Il trucco sta nel funk: intervista a Tommaso Colliva, fonico e produttore dei Muse | Rolling Stone Italia
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Il trucco sta nel funk: intervista a Tommaso Colliva, fonico e produttore dei Muse

Il co-fondatore dei Calibro 35 è a Milano per dare vita ai break destinati alla Red Bull BC One: la competizione di breakdance più grande al mondo

Tommaso Colliva. Foto: Red Bull

Tommaso Colliva. Foto: Red Bull

Ukulele in mano e piedi scalzi. Tommaso Colliva si aggira per le Officine Meccaniche come se fosse a casa sua. E a pensarci bene, lo è. Prima di potersi presentare come il fonico (e ormai produttore) dei Muse o il co-fondatore dei Calibro 35, lo studio di Mauro Pagani era il posto più probabile per incontrare lo spezino classe ’81. Ormai, in pianta stabile a Londra.

È a Milano per qualche giorno per registrare una libreria di break strumentali studiati apposta per il Red Bull BC One. La competizione di breakdance più grande al mondo che quest’anno si disputerà a Roma il 14 novembre.
La redazione di Rolling Stone e le Officine distano appena una trentina di metri l’una dalle altre, perciò sembrava proprio un peccato non scendere a fare quattro chiacchiere.

Parlami un po’ di BC One.
BC One è una competizione di breakdance, al momento la più grossa al mondo. Viene organizzata da Red Bull, che ogni anno sforna nuovi break per le sfide 1 contro 1. Cosa che trovo geniale, perché hanno delle library che puoi sentire esclusivamente alle competizioni Red Bull. Quindi ai DJ che suonano durante la competizione viene consegnata questa library affinché possano farne ciò che vogliono nella gara. Quest’anno le finali mondiali si svolgono a Roma il 14 novembre.

Come mai Red Bull ha chiesto proprio a te di realizzare queste musiche?
Perché faccio parte dei Calibro 35, un gruppo che abbiamo fondato io e Max (Martellotta, ndr). È un gruppo che ha molte connessioni con il funk degli anni Sessanta/Settanta. Poi, confrontandomi con i ragazzi di Red Bull, abbiamo appurato che nelle librerie delle edizioni precedenti c’era una predominanza di beat più che di break. La stragrande maggioranza del catalogo era quindi opera di un DJ chiuso nel suo studio. Mentre se vai a una competizione di breaking, una delle cose che noti è che molti dei break classici risalgono a periodi antecedenti alla musica elettronica e sono suonati da vere funk band. E la musica che viene scelta per far ballare i b-boy è molto eclettica, perché, agli albori, i DJ sceglievano i generi più disparati per i loro break. Non solo, scovare le tracce più energiche era un motivo di vanto per i DJ. Kool Herc (the originator) vantava su tutti una cultura musicale sconfinata. Nel bel mezzo di uno dei suo leggendari party poteva spaziare tra un break funk, uno rock, uno electro.
Così abbiamo fatto anche noi, cercando di non creare dei jingle zeppi di cliché ma roba fortemente originale. Ci dev’essere una ricerca dietro e ho la fortuna di avere un parco strumenti e macchine sconfinato qui alle Officine. Tranne le batterie, che ho registrato i tre diversi studi a Londra; tra cui quello di Mark Ronson. Parallelamente a ciò, c’è stata, da parte di tutti i DJ coinvolti, una ricerca di break da tutto il mondo: Bollywood breaks, china breaks, spaghetti western, eccetera. Da qui, il nome “Il Giro Del Mondo in 20 break”.
Ecco come è nata la library di quest’anno: solo pezzi suonati dal vivo da veri musicisti, tranne uno che è suonato dalla 808.

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Non sembri del tutto nuovo all’argomento hip hop.
Da ragazzino ero DJ e beatmaker. Fai conto che dai 14 ai 20 anni non ho fatto altro. Sono cresciuto a La Spezia, una città relativamente piccola ma che per fortuna ha sempre goduto di una scena hip hop fiorente. Impostata sul breaking. Questo perché un paio di esponenti famosi della scena anni Novanta erano originari di quelle parti. C’era una crew, Passo Sul Tempo, composta sostanzialmente da Crash Kid, ballerino storico di Roma—purtroppo non c’è più—e da Kid Head, originario di Spezia al cento per cento.
Il primo viaggio all’estero, poi, l’ho fatto 17 anni, esclusivamente per fare digging, ovvero cercare dischi rari al Rocksteady Crew Anniversary di New York. Soltanto quando mi sono trasferito a Milano per studiare e successivamente lavorare alle Officine ho potuto toccare con mano la musica suonata dal vivo. C’è comunque una linea che collega i Calibro 35 e l’hip hop, per via di tutta la gente che ci ha campionato negli anni.

Tipo, chi?
Per esempio, Jay Z nel suo ultimo album: Magna Charta Holy Grail.

Cazzo!
Già, hai presente Picasso Baby? Nella seconda parte della traccia. E poi anche nell’album di Dr. Dre che è appena uscito. Poi, vediamo, ci ha campionato Damon Albarn nella traccia featuring con Child Of Lov. Insomma, ci stiamo prendendo le nostre piccole soddisfazioni.

Hai mai letto Last Night A DJ Saved My Life? È un pozzo di aneddoti, anche sulla storia dei DJ e dell’hip hop.
Sì, eccome. Inutile che ti dica che il periodo newyorchese di inizio anni Settanta è qualcosa di incredibile sotto l’aspetto della fioritura musicale. Ed è un argomento sempre più indagato. Di recente è uscito un bellissimo documentario, Rubble Kings, sulle guerre fra gang di quel periodo. Senza spoilerarti troppo, il film si chiude lasciando intendere allo spettatore che questo scontro fra clan è uno dei presupposti fondamentali per la nascita del movimento hip hop. Una coesistenza—a volte violenta, a volte no—fra neri, latini, giamaicani o italiani che porterà alla nascita del party di strada. Con il calmarsi delle guerre fra bande, la gente ricomincia a scendere per strada e influenzarsi a vicenda, culturalmente.

Il libro invece te la mette su un piano diverso, additando la guerra fra bande come responsabile della fine di quel periodo d’oro degli street party.
Purtroppo, la piaga degli scontri fra gang in certi posti come il Bronx è qualcosa di periodico. Quindi è probabile che le teorie siano vere entrambe.

Finito questo soggiorno, tornerai alla tua vita da fonico dei Muse?
Sì, ormai sono dieci anni che collaboriamo insieme. Da Black Holes and Revelations in poi, c’è sempre qualcosa di mio nei loro dischi. Negli ultimi anni si è stretto molto questo rapporto, tanto che nei crediti degli ultimi due dischi compaio come additional producer. Vivendo con loro a strettissimo contatto per anni, ormai so perfettamente come cosa proporre e come approcciarmi. È un processo ponderato al millimetro, niente è lasciato al caso. Per questo, fa molto strano tornare in studio con i Calibro. In due giorni registriamo quello che con i Muse registreremmo in due mesi.

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