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Izi non è schiavo della trap

Il giovane rapper di Cogoleto ci ha parlato dei suoi spauracchi, delle discoteche (che odia) e del suo nuovo album "Pizzicato"

Non capita tutti i giorni di incontrare qualcuno come Izi. Qualcuno che, nonostante i soli 21 anni, ne ha passate talmente tante—belle ma anche molto brutte—da spingerlo a tirare già le somme della propria vita, tentando di individuare le bestie nere (droghe, diabete, donne, polizia) e correggendo di conseguenza il tiro.

Pizzicato non è di certo il primo album ma—parole del rapper, vero nome Diego Germini—è sicuramente il primo esperimento di auto-psicanalisi. Il primo sasso lanciato nello stagno, che mette a nudo le ansie e insicurezze di un ventenne di Genova ma anche la spaventosa determinazione nel farsi riconoscere un talento allucinante, almeno in ciò che fa.

Sei tu quello al centro della copertina dell’album?
Sì, l’ha fatta un ragazzo che si chiama Davide, in collaborazione con Radish dello studio Cirasa, che ha fatto anche la copertina di quello prima. Tutta la direzione artistica e musicale del nuovo dipende molto da me. È una cosa molto più personale del disco scorso, che invece era influenzato dal film [Zeta, di Cosimo Alemà del 2016, in cui Izi è protagonista, ndr].

Farai ancora dei film?
Io sono aperto a tutto. Mi diverto a fare quella roba, non mi diverto solo se non c’è rispetto del lavoro e dell’integrità dell’artista. Ecco, a fare i Borgia o il cameriere dell’800 non mi ci vedo proprio. Però qualcosa di urban si invece, volentieri. Basta che sia tutto fatto bene.

Ho notato che non parli mai bene del film. Ti senti sputtanato?
Per un 20% ti dico di sì. Io sono un fottuto perfezionista, secondo me invece quella roba è stata gestita male. In più non c’è stato molto rispetto per quello che sono io, a livello artistico. Non gliene fregava niente a nessuno di IZI. IZI lì non esisteva, è stata strumentalizzata la mia vita, amen. Certo, l’esperienza mi ha dato moltissimo, frà, io non butto niente. Certo speravo di pagare l’affitto a mia madre facendo il film, invece non è stato così. In Italia si fanno le cose a cazzo, senza un ideale fiero dietro. Questo disco invece è figlio dell’anno e mezzo che ho passato dopo il film, tutto quello che vedo. Pizzicato è un disco di denuncia.

Nella copertina sei circondato da un milione di elementi minacciosi.
Sì, sembra un po’ l’Inferno di Dante. Non voglio predicar bene e razzolare male, sto cercando di mettere a posto la mia vita. Il discorso è che tutti noi siamo imprigionati in schemi mentali, inclinazioni, bisogni, dipendenze che ci annientano la vita. Tutta roba che nella copertina è rappresentata dagli alberi con gli occhi. Essere pizzicati, come il titolo del disco, vuol dire essere tormentati da tante cose diverse. Anche dalle tue personalità, alla fine noi non siamo mai gli stessi. Io, sono Diego ma non solo uno, sono tanti Diego: quello che vuole scopare, quello che vuole fumare, quello incazzato…

La copertina di “Pizzicato”

Nel disegno vedo dei preti e pure degli sbirri.
Secondo me la fede è una cosa figa. I preti invece, e in generale l’istituzione della Chiesa, no. Ho voluto separare molto bene le due cose. Non mi interessa il Papa, per me lui è un essere umano e quindi per definizione non può essere un santo. Per fartela breve, cerco di combattere tutti questi mostri e allo stesso tempo di fare da buon esempio. Non voglio essere arrogante ma sento una responsabilità nei confronti di tutti i ragazzini che ascoltano più noi rapper dei consigli dei maestri a scuola o persino dei genitori. Visto che mi sento pizzicato dall’alto, dalla luce, ho il dovere di trasmettere come mi sento.

Hai totalmente sorvolato sugli sbirri.
Adesso non ho più problemi, prima tanti. In realtà l’ultima volta che ho suonato dalle mie parti, a Cogoleto, mi hanno arrestato. Non avevo fatto niente, ma è così. Avevo una punta d’erba e mi sono entrati in camera, ma solo per pubblicità. Lo fanno per questo, tanto non lavorano.

Io pensavo che Pizzicato si riferisse al mondo della musica classica, sai come la tecnica per suonare gli archi.
Si, ci sono degli arrangiamenti orchestrali e strumenti come l’arpa. Non direi proprio musica classica ma, influenze di quel tipo, sicuramente.

Mi parli del volo? È un concetto che torna spesso, anche in Fenice, in copertina avevi addirittura delle ali.
Il mio è più un messaggio ascensionale, perché sempre fumato tanto. Con la traccia Volare intendo dire di essere leggeri, alleggerirsi. Tutto cerca di buttarti giù, invece bisogna volare anche tramite le sostanze, che però che non uso più.

In 4GETU infatti parli di rispettare sé stessi. Tu hai cominciato a farlo?
Non l’ho sempre fatto. Prima sapevo di doverlo fare ma c’era sempre qualcosa di più forte che mi tirava in basso. Ma era sempre responsabilità mia. Ora sto cercando di rimettermi in sesto.

Anche perché non sono un mistero i tuoi problemi di salute.
Sono stato in coma molte volte, l’ultima sei mesi fa. Sono una persona molto sensibile e somatizzo tantissimo. Quando succedono queste cose è per un insieme di stress, cattive abitudini, troppo lavoro, cattiva alimentazione. Ho il diabete e non dovrei mangiare panini al volo così, a cazzo. Ma d’altra parte non è facile avere una vita regolare col lavoro che faccio. Per esempio oggi va bene, ieri invece mi sono svegliato e ho avuto cali di zuccheri dalla mattina alla sera. Adesso me la gestisco, ormai sono 10 anni che vado avanti. Fumavo tantissimo, ora invece me lo tengo come un piacere. Voglio che sia una cosa ricreativa, non un bisogno.

Nel vecchio album hai un featuring con Tormento e nel nuovo ne hai uno con Fibra. Piaci anche alla vecchia scuola.
Non so dirti perché sinceramente. Torme è un po’ un padrino per me e anche nel suo disco nuovo forse ci sarò. Sono solo contento di lavorare con loro.

C’è un po’ di nonnismo nel rap?
Un po’ sì ma non capisco. Secondo me è fuori luogo, non dovrebbe esserci. Se vedo dei ragazzini di Genova che spaccano lo dico subito che spaccano. Forse il problema è più in generale delle persone che pensano che stiamo pisciando sul loro albero. Ma non è così, il mio obiettivo è fare bella musica. Fanculo tutto il resto.

Nel disco parli solo di te?
Parlo attraverso di me: è un disco introspettivo, personale, ma le mie esperienze sono usate per capire delle cose. Io spesso scrivo di getto, neanche mi rendo conto di cosa scrivo. Anzi, spesso mi accorgo delle cose solo dopo averle scritte. Questo è stato un lavoro mio, una sorta di auto-psicanalisi, ma trasformato in una denuncia. Non parlo mai esplicitamente di politica eppure questo è un disco più politico di quanto possa sembrare. Il testo di Pizzicato per esempio è molto politico. “Pizzicato dai giornali, da Barbara d’Urso / Pizzicato dallo sbirro al parchetto del blocco / Pizzicato da tuo padre quando fai l’adulto / Pizzicato dallo Stato perché troppo furbo”. Voglio mettere a disposizione quello che ho passato io, filtrato dal mio punto di vista.

In Rosiconi c’è un verso che mi è piaciuto molto: “Sei ignorante perché non sai le cose, io sono ignorante perché ho fatto cose”. Me lo spieghi?
L’etimologia di ignoranza ci spiega come non sia una colpa. Io parlo dell’ignoranza come attitudine di vita. Io vengo da un quartiere disagiato, lì c’è un’attitudine al rovinarsi la vita. Quella è responsabilità tua perché scegli ciò che fai, sei tu che dici “c’ho una vita di merda quindi devo pippare dalla mattina alla sera”. Parlo di quell’attitudine lì. Quando dico “non sai le cose” intendo anche che “non le hai provate sulla tua pelle”. Io sono ignorante nel senso che mi pongo in maniera arrogante, perché le ho vissute su me stesso. In un altro pezzo, che non fa parte di questo disco, dico anche “Cogoleto è il Paese, sì, ma dei balordi”. Non ti trovi solo gli anziani ma anche i ragazzi alle 10 di mattina a bere il vino. Pizzicato parla un po’ di come si affrontano queste cose: puoi lasciare che la vita ti passi di fronte oppure puoi riprendere in mano le redini. Certo, per quanto siamo tutti sottomessi a qualcosa di più grande di noi: per me tu puoi scegliere come prendere le cose, ma per me tutto è già scritto. Io guardo tutto quello che mi succede con attenzione perché so che ha un senso preciso. Anche i periodi più brutti, quello in cui mi arrivano 50mila brutte notizie, sono sicuro che anche lì c’è qualcosa.

È un concetto molto cristiano: la Provvidenza.
Si, abbastanza. Il disco è un’esortazione ad avere fiducia in sé stessi, nelle nostre potenzialità, ma senza montarsi la testa e senza dimenticare che siamo dentro un gioco immenso, un gioco in cui non puoi fermarti mai. C’è la tendenza tipica del ligure ma più in generale dell’italiano medio che si lamenta sempre di tutto e di tutti. Ecco, mettiti a fare le cose, datti da fare. Se no che cazzo vuoi che cambi?

Parlavi di potenzialità. In questi anni hai fatto di tutto. Al di là del rap e del cinema, che potenzialità vedi in te stesso?
Una cosa che mi piace molto, anche facendo il film è che ho scoperto di avere occhio ed estetica in ciò che riguarda i video. Mi piace pensarli, organizzarli, scriverli, immaginare la parte visiva. Vorrei imparare anche a suonare qualche strumento: ho fatto chitarra per tre mesi e flauto per quattro ma non mi ricordo niente. Devo recuperare, devo migliorare con la voce… Ho sempre avuto buon occhio e buon orecchio, ma vorrei riempire queste cose con delle conoscenze. Affinare i sensi.

Beh, uno della tua scena che canta e suona strumenti è Laioung.
Non so di preciso quanti strumenti sappia suonare ma lo ammiro tantissimo. Il suo lavoro vocale è bellissimo, i suoi testi sono quasi un freestyle. Anche Tedua è così, tutti noi siamo un po’ così: quella di Genova è una scuola. Stai in studio 10 ore e fai anche 3 pezzi al giorno: non puoi fare un disco così ma per fare cose più street va benissimo. Su queste cose non c’è competizione, eravamo veramente “tonici”. Anche a Roma dove c’è la Dark, magari lì non c’è un livello intellettuale molto alto (risate) ma siamo tutti ragazzi che vogliono spaccare.

Non escludi un futuro più pop?
Allora, io il pop non voglio farlo. Ma un futuro da cantautore volentieri, essendo io di Genova e avendo Genova una tradizione cantautorale immensa. Delle etichette e dei generi mi frega ben poco e anche il termine trapper mi fa cagare, non mi interessa questa roba. Io faccio musica, quello che esce esce. Se domani vado in Brasile e ci sono dei bambini che mi tamburellano davanti al naso, allora può essere. Se voglio fare musica brasiliana allora la farò. Quindi, bella per il cantautorato: l’ho ascoltato tantissimo e non ho chiusure.

Cosa hai ascoltato di più?
De Andrè in primis, Vinicio Capossela mi piace da morire—infatti ci sono riferimenti alla Taranta e al Salento nel mio disco—, Johnny Cash, John Coltrane, Ella Fitzgerald. Ce ne sono tantissimi. Lauzi, Tenco, Battiato mi piace da morire. Alcuni di questi artisti li ho ereditati dai miei, soprattutto mia madre. Però ho ascoltato tantissimo nella mia vita. Le uniche cose che mi fanno proprio schifo sono le discoteche. Odio la discoteca, ci suono ma mi fa schifo. Non mi piacciono i dischi che si suonano in discoteca. Magari mi possono piacere più dei personaggi che hanno a che fare con i club, tipo Carl Cox. Però non mi troverai mai in una discoteca a ballare. Certo sperimentare mi piace: mi è arrivata una base un po’ house e la proverò. Io ho rappato su qualsiasi cosa. Ascolto anche parecchia roba estera. Di belga mi piace Stromae e anche la Francia mi ha dato tanto: Georges Brassens è un autore incredibile che De Andrè ha tradotto molto. Per esempio la sua Les Passants è diventata Le Passanti di De Andrè, una delle mie canzoni preferite. Poi c’è Zaz, la cantante–anche lei francese–mi piace moltissimo. Anche tutto quell’immaginario tipo Il Favoloso Mondo di Amelie.

E tu hai mai tradotto qualcosa?
Io ho iniziato traducendo Eminem, Dr.Dre, 50cent, The Game: questi sono stati i primi. Poi piano piano ho scoperto tutto il resto. La Francia mi sta piacendo molto ultimamente, anche qualche sudamericano come Residente dei Calle 13. Mi fa impazzire anche Vince Staples e i Migos ma loro solo le produzioni. Mi fa cagare come rappano.

Forse sono un po’ schiavi della trap.
Io non voglio essere schiavo della trap. Mi è sempre piaciuta quella sonorità, mi azzardo persino a dire anche che io con Nader–un altro ragazzo di Genova–e pochi altri come Jesto e Madman siamo stati i primi. Io già al secondo mixtape a 16 anni usavo già l’autotune. Ora ce l’hanno tutti. Anche Sfera, prima rappava molto strillato, poi ci siamo conosciuti e abbiamo creato tutti insieme una cosa nuova.

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