavo mentre crescevo. Come gli Weezer, per tornare a loro, dove trovi momenti seri e altri meno. Ma tornando alla canzone, l’ispirazione è seria e ha a che fare col desiderio di avere opinioni sulle cose. Sono stato cresciuto con l’idea che bisogna piacere alla gente. Non so se è perché ero un mormone in missione che cercava di entrare nelle case delle persone mostrandosi sorridente… Forse è questo che mi ha sempre fatto desiderare di essere apprezzato. Invecchiando ho capito che questa cosa mi ha portato tanta infelicità. Da quando me la sono messo alle spalle, sono  più felice, non cerco più di controllare le cose che non posso cambiare.

In Your Corner è chiaramente una breakup song.
Sì e una buona parte del disco parla di una relazione, come nasce, come va avanti, come finisce e quel che accade dopo. In Your Corner parla di fedeltà e di come gestire il dolore, ma anche di far parte della vita dell’altro. Una relazione finisce, ma non vuole dire che finisce tutto. Magari ci sono dei figli, si lavora assieme, si hanno degli amici in comune, c’è un modo di coesistere. Ed è un fatto che ti mette in una posizione scomoda, ma è pure rassicurante. Quando una storia finisce, si vuol solo stare lontani dall’altro per stare meglio, ma non sempre lo si può fare. Che succede allora? In Your Corner parla di questo.

In Gods Don’t Pray canti che il tuo veleno si è trasformato in rabbia. In che senso?
La canzone è nata da quel verso. Ho cominciato a cantare “Gods don’t…” e a improvvisarci sopra scrivendola. Sono stati Mattman & Robin a dire «interessante, hai detto “Gli dei
non pregano?”». A quel punto ho riflettuto su quella frase. Sono cresciuto pregando e chiedendo ogni giorno perdono e di essere guidato, come fa a fine giornata ogni ragazzo mormone. “Caro Dio, queste sono le cose che ho fatto di male oggi. Mi spiace. Ti prego, perdonami. Ecco le cose che cerco di realizzare. Aiutami, ti prego. Sono grato per queste cose”. Questo però porta a non sentirsi mai adeguati. Sentivo di avere fatto sempre qualcosa di cui pentirmi e mi chiedevo se Dio mi avesse effettivamente perdonato. Ho avuto problemi con questo modo di pensare, che per me non funziona e che anzi non è stato affatto salutare. Ho dovuto imparare ad ascoltare la mia voce ed essere il mio Dio, o almeno a trovare Dio dentro di me o da qualche parte nell’universo. Ecco di cosa parla la canzone, ma è anche ironica.

L’album finisce con Fire in These Hills, dove canti di avere perso la volontà. In che senso?
È uno dei miei pezzi preferiti del disco. Viene dalle domande che ogni tanto mi faccio: che cosa significa casa per me? Perché sono qui? Credo derivi dal fatto di avere avuto una crisi spirituale in età adulta e di avere in qualche modo ricominciato da zero. I mormoni hanno la vita programmata: prima sei un Eagle Scout, poi sei in missione, poi ti sposi, poi hai dei figli… C’è un programma e ci sono delle risposte su ogni cosa, ma non ci sono domande. A 20 anni mi chiedevo: aspetta un attimo, chi sono io? E se dopo la morte non c’è nulla? Ho dovuto ripensare al senso della vita e di me stesso, in un certo senso.

Ma c’è qualcosa che ti manca dell’essere un mormone? Magari il conforto nell’incertezza…
Invidio chi ha fede. La mia famiglia è ancora in buona parte mormona. Sette fratelli, una sorella, vivono ancora tutti a Las Vegas. Mamma e papà sono ancora vivi. Tutti mormoni. Lo sono anche i miei cugini. Ho 40 e passa nipoti, anche loro tutti mormoni. Sono l’unico che non lo è. Questa cosa mi mette in una strana posizione. Mi piacerebbe credere nel fatto che le famiglie sono per sempre, nel paradiso, eccetera.

Come ha reagito la tua famiglia alla decisione di dire pubblicamente che non credi più?
Non è stato facile, ma ci ho lavorato su e sono vicino alla famiglia, a mia madre e a mio padre. Il dolore derivante dal fatto che tutto è stato reso pubblico lo abbiamo in buona parte superato. Li rispetto e li amo. Solo che per me quella cosa non funziona.

Che cosa diresti a un mormone di 17 anni che sta per andare in missione e che ha i tuoi stessi dubbi e che vuole onorare la sua tradizione di famiglia, ma non condivide l’idea della chiesa sulle questioni LGBTQ?
Di ascoltare il cuore. Di non seguire la strada che è stata spianata per lui. Non lo incoraggerei a farsi due anni di missione a meno che non lo senta nel profondo. Ma è difficile ascoltare se stessi quando si bussa alle porte ogni giorno per dire alla gente qual è la verità, una verità che manco tu conosci. È quel che ho fatto per due anni e mi sono sentito perso.

Non hai rimpianti, però.
No, perché mi ha reso quel che sono oggi. Ma è stata dura. Oggi sono felice, mi piace quel che sono diventato, ma non so quanta parte abbia avuto la religione. Di sicuro non consiglierei a un ragazzo di andare in missione.

Mi ha colpito sapere che ti lasciavano telefonare a casa solo due volte all’anno.
Per la festa della mamma e per Natale. Ti danno un’ora e c’è il suo compagno vicino che preme per telefonare a casa sua. Sono due anni di grande solitudine. Facendo qualche lavoro metti da parte 10 mila dollari che ti servono per l’alloggio e il cibo per due anni. Fatti due conti, 10 mila per due anni per vitto e alloggio. La chiesa non ti dà niente. Sei tu che paghi.

Andiamo oltre. I vostri fan sono un po’ confusi circa situazione del vostro batterista. Daniel Platzman si è preso una pausa dal gruppo un anno fa. C’è nell’album?
No, ma non posso parlarne.

Ci sta. Da quando Platzman se n’è andato, Andrew Tolman, il primo batterista degli Imagine Dragons, ha preso il suo posto. Ci sarà anche nel tour?
Sì.

Che effetto vi ha fatto riaverlo con voi? Quando se n’è andato gli Imagine Dragons erano appena nati. E ora torna con voi, di botto, e fate gli stadi. Dev’essere un bel viaggio per lui.
È avvenuto naturalmente, come un cerchio che si chiude. Prima ancora di tornare come batterista, Andrew ci aiutava dietro le quinte e come tecnico alla batteria. È il vicino di casa del nostro chitarrista, sono migliori amici, hanno vissuto insieme prima che il gruppo si formasse. Siamo sempre stati molto vicini ad Andrew, lo adoro. È una persona molto buona.

Girando su Reddit o sui forum dei vostri fan si trovano thread molto lunghi e confusi dedicati a Platzman. Ma mi sembra di capire che non sta a te parlarne, e che in ogni caso non puoi farlo.
Esatto.

Come va la salute?
La mia colite ulcerosa è in remissione da molti anni. Mi vengono infiammazioni un paio di volte all’anno, ma di solito riesco a tenerle sotto controllo con una dieta rigida. Nel caso di episodi gravi, assumo farmaci biologici. Di solito succede quando sono stressato, ci sono periodi in cui potrebbe capitare più spesso, ma con dieta ed esercizio fisico normalmente va tutto bene. Devo allenarmi tutti i giorni, devo far arrivare sangue in tutto il corpo, a tutte le articolazioni, che mi piaccia o no. Fare palestra non mi piace per nulla, eppure non ho scelta, è l’unico modo per far sì che il mio corpo non soffra. Devo rafforzare le articolazioni e i ginglimi, specialmente per quanto riguarda fianchi, spalle e gomiti. Detto questo, sono in grado di fare qualsiasi cosa voglia, tutti i giorni. Alcuni giorni sono peggio di altri, per cui sono grato che il mio corpo funzioni ancora.

Come si fa a pensare positivo dopo la diagnosi?
Dopo la diagnosi di una malattia si è spaventati e arrabbiati. Mi chiedevo: perché sta succedendo proprio a me? Anche perché ho sempre avuto una vita “pulita” e regolare. La prima volta che ho bevuto alcol è stato attorno ai 25 anni, la diagnosi mi è arrivata che ne avevo 21. Facevo la vita rigida di un mormone, quindi le domande che mi facevo erano tpo: perché sta succedendo? È perché non sono un buon mormone? È una punizione divina? Poi però sono arrivate le fasi di razionalizzazione e come tutti sono arrivato a dirmi che lamentarmi e basta non mi avrebbe portato da nessuna parte e che dovevo trovare un modo, qualunque modo, per non provare dolore. Così cerco di rilassarmi, di mangiare sano, di ridurre i cibi lavorati, e poi allenarmi tutti i giorni, affidarmi a un bravo dottore, e continuare a fare del mio meglio ogni giorno. Vado a terapia tutte le settimane per cercare di ridurre lo stress e calmarmi.

Le foto di quando cammini per strada con la tua compagna Minka Kelly finiscono sui siti di gossip. Che effetto ti fa?
Da qualche anno ho silenziato gli avvisi di Google sul telefono e non guardo i social e quindi riesco a evitare la maggior parte di quella roba. Se si tratta di qualcosa di grosso, me lo dicono il manager o Wayne, ma non influenza la mia vita e non è che se cammino da qualche parte la gente mi scatta foto. 

Mollare i social mi pare una scelta intelligente. Nel libro The Anxious Generation Jonathan Haidt descrive l’impatto che hanno su bambini e adolescenti. 
Io non permetto ai miei figli di usare i social. Non conosciamo fino in fondo l’effetto che hanno, anche nel lungo periodo. Sappiamo già, in ogni caso, dei problemi di ansia e depressione che provocano nei bambini. I danni che possono fare non sono quantificabili.  

Andrete in tour nel bel mezzo delle elezioni presidenziali. Hai intenzione di esprimerti su qualche tema che ti sta particolarmente a cuore?
Non ci esprimiamo mai su un determinato argomento solo perché è di moda, preferiamo seguire la nostra strada. Abbiamo suonato in Ucraina più volte nel corso degli anni, è stato uno dei primi posti dove siamo stati all’estero e ci siamo innamorati della gente. Tornarci è stato naturale, provavamo qualcosa per loro, ci siamo sentiti coinvolti. Se ci sono cose in cui sentiamo di poter fare la differenza, ne discutiamo.

Siete stati criticati per aver suonato in Israele e Azerbaigian. Rimpianti?
No. Non penso sia giusto scontentare i fan che vogliono vederci suonare per via delle azioni dei loro leader e dei loro governi. Farlo ti porta su una brutta china. In tutto il mondo ci sono leader corrotti e guerrafondai, come decidi dove andare e dove non andare?

Serj Tankian ti ha attaccato duramente per esservi esibiti in Azerbaigian. Ha detto che non vi rispetta come esseri umani. Che gli rispondi?
Penso di aver appena detto tutto: non priverò mai i nostri fan della possibilità di vederci dal vivo a causa loro.

È una coincidenza che due delle band di maggior successo degli ultimi 20 anni, la tua e i Killers, vengano entrambe da Vegas e siano guidate da cantanti cresciuti tra i mormoni? 
Ci ho pensato anch’io. Ci sono anche i Panic! at the Disco. Sono cresciuto con Brendon Urie, anche lui è mormone. È strano. Vegas è stata fondata dalla mafia e dai mormoni. È un posto interessante, è la città del peccato, ma ci sono anche un sacco di mormoni. La passione dei mormoni per la musica è nota. Canti in chiesa ogni settimana, magari impari pure un po’ di pianoforte per suonare gli inni. Mia madre ha fatto prendere lezioni di pianoforte a tutti noi dopo aver letto un articolo in cui si diceva che i bambini che lo fanno ottengono voti migliori in matematica e scienze. E c’è sempre musica quando ci sono dei mormoni. Ma c’è anche un altro aspetto, è l’antitesi di tutto ciò che ti hanno insegnato, quindi è pericolosa. Per un mormone, fare il musicista ha qualcosa di ribelle.

Conosci Brandon Flowers? Ne parlate mai? 
Sì, adoro Brandon e i Killers. Li conosco tutti e li rispetto. Fanno un grande show. Ho un immenso rispetto per loro.

Sei ottimista circa il futuro del rock? Tornerà mai un’epoca come i ’90, con molte nuove band rock che esplodono? 
Secondo me sì. Ci sono segni di rinascita anche adesso per chi pensa fuori dagli schemi, la gente vuole autenticità. Mi accorgo che mia figlia che ha 11 anni vuole ascoltare strumenti dal vivo su un disco e questo mi fa ben sperare perché viviamo nell’era del digitale. C’è un revival degli anni ’90 e della musica alternativa, anche il disco di Olivia Rodrigo potrebbe essere uscito nei ’90.

L’ho vista esibirsi al Garden accompagnata da una rock band al completo ed era pieno di ragazzi che impazzivano.
C’è una sorta di rinascita. Quindi la risposta alla tua domanda è no, non sono preoccupato per il futuro del rock. Va a cicli.

Ho visto i Rolling Stones a Cleveland e sono stati sbalorditivi. Hanno 80 anni e ancora salgono sul palco. Ti piacerebbe fare come loro?
Mick Jagger è venuto a vederci a Parigi, di recente, e dopo il concerto abbiamo cenato assieme. Incontrarlo ha cambiato il modo in cui vedo la faccenda. Se mi avessi fatto la domanda un paio d’anni fa, ti avrei risposto di no. Avevo voglia di mollare tutto e fare qualcos’altro. Ora invece sono di nuovo motivato. Sento che abbiamo tanto da fare e da tentare. Abbiamo appena iniziato a capire chi siamo.

E quindi tra 40 anni potresti fare ancora il cantante rock, come Mick.
Puoi scommetterci.

Da Rolling Stone US.

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