Intervista a Tom Morello: Italians do it better | Rolling Stone Italia
One-man revolution

Tom Morello
Italians Do It Better

Abbiamo parlato col chitarrista in attesa dei tre concerti che terrà a luglio nel nostro Paese: la storia di come ha ritrovato i parenti in Piemonte partendo da una vecchia foto, diventando un eroe locale con tanto di statua, il figlio che suona meglio di lui, lo stato della musica, il disco solista che vuole assolutamente fare. E i Måneskin: «Pensate quel che volete, io li amo. Un paio di loro potrebbero farmi compagnia nei live italiani»

Tom Morello. Foto press

Tom Morello ha vissuto molte vite, artisticamente parlando, tracciando nuovi confini del suono degli anni ’90 coi Rage Against The Machine e ripescando elementi di classic rock negli anni 2000 per dar vita agli Audioslave. A questo si sommano una miriade di collaborazioni, esplicitate soprattutto nella trilogia collettiva The Atlas Underground, dove si muove in territori solo parzialmente esplorati in precedenza come l’hip hop e l’elettronica, e i progetti estemporanei o comunque di minor gittata come gli Street Sweeper Social Club, dove ritrova la matrice politica dei Rage assieme a Boots Riley dei Coup e – per rimanere in tema di collaborazioni rappuse – il supergruppo dei Prophets of Rage con al microfono due leggende come Chuck D (Public Enemy) e B-Real (Cypress Hill). Il progetto solista di combat folk Nightwatchman e i due dischi con Bruce Springsteen completano il pacchetto e riassumono 30 anni di carriera di Morello. Che non è quindi solo il chitarrista dei Rage Against The Machine per quanto nessun altro dei suoi progetti abbia avuto quell’influenza sulle generazioni successive.

Il chitarrista di Los Angeles è atteso questa estate per tre date (il 6 luglio al Lucca Summer Festival, l’8 al Castello Scaligero per il Villafranca Festival e il 10 luglio a Torino per OGR Sonic City) nel nostro Paese che, da un anno, è diventato un po’ anche il suo. Da qualche mese, infatti, ha ottenuto la cittadinanza onoraria italiana dal comune di Pratiglione, un piccolo borgo nella città metropolitana di Torino.

Vi sarebbe piaciuto avere delucidazioni sul futuro dei Rage Against The Machine? Beh, credeteci, sarebbe piaciuto anche a noi. L’unica cosa che si riesce a sapere è che al momento non ci sono aggiornamenti o novità su altri progetti di cui parlare. Siamo fermi perciò a quanto scritto dal batterista Brad Wilk a gennaio, quando ha annunciato che non verranno recuperate le date dell’ultimo sfortunato tour e che la band non suonerà mai più assieme dal vivo. Anche se la band non si è ufficialmente sciolta, nessuno dei rimanenti membri dei Rage ha commentato o smentito le parole di Wilk.

Tom, credo si possa dire che stai tornando a casa. Sei uno di noi adesso.
Assolutamente. Ho qui nel mio ufficio la fotografia di quel meraviglioso giorno a Pratiglione così come il mio certificato di cittadinanza. Sono sempre stato orgoglioso delle mie origini italiane, il figlio nativo Morello sta tornando a casa.

Com’è successa la cosa?
Sono stato contattato dal sindaco. Ci sono stato qualche volta, si tratta di un piccolo paesino sulle Alpi dove vivono circa 500 persone e di queste 200 si chiamano Morello. Quindi sì, sono stato più volte, ho visitato la chiesa dove si sposavano i Morello a partire dal 1700 così come il cimitero, ho una valanga di cugini da quelle parti. Uno dei ricordi più belli che ho è stato suonare nella piazza del paese assieme ai miei figli, i giovani Morello, quello è stato davvero speciale.

Sei riuscito a ricongiungerti con qualcuno della tua famiglia quando eri lì?
Sicuro! Siamo in contatto da un po’, la prima volta che mi sono recato lì è stato probabilmente 20 anni fa. Mia madre c’era stata nel 1948 o giù di lì, tutto quello che volevo fare era scattare una foto al cartello col nome del paese, cosa che ho fatto. Mia mamma invece mi mostrò questa foto in bianco e nero di questa casa messa male dove vivevano i Morello. Stavo girando per il paese quando l’autista mi suggerisce di fermarmi all’anagrafe. Perché abbiano l’anagrafe in un paesino di 500 persone non te lo so dire (ride). Comunque, ci fermiamo e trovo i registri di nascita e morte, così come i matrimoni, della famiglia Morello, anche molto indietro nel tempo. E mentre sono lì, ecco che entra il sindaco, che aveva notato la nostra auto scintillante parcheggiata fuori e voleva capire cosa stesse succedendo. Gli spiego che sono un Morello che viene dall’America e subito mi chiede «vuoi andare a far visita a Giuseppe Morello?». Perché no, rispondo io (ride di gusto). Ed ecco che mi ritrovo nella casa rappresentata nella fotografia in bianco e nero che aveva mia madre. Lui però non c’era quel giorno, era a caccia di cinghiali. L’ho conosciuto più tardi, assieme a tanti altri cugini, è stato fantastico.

Quindi in realtà è stato un percorso lungo.
Sì, e adesso loro ci vengono a trovare qui e – insomma – ci siamo ritrovati.

 

 
 
 
 
 
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Sapevano chi eri?
La prima volta che sono andato lì no. Poi l’hanno capito e immagino sia una delle ragioni per cui abbiamo festeggiato in piazza con tutto il paese.

Buffo.
Questa cosa è stata commovente, io non sapevo che sarebbe successa, pensavo solo che saremmo andati a cena insieme. E invece mi hanno fatto una statua. Anzi, ci sono due statue nel paese: una è dedicata alle persone di Pratiglione che hanno combattuto i nazisti durante la Seconda guerra mondiale. L’altra invece è una statua a forma di chitarra con sopra scritto Tom Morello (ride)

Sei serio?
Serissimo.

Come ti fa sentire la cosa?
Sono sempre stato orgoglioso della mia parte italiana, adesso lo sono ancora di più. Mi sono ricongiunto con la mia famiglia ed è stato bello soprattutto per i miei figli, che hanno 12 e 13 anni. È stato fantastico.

Hai imparato un po’ di italiano?
No. Mia moglie, la sua famiglia è originaria di Bari, è la nostra guida. Lei parla italiano per tutti noi.

Tom, non deludermi su questo: hai imparato a cucinare? Almeno un pochino?
Un pochino.

Cosa sai fare?
La pasta. E poi so versare la grappa.

Quello non è cucinare!
Beh, in un certo senso… (ride)

Foto: Daniele Venturelli/Daniele Venturelli/Getty Images

Non vedo l’ora di rivederti dalle nostre parti. Sono rimasto sorpreso invece dalla tua apparizione a Sanremo. Che ricordi hai di quell’esperienza coi Måneskin?
Sono amico dei Maneskin da un po’. Vivono a Los Angeles e abbiamo un amico in comune che ci ha messi in contatto. Li amo a livello umano, persone meravigliose. Abbiamo provato assieme qui un po’ di volte e poi abbiamo scritto Gossip. Non conoscevo la storia del festival né la sua importanza nella televisione italiana fino a che non mi sono ritrovato lì. È stato divertente stare con loro, sono davvero ganzi e, se tutto va bene, un paio di loro potrebbero farmi compagnia nei miei concerti italiani.

La cosa buffa è che la stampa mainstream italiana, il giorno dopo la vostra esibizione, tentava di spiegare chi fossi tu invece di chi sono loro.
Capisco (ride).

Quindi c’erano tutti questi articoli intitolati “chi è Tom Morello, il tizio che suona coi Måneskin”…
Ahaha!

Com’è nata la vostra collaborazione?
Grazie a questo amico in comune che lavora nell’industria musicale. Erano qui a Los Angeles a scrivere il loro disco e sapevo che si sarebbero esibiti al Roxy. Li ho raggiunti durante il soundcheck e sono stati meravigliosi, coi piedi per terra, ci siamo divertiti parecchio insieme e abbiamo scambiato i numeri. Mi hanno invitato un paio di volte a provare con loro ed è così che è nata Gossip che poi è diventata una delle loro canzoni più note. Mi sono divertito anche a fare il video assieme a loro. La cosa divertente, per me, è osservare queste rockstar italiane ventenni e il modo in cui lo fanno. Siamo amici adesso e io sono un loro fan.

I puristi italiani del rock hanno odiato questa cosa.
Hanno odiato cosa?

Che hai suonato con loro.
Oh, ok (ride).

Ti interessa quello che pensa la gente o sei nella posizione di fregartene?
Voglio dire, sono molto sicuro nello scegliere cosa mi piace e cosa mi interessa fin dal giorno uno. Lascia che ti dica questa cosa: c’è una valanga di persone che odia l’aspetto politico dei Rage Against The Machine, le melodie degli Audioslave, il supergruppo dei Prophets of Rage o quando suono la chitarra acustica… pazienza. Non mi piegherò mai alla pressione altrui, ho reso sempre molto chiara la mia posizione su tutto. Mi piacciono quei ragazzi e mi sono divertito molto suonando con loro. E ti dirò un’altra cosa sui Måneskin: siamo nel 2024! Il rock’n’roll non è più in cima alle classifiche ed è la prima volta che l’Italia ha una band che ottiene un successo mondiale, suonando di fronte a platee internazionali. Io sono stato in studio con loro, ognuno suona il proprio strumento, quei ragazzi sanno suonare. Scrivono i loro pezzi, hanno una grande connessione col proprio pubblico, tutto questo è fantastico. Le persone possono pensare quel che vogliono, ma io li amo.

Foto press

Che c’è nel tuo futuro?
Sto scrivendo nuova musica proprio adesso. Spero di riuscire a tirar fuori qualcosa prima di questo tour estivo. Sono gasato dall’idea di fare un disco rock solista di Tom Morello. Ho fatto un po’ di dischi con una valanga di collaborazioni, ho fatto cose folk, magari ci sarà qualche featuring ma senza esagerare. Sono davvero preso bene dall’idea di suonare la chitarra elettrica in questo momento, sono bravo a farlo come lo sono sempre stato ma è mio figlio che mi spinge a migliorarmi: mi ha relegato ad essere il chitarrista ritmico della famiglia.

Ma che dici?
Lui spacca. Io mi limito a fare una progressione di accordi mentre lui ci trita tutto sopra. Devo migliorare continuamente per mantenere il mio posto nella band di famiglia. Sono stato messo in discussione.

Come si chiama tuo figlio?
Roman. Romano (ride).

Cosa gli piace?
È un ascoltatore moderno, gli piacciono l’hip hop contemporaneo, ma anche la trap e il classic rock. È un produttore, voglio dire oggi tutto quello che ti serve è un iPad per produrre… che ne so, il White Album. Suona, fa pratica almeno un paio di ore al giorno, prova un po di tutto, dai Pink Floyd a… l’altro giorno ho sentito un po’ di Rage Against The Machine provenire da camera sua, altre volte invece fa dei beat in stile Travis Scott.

Come ti fa sentire il fatto che tuo figlio ascolta i Rage?
I miei figli non hanno mai sentito i Rage Against The Machine almeno fino al 2022. Non li ho mai suonati per loro, voglio solo essere il loro babbo, non ho mai voluto essere altro. Quando capitava che li sentissimo alla radio non ho mai detto niente. Poi un giorno li ho dovuti portare con me alle prove, ci stavamo allenando per il tour americano e ho visto i loro occhi illuminarsi. Era la prima volta che si trovavano in una stanza con una rock band. Sono venuti in tour con me per tutte le 19 date e si sono divertiti tantissimo.

Quindi pubblicherai un disco solista, ho capito bene?
Esatto.

È questa la direzione che vuoi prendere in futuro? Voglio dire, ti immagini a lanciare o capitanare una nuova band, o porterai avanti la tua carriera come un solista?
Ormai, se li conti tutti, ho fatto qualcosa come sette o otto dischi che sono praticamente dischi solisti. In questo senso, amo essere il fautore del mio destino. Amo suonare con altri musicisti, amo quel tipo di chimica che si crea con gli altri ma allo stesso tempo amo il fatto di non dover più partecipare alle riunioni di gruppo (ride) e di poter decidere per me stesso. Mi sento molto creativo in questo momento, sto creando musica di cui sono orgoglioso e questa cosa non è semplice. Ci sarà sicuramente nuova musica nel mio tour italiano. Non so se tu fossi presente al mio concerto lo scorso anno al Firenze Rocks ma, voglio dire, io ormai ho un curriculum di 22 dischi. Amo suonare i Rage, gli Audioslave, i Prophets of Rage, Bruce Springsteen, Atlas Underground, Nightwatchman, i miei concerti adesso sono una summa della mia carriera e io continuo a mettermi alla prova: la mia idea è che non ho ancora scritto il mio disco migliore. Questa è la mia attitudine: ogni volta che sono sul palco voglio essere autentico, continuare a sfidare me stesso come artista e come chitarrista e ad avere cura di una carriera fatta di resistenza sonora.

Tu sei un grande chitarrista, non devo certo dirlo io. A inizio carriera, però, facevi il cantante in una band chiamata Nebula. Corretto?
Sì (ride). Era prima che mi cambiasse la voce. Potevo fare le robe altissime alla Robert Plant (comincia a cantare Whole Lotta Love, nda), poi però mi è cambiata la voce e mi è toccato passare alla chitarra.

Hai collaborato con una valanga di musicisti, specialmente nel progetto Atlas Underground. Quali sono quelli con cui non sei ancora riuscito ad entrare in contatto?
Due artisti con cui sono amico e con cui ho collaborato ma non quanto avrei voluto sono Skrillex e Post Malone.

Skrillex?!
Sì, sì. Lui stava in una band punk e ho capito subito quando ho sentito i suoi drop che era molto pratico del materiale di gruppi come Rage Against The Machine e Tool e credo che insieme potremmo fare qualcosa di davvero speciale. Con Post Malone abbiamo scritto un pezzo assieme circa cinque anni fa che è una bomba (il pezzo non è mai uscito, nda). Sai qual è stato il suo primo concerto? I Korn! Per cui, voglio dire, ce l’ha dentro anche lui ’sta roba. Penso che potremmo fare cose molto belle se riusciremo a combinare la cosa.

Foto press

Tu hai visto e vissuto la trasformazione del mercato: hai venduto milioni di dischi con le tue band e adesso sei sulle piattaforme di streaming. Qual è il valore della musica in un momento storico in cui i dischi, sul mercato, non hanno alcun valore?
Capisco la tua domanda, ma forse avrebbe più senso farla ai miei figli. Detto questo, a quanto ne so ci sono circa 250 mila brani di musica che escono ogni giorno su Spotify. Prima c’era un’industria musicale che fungeva da imbuto e che – in qualche modo – stabiliva quale musica tu potessi sentire, quale avresti ascoltato in radio, quale avresti visto su MTV. Oggi, nonostante ancora esistano le superstar, ognuno può fare musica quindi, per certi versi, la musica è diventata molto più democratica. È però molto più difficile dare vita a una carriera che possa resistere nel tempo proprio a causa del mare di musica che esce ogni giorno. Per quanto mi riguarda, le vendite non sono mai state la mia stella polare: sono orgoglioso di aver venduto 150 mila copie con The Nightwatchman così come sono orgoglioso di averne vendute cinque milioni con gli Audioslave. Credo e continuo a credere che il successo debba misurarsi su altri valori: ami quello che stai facendo? È un lavoro onesto? Sei orgoglioso che altri lo stiano ascoltando? Punto. Se questo è quello che ti guida, allora vivrai un’esperienza artisticamente soddisfacente, sia che tu lo stia facendo in uno stadio sia che tu lo stia facendo nella tua cantina.

Dato che hai citato gli Audioslave, abbiamo perso Chris Cornell sette anni fa. Hai voglia di condividere un pensiero o un ricordo su di lui?
Certo, ne ho una valanga. Anche se è stato un mio amico e un mio compagno di band, non ho mai smesso di essere un suo fan. La prima volta che ho sentito Louder Than Love… voglio dire, quel disco ha cambiato tutto. È stato forse il primo a creare un ponte fra metal e musica underground: assieme a loro citerei anche i Jane’s Addiction e i Living Colour, ma Chris, lui era davvero l’anima della band. Amava il punk, ma anche gli Zeppelin e i Black Sabbath e non amava i compromessi. Io invece amavo il metal, ma ho sempre pensato che al genere mancasse un contenuto poetico o intellettuale: Chris e i Soundgarden, in questo senso, hanno aperto una nuova via.

Ti sei incazzato contro il sistema per 30 anni. Ne è valsa la pena?
Se ne è valsa la pena? Ahah! Vale la pena fare quello per cui sei nato? Certamente sì! Voglio dire, immagina in che condizioni sarebbe il mondo se non ci fossimo incazzati per questi 30 anni.

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