Io, nessuno, Centomilacarie | Rolling Stone Italia
Avere vent’anni

Io, nessuno, Centomilacarie

Un anno fa lo abbiamo inserito tra gli emergenti della nostra Classe 2024 e ora è arrivato all’album d’esordio in cui rende romantica la rabbia e piacevole il dolore. Suoni dalla provincia magica e alienante

Io, nessuno, Centomilacarie

Centomilacarie

Foto: Simone Biavati

È incazzato nero, ma non sa neanche lui perché. E proprio per questo ha tutte le carte in regola per cantare la sua generazione. Che non è quella sgamata di città, ma quella affamata della provincia. Io nessuno è il disco con cui Centomilacarie si presenta al pubblico in tutta la sua irruenza verso la vita e verso la musica, di cui non snobba nulla. Gli piacciono Sanremo, il cantautorato di Brunori, non disdegna il paragone con Blanco, di cui ricorda il modo di cantare e di scrivere. Odia i generi come tutti i ventenni cresciuti a pane e playlist di Spotify, ma se dovesse dare una definizione della sua musica sarebbe semplicemente «sincera».

«Non ho mai navigato oceani, quindi non posso fare musica per pescatori. Però magari il pescatore si può ritrovare in quello che scrivo»: Centomilacarie non ha la pretesa di diventare evergreen, sente solo l’urgenza di cogliere il momento e di metterlo nelle mani di producer come Okgiorgio, Estremo e Pablo America per farlo arrivare ai naviganti di quel mare non meno spaventoso che è la città.

Partiamo dalle sensazioni di pancia che dà questo disco. Sembra pervaso da un sentimento di rabbia dall’inizio alla fine, anche quando i testi raccontano qualcosa di incredibilmente romantico. La tua è semplice rabbia giovanile o deriva da un dolore più profondo?
Credo sia qualcosa di molto più profondo, probabilmente non farei questo lavoro se fosse stata soltanto una cosa giovanile. Sono parecchio arrabbiato, da anni, ho provato a curarmi e a mantenermi ok di testa, ma non ci sono riuscito come invece avrebbe fatto un ragazzo con un problema di rabbia giovanile. Il disco è incazzato come me, non è un difetto, è una caratteristica. Non voglio dare un esempio, non bisogna essere così arrabbiati e frustrati, però voglio fare musica sincera e il disco credo che lo sia. Quando faccio sentire i pezzi mi imbarazzo parecchio perché racconto tutti i cazzi miei, non metto filtri tra me e la musica. Sono molto affezionato al disco intanto perché è il primo e poi perché è parte di me, non ho mentito su nulla.

Per te la rabbia e la sincerità sono un po’ due sinonimi in questo lavoro.
La rabbia credo sia la massima espressione della sincerità e della pulsione, dell’irrequietezza, è un istinto primordiale, una cosa che nasce non so neanche da dove. Ecco, a volte il problema è capire da dove nasce.

Parlando del disco hai detto che «c’è dentro la provincia che mi aliena e la città che mi mette a disagio». Cosa ti aliena della provincia e cosa ti crea disagio in città? Riesci a immaginare una dimensione di mezzo più adatta a te?
Ultimamente si sta parlando tanto di provincia ed è una cosa bella, anche in un modo esagerato a volte, infatti credo che non utilizzerò più la parola provincia. La provincia in cui abito io è bella e brutta allo stesso tempo. Non abitiamo nelle campagne in mezzo alla natura, abitiamo dove c’è il cemento, ma non è la città, siamo sempre stati più o meno dei mezzosangue, siamo quello che è in mezzo, siamo un po’ nel limbo. Non è una cosa positiva o negativa, è un insieme di caratteristiche che porta anche a un’espressività musicale: il fatto di non avere niente, di essere né dove c’è tanta natura, né dove c’è tanta città è alienante, però è anche un po’ la magia.

centomilacarie - tg1

E invece della città cos’è che ti mette a disagio?
Troppe persone. Voi siete tutti molto occupati e questo mi urta abbastanza. Mi fa stare male il fatto che tutti sembrino più bravi di te, mi crea un po’ di scompenso.

Soffri il senso di competizione con gli altri.
Io non sono una persona competitiva, a me non me ne frega niente di base, mentre nelle grandi città si percepisce questa sensazione. Basta anche, non so, andare a cena con qualcuno che lavora a Milano o lavora nelle grandi città, e hai la sensazione di dover dimostrare che tu fai più dell’altro. Poi magari mi starò sbagliando.

Ah no, è una cosa che percepiscono anche persone più grandi di te, io la trovo molto puntuale.
Supertossica come cosa, cioè io ho già i miei problemi e non mi voglio far schiacciare dalla competizione stupida.

E quale è la dimensione nella quale ti vedresti meglio?
A me piace molto la natura, quando vado al mare, quando vado nei boschi, quando vado in montagna ci sto bene. Mi piace andare a fare camminate per ore e spegnere il telefono; ovviamente mi piace anche tornare con gli amici, stare nei parcheggi a bere insieme, però quella componente lì è bella perché ti senti più vicino a qualcosa di vero, a un “sentimento” autentico che è la natura.

Cosa ti ha insegnato avere vent’anni in provincia?
Siamo un po’ più menefreghisti in senso positivo, abbiamo dei comportamenti rispetto alle persone della città che sono più scialli; quindi l’essere un po’ più easy, sicuramente più tranquilli.
Se fai una cosa, la fai e punto. La provincia mi ha insegnato anche ad arrangiarmi, nelle serate, nei momenti in cui sono con i miei amici, ci inventiamo sempre qualcosa, così è nato il mio modo di fare musica. Andavamo veramente nei boschi con le macchine, portavamo le schede audio minuscole, quelle di Amazon da 30 euro, registravamo tutto il tempo così, perché quella era la nostra vita, molti non andavamo a scuola magari, era diventato il nostro modo di parlare. Arrangiarmi mi ha dato più skills.

Parlaci del titolo di questo primo disco, Io nessuno. Cos’è che hai voluto rimarcare? La strada ancora in ascesa, la ricerca di un’identità da definire, la fuga da un’idea di successo?
Il disco è in solo, non ci sono feat né altro, forse indirettamente sarà nato anche per quello. Sono diventato più conosciuto proprio grazie a un featuring, quindi trovavo bello nel primo progetto da solista mostrare tutte le mie sfumature. Mi piaceva il concetto dell’annullamento, cioè io posso essere nessuno, posso essere tanti. Quando parlo della mia vita, delle mie situazioni, della persona che sono mi piace sempre pensare che è bello sentirsi non per forza speciale, ma fare belle cose. Non sentirsi per forza una stella, però fare cose che magari ti possono rendere una stella, ma personalmente, non socialmente. Io nessuno mi piace per il senso di annullamento e per il fatto di poter mostrare tante sfumature.

Perché quando non sei nessuno, puoi essere qualsiasi cosa.
Sì, io credo molto nella libertà, si può essere tutto quello che si vuole, quando si è nessuno si può essere tutto.

In Solite cose si sente la voglia di mollare tutto e vivere dentro un rave di fine anni ’90. Ti sei ispirato a qualche artista di quel decennio per scriverla?
Certo, sono proprio ritornato a quella roba lì, anche se quando si tratta di fare musica mi rattrista sempre un po’ parlare di generi, preferisco pensare alla musica come una cosa unica. Io cerco di abbattere ogni tipo di confine, di fare della mia narrazione il punto cardine di tutto. Dal punto di vista tecnico ho pescato da quegli anni lì, però ho sempre cercato di unire un po’ i generi, di unire un po’ le vibes dei vari decenni. Sono un grande fan della musica in generale.

C’è qualche artista in particolare di fine anni ’90, della scena rave/elettronica, che ti ha ispirato più di altri?
Aphex Twin, che per me è un mito gigantesco. Per quanto riguarda la musica cantata, i Radiohead sono stati una grande ispirazione.

centomilacarie - chi ama non esiste

Uno dei miei pezzi preferiti è Chi ama non esiste perché ha diversi livelli di lettura: uno più nichilista (non esistono persone che amano) e uno più impaurito (se ti esponi sei finito, diventi invisibile). Cosa avevi in mente quando hai scritto il brano?
Ti ringrazio perché hai centrato entrambe le cose. Io penso che, magari guarirò da questo, aprirsi troppo comunque ti crei dei problemi e che sia molto difficile farlo, imparare a fidarsi e a raccontare quello che ti accade. E poi noto una tendenza minore all’amore, anche quando cammini semplicemente per strada, io sento un’ansia addosso perché percepisco che c’è più odio che amore oramai. Valgono entrambe le chiavi di lettura che hai dato, nessuna delle due elimina l’altra. Ho cercato, attraverso la scrittura, di trasformare la canzone in base a chi la legge, ognuno può leggerci quello che vuole in base alla propria situazione.

Com’è nata invece la collaborazione con Salmo e Mace che ti ha lanciato, sul pezzo Non mi riconosco?
Era il 2022, mi trovavo in Umbria, mi ha scritto Mace che gli era piaciuto Là dove non posso guardare, una canzone che ho composto quando ero più piccolo. Mi ha chiesto di beccarci in studio, ero tipo il primo artista che beccava per il suo album. Facciamo una bella sessione lunga, ma non esce fuori nulla che ci faccia dire wow. Poi succede che, mentre sto per andare via, gli faccio sentire una cosa che ho cantato al Mi Ami per sapere cosa ne pensasse, un inedito. Gli canto Non mi riconosco, che all’epoca si chiamava Il sorriso di mia madre, e lui mi fa una faccia, spalanca gli occhi e mi dice «è bellissimo, ho la pelle d’oca». Mi chiede di metterla nel disco, gli dico che va bene, anche se sono molto geloso delle mie canzoni, gelosissimo, ma darle in mano a Mace era un onore e so che l’avrebbe valorizzata ancora di più.

Poi a una certa, una sera di otto mesi dopo, mi scrive su WhatsApp e mi chiede di raggiungerlo in studio la sera stessa, alle 11. Prendo la macchina da Castellanza, la mia città, mi faccio i miei 20 minuti di auto, e quando entro trovo Salmo, che aveva già registrato la sua strofa. Ho parlato con Mauri (Salmo, nda), ed è stato bellissimo perché mi ha raccontato il processo con cui ha scritto la canzone: lui stava per salire sul palco, l’ha scritta al volo e durante l’esibizione non se la toglieva di dosso. È nato tutto in modo super easy, magico, è stato un bel momento perché comunque è una canzone che ho scritto a 16 anni ed è l’unica canzone di cui ricordo la magia mentre la scrivevo. Dopo qualche anno, è stata valorizzata come speravo.

Si è creata subito una chimica con Mace.
Sì sì, poi Mace mi mandava i beat del disco. Me ne ha mandato uno che mi ha colpiuto particolarmente, si chiamava Animals, poi è diventato Meteore. Ho scritto la strofa in macchina perché a casa non ci potevo stare, e mi ricordo che ero in un parcheggio al terzo piano di un Carrefour, mi ero messo lì con il computer, con Audacity e avevo registrato la strofa di Meteore. Solo dopo ho saputo che c’erano Gemitaiz e Izi. Per Izi nutro un amore artistico che va oltre a ogni cosa, per me è stato veramente un grande compagno di vita musicale, vederlo sul pezzo è stato bellissimo. Anche Gemitaiz è un idolo.

Sei un fan della scena quindi, ascolti la stessa musica che produci.
Io ascolto tutto, sono sempre stato un grande ascoltatore della musica italiana. È stato bello conoscere gente che ho sempre ascoltato in cuffia. Però adesso che faccio parte di questo giro, so come bisogna comportarsi. Non da fan quale sono, ma in modo più maturo.

MACE, centomilacarie, Salmo - NON MI RICONOSCO

Come per tutta la tua generazione di artisti, il concetto di genere è totalmente superato. Peschi alla stessa maniera dalle produzioni di Okgiorgio, dalla trap lenta di XXXTentacion e dalle colonne sonore dei videogiochi. Se dovessi dare tu una definizione alla tua musica quale sarebbe?
Credo sia sincera. Non ho mai navigato oceani, quindi non posso fare musica per pescatori. Però magari il pescatore si può ritrovare in quello che scrivo. La musica deve essere per tutti e se la si fa per tutti in un modo naturale, allora è ancora più bella. Io non mi costringo a fare niente, se tante persone ci si ritrovano sono contento, senza cercare per forza l’evergreen. L’importante è dire la verità, la mia musica è la mia verità. I generi non sono importanti.

Ti fa incazzare il paragone con Blanco?
No, nel senso non sono un suo ascoltatore, però sono super fan dei ragazzi giovani che fanno figate. Quindi no, non mi incazzo, dal punto di vista artistico non ti saprei neanche indicare benissimo le canzoni, ovviamente le hit si sentono ovunque, su TikTok, sulle radio, però non sono uno che conosce l’artista.

Sogni Sanremo o non lo guardi neanche?
Non mi pongo limiti, se avessi un bel pezzo, perché no. Se ho un brutto pezzo, non ci vado. Andarci perché ci devo andare è stupido, farei solo una figura di merda. Non guardare Sanremo perché sei un alternativo è una roba che non mi piace, lo guarda tutta Italia ed è una pagliacciata. Poi ognuno ha i suoi gusti, basta con questa roba di non guardarlo per fare l’alternativo. Io lo guardo, mi piace, mi intrattiene, fa il suo, l’ho guardato anche quest’anno.

Chi ti è piaciuto quest’anno?
Brunori mi è piaciuto molto. Poi Bresh, Noemi, col pezzo che tra l’altro ha scritto Blanco, e Lucio Corsi.

Non ti sembra un programma un po’ passato rispetto alla tua età?
No, comunque anagraficamente l’Italia non è un paese giovane, non avrebbe senso fare un programma con solo hashtag, trend e gli stacchi fighi. Sì, sarebbe bello, ma siamo un Paese vecchio, quindi è giusto che sia un po’ più istituzionale per me.

Ho visto che farai tre date a breve. C’è qualcosa che vorresti portare sul palco in particolare?
Sapere che c’è gente che viene per me mi rende contento, sono molto gasato, sono pronto. Voglio divertirmi.

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