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Inoki e DJ Shocca: «Se ti piace il rap, devi passare da noi»

In occasione del loro primo disco assieme, '4 mani', abbiamo parlato di originalità e soldi, dei trapper che copiano e dei tempi bui. La storia di due amanti del rap che non hanno mollato mai: «Nel buio e nella luce, ci siamo sempre stati»

Foto: Enrico Luoni

Inoki e DJ Shocca sono due icone del rap italiano. Entrambi classe ’79, dall’interno della scena hanno visto tutti i cicli attraversati dal genere, il buio e la luce.

I due iniziano a farsi un nome tra fine anni ’90 e inizi 2000, formando due crew fondamentali del periodo; da un lato Inoki e la PMC (Porzione Massiccia Crew) con – tra i tanti – Joe Cassano, Shablo, Lamaislam, Rischio, dall’altro, Shocca e Unlimited Struggle in cui gravitano Ghemon, Mecna, Stokka & Mad Buddy e Frank Siciliano. Quando ad inizio millennio il rap subisce una brusca botta d’arresto e nel mainstream se ne perdono le tracce, i due sono tra coloro che continuano a crederci, tirando la carretta nel momento più difficile, pubblicando assieme, nel 2014, Bolo by Night, uno dei brani fondamentali della storia del rap italiano. Il tempo però ha premiato questa resistenza e questa longevità e ora Inoki e Shocca si godono i frutti di una ritrovata popolarità, il frutto di un lavoro iniziato venticinque anni fa.

Li incontro a tardo pomeriggio nel basement di Asian Fake che ha appena pubblicato il loro primo disco assieme, 4 mani, che vede la partecipazione di Nina Zilli, Gemitaiz, Jake La Furia, Emis Killa. Shocca è vulcanico, parla usando inglesismi e compensa il ritmo più pacato di Inoki alle prese con un hangover combattuto a Oki e McDonald’s: la strada è ancora in lui. Quando parlano i due sono una coppia comica inaspettata («Siamo gemelli come De Vito e Schwarzenegger», scherza Shocca) e a volte si completano le frasi a vicenda come nelle migliori relazioni. Assieme incarnano l’essenza del rap italiano, quello real, quello nato nei centri sociali, capace di sopravvivere e tornare in auge, oggi come ieri.

Non posso che partire con questa domanda: come mai questo disco assieme oggi?
Shocca: Ce lo dicevamo da una vita e alla fine tre anni fa ci siamo rivelati a vicenda: dobbiamo farlo. Quando il momento è giusto, è giusto.
Inoki: Ci siamo fatti una chiamata e ci siamo detti: oh, ma lo sai che le canzoni che abbiamo fatto assieme sono le migliori di entrambi? Avrebbe senso provare a fare una cosa assieme e portarla avanti?

Come è stato tornare in studio? Da Bolo by Night a Milano by Night sono passati quasi vent’anni
Inoki: Ci siamo divertiti ma è anche stato molto professionale. Abbiamo lavorato nello studio di Asian Fake che è molto figo. Noi eravamo abituati a lavorare in situazioni più rudi…
Shocca: Caserecce!
Inoki: Ritrovarci oggi è stata una passeggiata, una goduria proprio.
Shocca: È stato come quando lavoravamo assieme vent’anni fa, ma stavolta in un ambiente meglio preparato.
Inoki: E con dei macchinari del 2022; per questo è giusto che sia accaduto ora.

Il rap in trent’anni ha avuto molti cambiamenti, molti cicli. In certi siete stati dei protagonisti, in altri vi siete un po’ allontanati.
Inoki: Noi siamo timeless. Il nostro suono è quello. Si è evoluto, ma sempre quello è.
Shocca: È tutta una questione di cicli. Se ne passi un paio e resisti, allora ci sei, puoi fare quello che vuoi per sempre.
Inoki: Con vent’anni di pratica poi il livello è differente. È cambiata la mia voce, è cambiato il suono dei beat.
Shocca: E ci sono anche vent’anni di vita sulle spalle. L’importante comunque è non retrocedere. Aggiungere, aggiungere, aggiungere, fino al livello successivo.

4 mani è un disco molto rap, che va dritto al punto, senza molti orpelli.
Inoki: Senza fronzoli, senza minchiate. A me piace sperimentare, ma non era questo il progetto in cui provare a fare cose strane, anche perché Shocca le cose strane non le fa.
Shocca: Non lo faccio strano, lo faccio solo real.

Medioego invece era un disco che cercava differenti soluzioni e provava a sperimentare (anche solo guardando i featuring ci sono Noemi e Salmo, Tedua e Samuel). Cosa si pone 4 mani a confronto?
Inoki: Questa roba è classic, è Inoki e Shocca, è una roba in due, quindi differente. Tutto è diviso a metà: la fatica, l’impegno, lo sforzo mentale.
Shocca: Inoki è sempre solido, può fare cose diverse e spaziare, come in Medioego, oppure andare dritto e spaccare, come in 4 mani.

Parlando di realness, questo è anche un disco molto classico nella formazione di partenza: producer + MC.
Shocca: È un classic Gang Starr.
Inoki: Il mio rapper preferito è Guru, il suo producer preferito è Premier: perfetto. Ma anche Eric B. & Rakim. Queste sono le nostre fonti d’ispirazione, il massimo dell’elevazione dell’hip hop.

Nel rap, come in tutta la cultura hip hop, la competizione è una parte fondamentale. Non è solo un modo di affermare chi è il più bravo, ma anche un modo per migliorare se stessi e la propria comunità/crew. Secondo voi c’è ancora competizione nel rap e nella trap di oggi? E voi la sentite ancora su di voi?
Inoki: Sicuramente tra i ragazzi più giovani c’è e ci sarà sempre, perché, come giustamente dicevi, è una prerogativa dell’hip hop. Dal mio lato personale invece, non c’è più quella competizione con gli altri, la sfida è solo più con me stesso, devo battere il mio livello in un modo o nell’altro.
Shocca: Tra i ragazzi c’è, magari con formule e dinamiche differenti rispetto ai nostri tempi.
Inoki: Per noi era importante tirare fuori un nuovo stile, buttare fuori delle perle a livello musica. Per loro oggi è più importante fare platini. È comunque sempre una forma di competizione.
Shocca: Che siano nei numeri, nella forma o nel contenuto, la competizione c’è sempre; è il motore.

Soprattutto nell’ultimp periodo il rap sembra stia tornando a dare voce al malessere, alle periferie.
Inoki: Ora è ovunque, è nazional-popolare, non lo si può più negare.
Shocca: Ed espandendosi torna, o forse inizia, a dare voce alle periferie. Non so se ai nostri tempi arrivava alle periferie visto che era così poco ascoltato, e ostico.

Una cultura di rottura come l’hip hop può ancora essere di rottura pur essendo nazional-popolare?
Shocca: L’hip hop rompe questo tipo di ragionamento; è nato per dare voce a chi non ne aveva.
Inoki: Precisiamo, l’hip hop non è nazional-popolare, è una nicchia. È il rap ad essere diventato mainstream. Noi siamo questo e facciamo questo, anche se a farlo sono sempre in meno.

I ragazzi che oggi si affacciano al rap recuperano la vostra musica? Hanno ancora il mito di Shocca e Inoki?
Inoki: Fra, io cammino per strada e mi ferma gente dai 15 a 50 anni e mi canta Non mi avrete mai.
Shocca: Con un numero sempre maggiore di persone che ascoltano il rap, la percentuale di chi si va a recuperare certe cose è cresciuta.
Inoki: A chi interessa davvero questo genere, in un modo o nell’altro, arriva a noi.

E ne sentite una certa responsabilità?
Inoki: Sì, ma non mi fa paura. Sono solo ansiette psicologiche inutili.

Come è cambiato il vostro modo di fare musica in questi anni?
Shocca: Ora riusciamo ad andare dritti al punto più rapidamente. Sappiamo subito cosa non fare e quale vibe è giusta seguire. Vent’anni fa magari andavamo alla cieca, provando varie strade: ora arriviamo dritti al punto.
Inoki: Lavoriamo in maniera molto naturale. Lui tira fuori un beat e io ci rappo sopra con quello che ho appena vissuto. È la tecnica ad essere cambiata: ora scrivo come un uomo di 40 anni e non come uno di 20 e Shocca produce come uno di 40 e non come un ragazzino. Lo stile è il nostro, non andiamo a cambiare: la gente da noi si aspetta quello.
Shocca: Non si tratta di uscire o meno da una comfort zone, o restare al sicuro nella propria nicchia, è un’altra cosa. La gente da noi vuole qualcosa e noi quel qualcosa lo sappiamo fare.

Fabiano (Inoki, nda), tu in passato hai parlato della difficoltà che hai avuto ad accettare il nuovo sound della trap. È stato un avvento scioccante per voi della vecchia scuola
Inoki: Ci ho messo un casino di tempo ad accettarlo. Me l’hanno dovuto spiegare le persone giuste. Vedevo sti trapper e pensavo: «No, non ci siamo, zero». Poi Chryverde, un giovane produttore con cui lavoro, me l’ha spiegato e alla fine ho capito che è figa anche la trap, come la drill, devi solo imparare ad approfondire e conoscere, come tutti i generi.

Cosa hai trovato più ostico? Il cantato con l’AutoTune, i testi, i beat?
Inoki: Se nel ’96 mi avessero detto che il rap sarebbe diventato (simula un cantato con AutoTune, nda), non l’avrei nemmeno mai fatto. Non sono ancora un grandissimo fan, ma apprezzo le cose fatte bene.

Anche nella parte testuale c’è stato un cambiamento enorme rispetto alla tua generazione.
Inoki: Questo dipende da ciò che succede attorno. Ora viviamo in un’altra epoca, con altre immagini da descrivere. Io non ho mai inventato niente, al massimo romanzo delle parti, ma quello che rappo è ciò che vivo.

Ora forse si rappa di ciò che si vorrebbe essere piuttosto che di ciò che si vive davvero.
Inoki: Loro iniziano a dirlo così poi magari la gente ci crede! (Ride) Ognuno la interpreta a suo modo. Non so dirti se dipende da insicurezza o ambizione.

E dalla trap hai imparato qualcosa?
Inoki: Io non riesco a fare cose con l’AutoTune, non ce la faccio. Ho imparato però a dire meno parole. All’inizio è stato strano abituarsi a fare due strofe invece che tre, mi sentivo un coglione. Ai nostri tempi dovevi farne tre, ora se ne fai tre stai asciugando. Questo è un compromesso che posso accettare.

Un’altra cosa che mi ha colpito è che più volte hai parlato di te come di un emergente, nonostante tu sia un’icona del genere.
Inoki: Per chi conosce il rap io sono un grand master, ma per chi non lo conosce sono un perfetto sconosciuto. È il bene e il male del mio percorso: sono un king e uno sconosciuto, la sfida quindi è sempre bella tosta. E per me è meglio così, c’è più stimolo, più motivazioni.

Un pubblico che non ti conosce ti consente inoltre nuove possibilità.
Inoki: Sì, devi convincerli, entrargli nel cuore con le good vibes, con un messaggio positivo. Per me l’obiettivo è lasciare un messaggio. Un pezzo deve lasciare qualcosa.

Quando avete capito che questo sarebbe diventato un lavoro?
Inoki: Nel ’97/98 quando ho preso i primi soldi per una serata. Ero con Joe Cassano. Presi 100 mila lire. Ai tempi facevo l’operaio in fabbrica e 100 mila in un giorno erano un sogno. Lì mi si è accesa la lucina. È stato un percorso arduo e duro, non ho avuto gente coi soldi dietro me, o una famiglia che mi finanziava. Per uno come me è più dura rispetto a chi arriva una famiglia ricca, ma se vuoi ce la fai.
Shocca: Se è scritto che deve succedere, succede. Da 100 mila a una cifra in cui ci vivi comunque ce ne passa e per noi ci sono voluti anni.

Voi tra l’altro siete entrati nella scena proprio mentre è iniziato il decennio buio per il genere.
Inoki: Con il buio o la luce, ci siamo sempre stati.

In quel periodo hanno mollato in molti, cosa vi ha fatto continuare?
Shocca: Diciamo che noi abbiamo approfittato involontariamente di quel vuoto.
Inoki: Hanno mollato quelli che prima vendevano i dischi. Quando è arrivato il masterizzatore è stato l’inizio della fine. Noi avevamo 18/19 anni, eravamo al top della forma…
Shocca: E della fame!
Inoki: Quindi chi c’era prima ha capito che i dischi non si vendevano più e ha mollato, mentre noi dovevamo farlo; eravamo agli inizi, eravamo giovani. Ancora oggi ho i trentenni che mi vengono a dire: «Nel mio lettore mp3 c’eri sempre tu». Eh, grazie al cazzo, è colpa tua se ero povero! Comunque andava bene così.

Che ricordi avete di quel periodo?
Inoki: Confusi.
Shocca: Con dei piccoli blackout. Senza nostalgia, ma belli, era l’età giusta, il momento perfetto dove ogni cosa ti entusiasma ed emoziona. Lo porteremo sempre dentro, quel periodo ci ha formato come artisti e come uomini.

Una cosa che torna spesso in voi, in questo disco e anche nell’apparizione a Real Talk o al vostro talk per la Milano Music Week, è il tema principe del rap e dell’hip hop: l’originalità. Pensate sia ancora un valore per i ragazzi di oggi?
Inoki: I ragazzi di oggi sono molto originali… nel copiare i grandi artisti stranieri. Anche noi li copiavamo, ma non così spudoratamente. Io volevo fare Survival of the Fittest di Mobb Deep, ma non è che avrei mai fatto La sopravvivenza dei più forti. Non posso avere il testo di Mobb Deep se sono Inoki.
Shocca: Ho capito questa cosa col tempo: abbiamo così tanto carattere e personalità che anche sbattendoci a copiare alla fine tiravamo fuori qualcosa che non c’entrava nulla.
Inoki: Ci sta che Rondodasosa faccia il balletto, ma non puoi farlo uguale identico a Pop Smoke. Bello, figo, top, però hai fatto una cosa di un altro.

Forse una volta quando copiavi te lo dicevano in faccia (penso alla questione Eminem/Fabri Fibra), mentre ora magari passa in sordina.
Inoki: Glielo dicono, ma a questi non gliene frega un cazzo.

Un altro passaggio importante della storia è del rap è quello dai collettivi/crew a queste macchine da featuring per rubarsi un po’ di follower a vicenda.
Inoki: Ci si dà una mano, ci si usa un po’ l’uno con l’altro. Se prima ti sentivi un po’ una merda a farlo, ora è sdoganato. Sulla questione crew entrambi ci abbiamo provato. Ora non ci sono le crew, ci sono le gang.
Shocca: Le dinamiche sono molto cambiate, noi siamo adulti ora. C’è poi sempre lo spettro del grano che interessa un po’ a tutti ora. La conclusione la lascio a te.

Da quando sono arrivati i soldi nel rap è cambiato il vostro modo di approcciarvici?
Shocca: Per alcuni attorno a noi, sì. Per noi, no.
Inoki: Questo perché ci piace troppo il nostro approccio, siamo troppo contenti della nostra merda. Non possiamo cambiare, dai, neanche volendo. Ci vedi a me e Shocca con i capelli colorati, le treccine a sventagliare i cash e a fare i balletti?

È la rivincita della vecchia scuola, “la rivincita dell’hip hop”?
Shocca: Oltre ad essere tornati per nostri meriti, dobbiamo ricordarci che nella musica ci sono dei cicli che accadono. Ne abbiamo viste di tutti i colori, non ci sconvolge più nulla.

Tornando a 4 mani: c’è un brano con Nina Zilli (Sorelle) che tu Fabiano hai detto che è il tuo preferito del disco. E quando presentavi Medioego dicevi che il brano con Noemi (Ispirazione) è il più bello della tua carriera. Ti piacciono parecchio questi generi di featuring, il bel canto.
Inoki: Da morire! Te lo devo dire: farei solo questo, sono sincero. Collaborerei con tutti. Anche solo qui in Asian Fake c’è Ginevra e Memento che sono bravissimi. Quando in studio sto con qualcuno che canta imparo sempre tantissimo visto che fanno qualcosa di molto diverso dalla mia roba; ne sono affascinato.

Chiudo con una domanda/provocazione. Nel disco c’è Sorelle un brano dedicato alle donne. Il rap è cambiato tantissimo in trent’anni, ma ancora non c’è spazio per le donne, se non in questi momenti di celebrazione della figura, spesso sorella o madre. Che idee avete a riguardo?
Inoki: L’Italia è un paese maschilista. Nonostante tutte le leggi siano a favore delle donne, l’Italia resta maschilista. Per loro è più difficile, vedo come trattano le mie amiche quando vanno a fare un colloquio di lavoro.
Shocca: Siamo nel 2022 ma c’è ancora molto lavoro da fare, ben oltre le quote rosa.
Inoki: Come prima cosa ci vorrebbe un po’ di rispetto.

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