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La nuova vita di Marilyn Manson: dal satanismo al salutismo

Vive al buio, in salotto ha quadri dipinti da serial killer e sedie per aborti. Tromba minimo cinque volte al giorno, ma mai nudo
Brian Hugh Warner, in arte Marilyn Manson. Foto: Facebook

Brian Hugh Warner, in arte Marilyn Manson. Foto: Facebook

Quando Marilyn Manson va a dormire, di solito l’alba è già arrivata. E, quando si alza, il buio pesto non è mai troppo lontano. Da questo punto di vista, come per tutto quello che riguarda la sua vita, Marilyn Manson fa sempre quello che vuole. Se vuole le lenzuola nere e la temperatura in casa fissa sui 18°, le avrà. Mettiamo che su quelle lenzuola nere voglia fare sesso con la sua ragazza, la fotografa Lindsay Usich.

Primo: tutte le luci devono essere spente. «Sono molto timido, nonostante quello che la gente pensa». Secondo: le sue braghe non devono mai essere calate oltre le caviglie: «Ho una fobia: la casa prende fuoco e io sono nudo». Infine, il numero minimo di «incontri sessuali», come li chiama lui, è rigorosamente cinque al giorno fino a un massimo di dieci, raggiunto recentemente. Il che a 45 anni («l’età di un disco singolo») sembra quasi impossibile. Ma del resto cosa c’è di impossibile nella vita di Marilyn Manson?

Il suo nuovo album The Pale Emperor è il seguito ideale di Antichrist Superstar, il disco che nel 1996 lo ha portato fuori dalla desolazione post-grunge di Fort Lauderdale e lo ha catapultato al successo, per la disperazione della destra cristiana, che nel 1999 aveva cercato di incolparlo per il massacro alla Columbine High School (il 20 aprile di quell’anno, due studenti entrarono armati nella scuola e uccisero 12 compagni e un’insegnante, per poi togliersi la vita, asserragliati nella biblioteca, ndr).

La differenza è che Antichrist Superstar era sinistro, oscuro e industriale, The Pale Emperor invece ha un suono blues, molti sintetizzatori ed è pieno di rumori fatti con oggetti recuperati in giro e lamenti, tra cui anche l’ululato dei coyote. Molte canzoni, incluso il singolo Third Day of a Seven Day Binge, sono state registrate alla prima take: «È un disco sporco, come lo sporco sotto le unghie di chi ha scavato una tomba». Al momento, l’unica cosa che Manson sta scavando è il frigorifero della sua casa in stile gotico-ispanico sulle Hollywood Hills, in cerca di una bottiglia di succo d’uva. Riempie un bicchiere, lo appoggia sul tavolo e non lo tocca più. Mi mostra la sua casa, e qualcuno dei suoi oggetti più cari: una pila di libri per bambini, una bomboletta intatta di Zyklon B, il gas con cui Hitler sterminava gli ebrei, una pistola e un fucile appoggiati su un tavolino, il quadro di un clown dipinto dal serial killer John Wayne Gacy (che dal 1972 al 1978 torturò, sodomizzò e uccise 33 vittime, ndr).

In pratica, tutto quello che ti aspetteresti di trovare a casa di uno come Marilyn Manson. È vestito con una camicia nera, giacca nera, cappotto nero, pantaloni neri e stivali neri su calze rosso sangue. Indossa gli occhiali da sole, anche se la casa è così buia che in certi momenti i suoi capelli neri, corti e con un taglio asimmetrico, spariscono nel nulla intorno a lui. Si muove con grazia spettrale, le sue lunghe dita volteggiano e mi indicano una vecchia sedia medica per gli aborti che ha fatto rivestire con un tappeto di pelle di castoro che gli hanno regalato Brad Pitt e Angelina Jolie: «La chiamo “La Montagna dei Castori”. È dove ho fatto sesso con alcune persone che potrebbero anche essere state la causa del mio divorzio». All’improvviso si sentono dei passi. «Scusami, ma credo che dobbiamo interrompere per un momento», mi dice.

Io sono il caos, lo sono sempre stato

Compare Lindsay Usich, vestita con un abito di velluto molto sensuale, e molto scollato. Pronta per un’uscita mondana? «No», risponde lei passando lentamente sotto gli occhi del clown di John Wayne Gacy, prima di sparire nella stanza al piano di sopra. È un momento di imbarazzo che scivola via senza spiegazioni. Manson accarezza il suo gatto, un Devon Rex di nome Lily White e la osserva. Il gatto ha sulla testa una macchia rossa fatta con il rossetto di lei.

Forse hanno avuto una discussione. Forse lei non capisce come mai lui scrive testi come quello di The Devil Beneath My Feet (“Non portare a letto il tuo cuore nero / Quando mi sveglierò, è meglio che tu sia morta, o che sia andata via”) che non si riferisce necessariamente a lei, ma è comunque ispirato a un messaggio che lui le ha scritto. Manson ha avuto diverse fidanzate: Rose McGowan (dal 1997 al 2001), Evan Rachel Wood (2006-2010) e le pornostar Stoya e Jenna Jameson. Ha avuto anche una moglie, la regina del burlesque Dita Von Teese (dal 2005 al 2006, vittima della Montagna del Castoro). È finita male con tutte: «Attiro le donne piene di problemi». È ora di muoversi, usciamo per una serata tra uomini allo Chateau Marmont. «Io sono il caos, lo sono sempre stato, questo è il mio ruolo nel mondo. Sono il terzo tempo di tutti i film che hai visto, sono la parte in cui piove e in cui il personaggio che non vuoi che muoia muore. Sono qui solo per fare casino». Si preannuncia una notte di delirio, piena di cose terribili e meravigliose. Speriamo.

Il video ufficiale di Deep Six:

Alla fine del secolo scorso, Manson era conosciuto per essere una specie di folle provocatore e offensivo. Nel 1994 ha detto di essere diventato membro della Chiesa di Satana, due anni dopo si è autoproclamato Dio del Sesso e Anticristo. Andava in giro con lenti a contatto diverse, una marrone e l’altra azzurra, che lo facevano sembrare uno squilibrato. La sua presenza inquietava così tanto la destra religiosa da indurre a fare qualsiasi cosa per proibire i suoi concerti. Dicevano che ci sarebbero state scene di sesso omosessuale sul palco, abusi di droghe, stupri e oscenità, sacrifici animali e sì, anche sacrifici di giovani vergini.

Si diceva che Manson si fosse fatto rimuovere una costola per riuscire a fare sesso orale da solo. Poi lo vedevi ospite dei talk show impegnato in discussioni filosofiche sugli orrori della religione, la stupidità universale dei politici e la supremazia dell’individualismo, anche delle persone come lui che amava definirsi: «Uno stronzo intenzionale». Eppure di persona non potrebbe essere più gentile ed educato. Non dice volgarità quando parla. Porta la camicia abbottonata fino al collo per nascondere le centinaia di cicatrici dei tagli che si dice si sia fatto da solo sul petto. E ricordando quel periodo della sua vita spiega: «Quella versione da circo di Marilyn Manson è evaporata via». Per The Pale Emperor, Manson ha lavorato con Tyler Bates, compositore di colonne sonore per il cinema (I Guardiani della Galassia) e la televisione. Si sono conosciuti sul set di Californication nel 2013, dove Manson ha fatto un cameo. Bates ha portato ordine nel suo modo di lavorare, nella speranza di rilanciare una carriera che, come dice Manson stesso, «era finita nella spazzatura» quando è stato scelto come capro espiatorio dopo il massacro di Columbine. Sono passati 15 anni, da allora ha pubblicato album che sono stati stroncati dalla critica e dai fan, e nel 2009 è stato licenziato dalla sua etichetta, la Interscope. Per tenersi occupato ha cominciato a dipingere, ha recitato in altre serie televisive (ultimamente in Sons of Anarchy, nel ruolo di un suprematista bianco in carcere) e si è dato all’assenzio.

Un uomo senza mezze misure. Foto: Facebook

Ha messo su parecchi chili, fino a diventare quasi grasso, anche se adesso va in palestra, «dieci minuti di corsa, esercizi per braccia e gambe alle macchine, niente pesi». E ha iniziato a frequentare Johnny Depp. A quanto pare, si capiscono più di chiunque altro. Anche perché nessuno dei due ha bisogno di parole: «Ci borbottiamo qualcosa e poi finiamo le frasi a gesti». Hanno anche delle passioni in comune; hanno tentato di comprare la pistola con cui Hitler si è suicidato ed entrambi riescono ad addormentarsi solo se la tv è accesa: «Io preferisco cose molto violente e rumorose». Hanno anche gli stessi tatuaggi: la frase “No Reason” sul polso e, sulla schiena, «Charles Baudelaire, i fiori del male, uno scheletro gigante», ha raccontato una volta Manson. «È una specie di segreto, la gente ci chiede: “Perché lo avete fatto?”. E noi: “Non c’è un motivo”». Oggi dice: «Johnny è una delle poche persone con cui posso parlare. Anche perché non abbiamo niente da dire, ma non avremmo nessun altro a cui dirlo».

Manson ordina un doppio shot di vodka al bar dello Chateau Marmont. I giorni dell’assenzio sono finiti, dice, perché «ti fa diventare pazzo e povero. E io non voglio finire così». Anche il whisky è stato eliminato: «È grazie al whisky che mi sono fatto i tagli sul petto. Mi fa diventare una canaglia. E molto irritabile». È tardi, il locale sta quasi per chiudere, se deve succedere qualcosa di oltraggioso questo è il momento. Il tasso alcolico è piuttosto alto, e ci sono anche delle donne. Una ragazza italiana di nome Titti, che tutti conoscono come la più grande fan di Manson (lo ha visto in concerto 1.500 volte) si siede al nostro tavolo e lo guarda con occhi innamorati: «È bellissimo». Un nerd straniero con gli occhiali (Manson lo chiamerà più tardi Lasiks) si avvicina per chiedere consigli su cosa fare con la 40enne che ha appena agganciato. «Dovresti perdere la tua verginità con lei e poi pugnalarla», dice lui. Il tipo annuisce e dice: «Ti faccio sapere come è andata». A un certo punto compare dal nulla il cantante country Shooter Jennings, parlano di scrivere un pezzo insieme e Manson improvvisa un testo piuttosto evocativo: “Ti amo / Non mi trovi carino? / Aiutami / Mi ucciderò”. «La finiamo domani», dice. Jennings risponde: «Ci sono!».

Poi, l’attenzione di Manson si sposta sulla 40enne di Lasiks: «Secondo te ha della cocaina?», chiede. Lasiks si allontana per andare in bagno, e lui scivola accanto a lei. Viene fuori che una volta, 12 anni fa, hanno passato tre ore insieme nel bar del Metropolitan Hotel di Londra: «Sei ancora più bella», le dice Manson. «Grazie tesoro, sono felice di vederti», risponde lei. Quella volta a Londra sono finiti a letto? «No», risponde lei. «Ero sposata e lui si è comportato da gentiluomo. Non dimenticherò mai la conversazione che abbiamo avuto, è stata molto interessante. È una persona speciale».

Non faccio molto la doccia, mi lavo le ascelle e le parti intime

Nel frattempo, il gentiluomo sta tenendo banco dicendo cose tipo: «Mi lavo le mani prima di pisciare, perché so dov’è stato il mio cazzo, ma non so dove sono state le mie mani». Qualche ora fa aveva detto: «A casa ho una lampada a raggi ultravioletti per rilevare tracce di sperma, Lindsay la passa sulle mie mutande quando torno per vedere se ho fatto qualcosa di male. Io la prendo in giro: “E se mi fossi cambiato le mutande?”. E lei: “Tu non cambi mai le mutande”. È vero. Ottima risposta». Titti ridacchia, Manson ordina un altro giro di vodka. Arriva il momento di andarsene, e ancora non è successo niente. Che delusione. Se Manson è qui tra noi per fare casino, stasera è stata una serata inutile. O forse no. Forse esiste un nuovo modo di essere Marilyn Manson, e deve ancora essere scoperto, dagli altri e anche da lui stesso.

Quindici ore dopo, quando comincia a fare buio, Manson riemerge dalla sua camera dopo aver probabilmente completato la routine di cinque “incontri sessuali” con la sua fidanzata. La casa è buia e rimarrà così, la temperatura è fissa sui 18°, come sempre. Lui si alza, si lava i denti (se proprio volete saperlo usa dentifricio Aquafresh). Ti aspetteresti una doccia, e invece niente: «Non faccio molto la doccia, mi lavo le ascelle e le parti intime. Oggi però non l’ho ancora fatto, quindi se hai intenzione di farmi un pompino è meglio che aspetti un attimo». Si veste pescando dalla pila di vestiti di ieri, tutti rigorosamente neri, e si trucca gli occhi con lo Smolder Kohl di MAC, il suo eyeliner preferito, «perché sbava e fa quell’effetto “appena sveglio e appena dopo il sesso” che mi piace molto».

Al piano inferiore è tutto buio, tanto che il suo assistente Ryan deve andare in giro con una torcia. Pistola e fucile sono spariti, ma il clown del serial killer è ancora lì che lancia occhiate maligne. Manson si siede su un divano e incrocia le mani. Nella luce fioca del crepuscolo è una figura affascinante: la fronte alta, il mento poco pronunciato, la pelle bianchissima e, soprattutto, la totale assenza di segni di invecchiamento sul suo viso. Niente rughe, niente borse sotto gli occhi, nessuna traccia della sua vita trasgressiva. «Penso di essere un teenager», mi dice. «Sono stato fidanzato con una pornostar e mi ha lasciato perché volevo fare sesso troppo spesso!». Forse è qualcosa che ha a che vedere con la sua infanzia. È nato a Canton, Ohio, con il nome di Brian Warner. Suo padre era un agente di commercio di mobili e non era mai a casa, sua madre un’infermiera. Una situazione all’apparenza normale, ma non era così.

Manson ricorda in particolare un giorno in cui si intrufolò nella cantina di suo nonno e lo vide mentre si masturbava guardando dei film porno con animali, emettendo grotteschi suoni gutturali dal foro lasciato nella sua gola da una tracheotomia. Invece di spaventarsi, rimase affascinato, quasi ipnotizzato dalla scena. È stato forse questo a spingerlo verso il mondo del glam-metal-goth quando si è trasferito con la famiglia in Florida, a decidere di assumere l’identità di Marilyn Manson (un modo per mettere insieme due estremi: Marilyn Monroe e Charles Manson), formare una band, vendere 50 milioni di dischi e, nel frattempo, diventare il simbolo del male in America.

Da bambino ero sempre in ospedale, avevo l’anemia e ho preso la polmonite sei volte

a questa era la sua versione da circo, il passato. Il presente sembra ancora non essere arrivato, e questo spiega perché l’altra notte allo Chateau Marmont non è successo niente. Quando uno è un vampiro rimane un vampiro, e per un uomo come lui ci sono tanti modi di evolvere. «A volte mi sento come se fossi rimasto intrappolato all’età in cui ho cominciato: 23 anni». O forse 14, dipende da quello di cui stiamo parlando. Questo spiegherebbe molte cose, tra cui la sua mania di rubare nei negozi. Ultimamente ha sottratto un paio di occhiali da sole in uno store di John Varvatos, anche se poi li ha restituiti («quindi tecnicamente non è stato un furto») e un pacco di gomme da masticare in un supermercato («che ho buttato via senza neanche toccare»).

Tutte queste rivelazioni servono a spiegare una cosa: «Sono malato di mente. Non è una cosa che si può diagnosticare. Ho una serie di patologie multiple, ed è impossibile capire quale sia quella principale». Fa una pausa: «Non mi piace l’intimità con le persone. Avrò fatto la doccia con una ragazza forse un paio di volte nella vita e sempre al buio. Sono molto timido e ho il terrore della vasca da bagno. Mia madre mi faceva sempre il bagno da piccolo e mi ricordo che non mi piaceva». Sua madre si chiamava Barbara, è morta nel maggio scorso, a 68 anni, dopo una battaglia contro la demenza, nel corso della quale era arrivata a non riconoscere più suo figlio: «Da bambino ero sempre in ospedale, avevo l’anemia e ho preso la polmonite sei volte». Gli dicevano che soffriva di allergie rarissime, alle uova o agli ammorbidenti dei tessuti. Aveva anche i lobi delle orecchie grandissimi. A lui non importava molto, ma a sua madre sì e quindi la prima cosa che ha fatto quando è diventato ricco è stato farseli ridurre da un chirurgo plastico: «Nessuno ci crede, ma l’ho fatto. È stata mia madre a dirmelo».

E a questo punto, come se ci avesse pensato solo adesso, spiega la verità: Barbara soffriva di Sindrome di Münchausen per Procura, un disturbo mentale che spinge le madri a procurare danni fisici ai figli per far credere che siano malati e attirare l’attenzione.

Manson con il fotografo Terry Richardson. Foto: Facebook.

Manson lo ha svelato una sola volta, 15 anni fa, non ne ha fatto parola nella sua autobiografia del 1998 The Long Hard Road Out of Hell e ancora oggi è un argomento che evita. Non era allergico alle uova o agli ammorbidenti, tutte le malattie che aveva da bambino erano causate da sua madre, e la decisione di farsi ridurre i lobi delle orecchie era un ordine a cui non poteva disobbedire, come quelli che lui impartisce a casa sua oggi: luci spente, lenzuola nere, temperatura a 18°. «Ho scoperto tardi l’esistenza della Sindrome di Münchausen, e non saprei dire da quanto tempo lei ne soffrisse. Ma nella mia famiglia c’erano delle malattie».
Il che sarebbe un modo per spiegare Marilyn Manson: soffre di problemi psicologici, per questo si comporta così. Potrebbe essere vero, ma potrebbe anche essere fuorviante ridurre tutto a una serie di patologie. E potrebbe essere molto sbagliato, sia da parte di Manson stesso che da parte dei suoi critici, che lo hanno sempre liquidato così.

«Manson è Manson, e basta», dice il suo produttore Tyler Bates, e in fondo è la verità. È un originale, brillante, alternativo esempio di cosa voglia dire essere un individuo. Ma adesso è arrivato il momento di lasciare che Manson sia Manson. Lindsay Usich vorrebbe scendere per salutare, ma non è vestita in modo adeguato: «Sono in pigiama», dice da dietro la porta chiusa. «Hai le mutandine con l’apertura davanti?», replica il 14enne Manson che vive dentro il 45enne. Poi si rivolge a me: «Tutto può essere aperto davanti, se hai un coltello! E comunque volevamo solo confermarti le cinque volte». Lei risponde: «Sono state molte di più di cinque». «Ah», continua lui, «allora stai mettendo il ghiaccio sulle tue parti intime, vero?». «Oh certo, non riesco neanche a camminare». Chissà come deve essere la loro vita di coppia. Ma alla fine non importa quello che fa, quante volte fa sesso, cosa ruba nei negozi, quale terribile consiglio dà ai ragazzi rimorchiati dalle 40enni. L’importante è che si diverta. Quindi ciao Manson, divertiti stanotte. «Non dirmi mai quello che devo fare», mi dice salutandomi dalla porta, «comunque lo farò».

Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone di marzo.
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