I Gomma ci piacciono, ve lo abbiamo già detto nello scorso numero con le quattro stelle date al loro album d’esordio Toska. Ci ha conquistato il loro indie rock emotivo, il romanticismo adolescenziale dei testi, e un’autenticità dai contorni quasi punk. Per questo eravamo curiosi di incontrare questi quattro ragazzi della provincia di Caserta, di passaggio a Milano per un concerto. È venerdì, per permettere alla cantante Ilaria di concentrare le date del tour nel weekend, in modo da non fare troppe assenze nel suo ultimo anno di scuola. Quando ci sediamo al tavolo della redazione di Rolling Stone, la loro timidezza riempe l’aria. Ma non ci va di rompere il ghiaccio, quando è così bello, e respiriamo timidezza per tutta la durata dell’intervista. Giovanni è il più spigliato, i fratelli Matteo e Paolo sembrano usciti da una versione reloaded di Ecce Bombo di Nanni Moretti e sono silenziosi e ironici, mentre Ilaria – un mix estetico tra Lola Corre, Yolandi dei Die Antwoord e Tank Girl – ha l’occhio vispo e lo sguardo cazzuto.
Oggi, mentre molti artisti indie sono tornati a una costruzione classica della canzone, voi aprite l’album con un parlato di un minuto a cui segue un muro di chitarra shoegaze (Alice scopre). Da dove arriva questa vostra attitudine?
GIOVANNI: Non lo abbiamo deciso, semplicemente ciò che fai è la somma di quello che ti piace, di quello che vorresti ascoltare. Alice scopre è un pezzo parlato, l’abbiamo scritta io e Ilaria ed è quasi un audiolibro, una storia: avevamo visto Kynodontas, film di Yorgos Lanthimos, e avevamo letto Paolo Marasca: c’è una scena nel libro La qualità della vita in cui una ragazza assiste a un suicidio, mentre nel film un’altra ragazza vive in un ambiente in cui ogni parola ha un significato diverso rispetto a quello comune. Da lì abbiamo deciso di costruirci una storia attorno.
A proposito di consumi culturaIi, in Elefanti c’è pure una frase presa da un film di Godard…
GIOVANNI: Mi piace quel tipo di cinema, la nouvelle vague francese, il cinema lento; fra gli italiani, mi piace il cinema di Nanni Moretti oppure di Fulci. Non mi piace il cinema come intrattenimento, lo intendo come un mezzo per comunicare qualcosa. A differenza dei miei compagni di band sono più appassionato di cinema che di musica.
Nell’album c’è una buona dose di incazzatura, più romantica che una semplice reminiscenza punk, ma non scrivete testi che parlano di tematiche sociali o politici come si usava negli anni ’90. Quindi mi chiedo da dove venga questa incazzatura.
ILARIA: Sono una persona particolarmente irascibile, forse molto razionale, tendo a pensare sempre al perché una cosa mi dia fastidio o mi faccia sentire in una determinata maniera. Questo mio riflettere, mi porta spesso non tanto a incazzarmi, quanto a scocciarmi. Mi piace esternare questo sentimento.
Cosa ti scoccia?
ILARIA: Troppe cose:le persone che cambiano, le aspettative che non si realizzano, il non riuscire a capire se fare qualcosa per raggiungere quello che vorresti o, magari, se sarebbe meglio fare in un altro modo. È un elenco infinito.
GIOVANNI Ti fa incazzare tutto, praticamente.
ILARIA (Ride).
Nel punk, così come nel folk di protesta, l’incazzatura era generazionale: i genitori, la società, la politica…
GIOVANNI: Forse questo tema è più legato a Ilaria rispetto a noi, perché, essendo la più giovane (ha 18 anni, nda), è la più radicale. Che poi è il motivo per cui ti appassioni di più alle cose e ti incazzi di più: più cresci, più diventi tollerante. L’incazzatura, in quello che scriviamo, è nei confronti di noi stessi, quando non riusciamo a essere chi vogliamo o a fare davvero quello che vogliamo.
Quindi forse avete solo un’aspettativa molto alta nei confronti di voi stessi, se siete incazzati per il fatto che a soli 18 anni non si riesca a fare qualcosa (e mentro lo dico mi sento sulle spalle 15 anni di più di quelli che già ho, nda).
ILARIA: Parlerei più di intolleranza, il fatto che magari ti aspetti qualcosa da te stesso che poi non viene realizzato. Non c’è un nemico esterno, un obiettivo, un fine.
MATTEO: Toska racconta dei rapporti tra le persone in modo incazzato.
Insieme all’incazzatura c’è una forte sensazione d’ansia nel disco.
ILARIA: Il disco è molto ansiogeno, perché noi siamo persone piuttosto ansiose, è una cosa che ci accomuna, e il risultato è spontaneo.
PAOLO: Sono ansioso per qualsiasi cosa, anche se ti vedo con il bicchiere vuoto davanti, mi viene l’ansia, perché mi chiedo se te lo devo riempire.
GIOVANNI: È una cosa che accomuna tutta la nostra generazione.
Ilaria, i tuoi compagni cosa ascoltano?
ILARIA (Ride): Cantautori napoletani, ma non li conosco, comunque roba pop, abbastanza scadente.
Come hanno preso a scuola il fatto che sei la cantante dei Gomma?
ILARIA: Mi prendono per il culo… mi canticchiano le canzoni per i corridoi, mi fanno i versetti. Io rimango abbastanza indifferente, non mi ritengo snob, ma spesso le persone si mostrano in un certo modo e io non mi curo di loro.
Come vi siete conosciuti?
ILARIA: Il mio ragazzo stava facendo una cover band, mi chiese di fare un paio di prove e il giorno dopo iniziammo a suonare insieme. Poi le formazioni sono cambiate, finché non abbiamo iniziato a fare un progetto nostro.
Sarà perché ho ascoltato molta trap negli ultimi mesi, ma il vostro è uno dei pochi dischi “giovani” italiani in cui non si parla mai di droga.
GIOVANNI: Io volevo mettercela (ride).
Quando vi definiscono punk, sentite un’eredità anche solo simbolica con quel mondo?
GIOVANNI: Vorrei esserlo, ma razionalmente so che non possiamo rappresentare quel mondo perché non saremmo noi. Però i concerti che vedo sono quelli: i La Quiete è uno dei concerti più belli che abbiamo visto recentemente, oppure gli Stormo, e poi vorrei vedere Bologna Violenta.
Per fare la musica che fate pensate che sia necessaria la radicalità di cui parlavamo prima? Vi faccio un esempio: vi chiama Max Pezzali e vuole fare un pezzo con voi…
PAOLO: Io sono pro, però poi siamo tre contro uno… bisogna vedere se ne vale la pena. Max Pezzali è una persona per bene, perché no?
GIOVANNI: L’eterno giovane.
Le vostre canzoni sono istantanee di una intima quotidianità. Come passate le giornate?
ILARIA: Noi ci vediamo in quanto amici prima che come band: la sera andiamo nei locali a sentire i concerti e poi proviamo nella casetta di Matteo e Paolo, una sorta di comune punk.
Mi ha colpito leggere un’intervista in cui dite che in macchina ascoltate la Dark Polo Gang.
GIOVANNI: Sì, ma anche di peggio.
MATTEO: Ma anche di meglio.
GIOVANNI: Enzo Dong!
ILARIA: Io sono costretta da loro.
Cosa pensate di avere in comune con questa nuova scena, che va dalla Dark Polo Gang fino a Calcutta?
PAOLO: La Dark Polo si veste meglio (ride). Siamo un gruppo completamente all’opposto, musicalmente, concettualmente, anche come vita.
ILARIA: Partendo dal presupposto che io li reputo vergognosi (il riferimento è alla DPG, nda), credo che sotto certi aspetti abbiano un’attitudine punk, quindi proprio con forza e dolore potrei anche vedere qualche punto in comune con i Gomma.
E con Calcutta?
ILARIA: Sotto certi aspetti sì, soprattutto nel raccontare certe scene di vita quotidiana in maniera diretta.
GIOVANNI A differenza di Contessa de I Cani, che costruisce ed elabora molto i testi, Calcutta come noi è meno artificioso, racconta quello che vive tutti i giorni. Musicalmente sono altri gli artisti che ci hanno spianato la strada, che hanno creato un pubblico attento a quello che facciamo: i Fine Before You Came, i Gazebo Penguins, gruppi che sono riusciti ad allargare la nicchia.
Ilaria, tu a scuola sei considerata alternativa?
ILARIA: Sì, ancora mi chiamano punkabbestia. È una condanna.
Avete già un progetto, un’idea di cosa vi piacerebbe fare nel futuro prossimo?
ILARIA: Io stavo parlando prima con Matteo di ’sta roba, noi pensiamo sempre all’ora-e-qui. Preferiamo pensare a cosa abbiamo e a dove siamo, piuttosto che pensare a cosa potremmo avere e dove dovremmo stare.
PAOLO: Beh, un po’ ci pensiamo, Giovanni sta già iniziando a scrivere i pezzi nuovi.
GIOVANNI: Perché sono stufo di quelli vecchi…
Siete in giro con un tour, c’era molta attesa attorno all’uscita del disco. Si può dire che siete soddisfatti, o non fa parte del vostro vocabolario?
ILARIA: Io credo che sentimenti come l’insoddisfazione, la frustrazione, il non riuscire a spiegarsi determinate sensazioni siano generazionali.
Insoddisfazione di che?
ILARIA: Di tutto, di se stessi, per le cose che si hanno intorno… anche senza motivo, non riesci neanche a spiegartelo. È una cosa generazionale e non si è ancora giunti a saperselo spiegare. Io sono la prima a non sapermelo spiegare…
GIOVANNI: Secondo me, è comunque una sensazione che ti aiuta a essere creativo. Quando sei giù di morale e non sai bene perché, lì parte una ricerca, un esperimento creativo.