Quando ho scoperto che avrei dovuto intervistare l’italo-inglese Jack Savoretti, di primo acchito mi sono immaginato una conversazione tra me e qualcuno con lo stesso accento di Filippo Nardi. Poi l’ho visto in televisione, da Cattelan, e sono rimasto stupito dalla sua parlata a dir poco perfetta. Perché Savoretti, nonostante sia nato in UK e abbia studiato in Svizzera, ha sempre frequentato tantissimo il nostro paese, per passare l’estate con i suoi parenti in Liguria prima, in tour con la sua band dopo. Quattro album, tanti concerti e un percorso fatto di alti e bassi, partito da Grey’s Anatomy. Stasera la prima delle sue date estive, allo Street Art di Milano, in autunno invece arriva il nuovo disco. Ci siamo fatti raccontare la sua storia.
Tuo padre è andato via dall’Italia e tu ci sei tornato da trionfatore. Nell’ultimo anno, il nostro paese ha iniziato a conoscerti sempre di più. Era nei tuoi obiettivi il successo qui o semplicemente è accaduto?
Ho cercato molto l’Italia, pesantemente direi. Il mio primo album è andato bene in Inghilterra, ma quando siamo venuti qui ci hanno chiuso un sacco di porte in faccia. Non c’era la squadra giusta. Io volevo fare le cose per bene, salire su un tour bus e suonare, alla vecchia maniera, creando una fan base. Tutti mi dicevano che non si poteva fare, fino a quando ho incontrato il mio team. Quelli di Concerto Music sono stati i primi. Hanno lavorato con Guccini e Conte e questo per me era già abbastanza. Mi hanno proposto di fare le cose con calma, abbiamo iniziato dalle osterie e dalle pizzerie. Pian piano la gente ha iniziato a prenderci sul serio e abbiamo iniziato a costruire qualcosa. Vendo molti più biglietti dei concerti che dischi qui. Ed è una cosa che mi rende molto fiero.
Neanche 3 minuti di intervista e mi hai già nominato Guccini e Conte. Non comunissimo per uno cresciuto all’estero.
Ho ascoltato e ascolto tantissima musica italiana, Guccini ho iniziato ad apprezzarlo durante gli anni dell’università. Da ragazzino però il cantautore che mi ha aperto la mente è stato Lucio Battisti. Avevo appena scoperto Simon and Garfunkel e stavo iniziando a dare importanza alla musica, alla poesia. Fino a quel punto ascoltavo musica solo ai party! Da lì invece ho iniziato a prestare attenzione alla parte lirica delle canzoni, alla produzione. Battisti sapeva fare benissimo entrambe le cose… penso che sia stato il produttore più forte che l’Italia abbia mai avuto.
Poi hai iniziato il tuo percorso. I primi riconoscimenti sono arrivati perché le tue canzoni venivano inserite nelle colonne sonore dei telefilm americani, dai quelli per teenager come One Three Hill a Grey’s Anatomy e Sons Of Anarchy. Non avevi paura di rimanere intrappolato in quel mondo?
No, anzi. Era un periodo difficile per i cantautori. Erano gli anni delle grandi band, se non avevi un “THE” davanti al nome era dura. Questi show televisivi non avevano più il budget degli inizi e venivano da noi a chiedere i brani da inserire negli episodi. È stato anche un modo per il pubblico di riscoprire la canzone, senza sapere chi effettivamente la cantasse. Sarò sempre grato a questi show. Non ti dico quanti tipo me, Jason Mraz e James Morrison dobbiamo dire grazie a queste esperienze. Poi c’è chi ha avuto più fortuna e chi meno, ma tutti siamo partiti da lì e da queste super produzioni. Posso solo ringraziare chi mi ha permesso di farlo.
Certo, se ti avessero chiesto di farlo per una fiction o una soap italiana sarebbe stato diverso.
Beh, in UK c’è questa serie, EastEnders. La fanno da sempre, è proprio una serie per famiglie di provincia. Se tu finisci sulla playlist della BBC ti inseriscono anche in quella soap perché c’è sempre la musica della radio in sottofondo. Siamo in un sacco di episodi!
Le cose poi sono cambiate con il tuo ultimo album, il quarto, Written in Scars, quello che ti ha fatto conoscere di più da noi e in Europa. Quello che ti ha anche fatto dissociare dal paragone continuo con Paolo Nutini. Ti dava fastidio questa cosa?
No, direi di no. Era abbastanza normale… tutti e due usciti nello stesso periodo e di origini italiane. Solo che lui aveva una major alle spalle, io no. Questo è il primo album in cui effettivamente anche noi abbiamo avuto una spinta diversa da parte della label.
Tu tra l’altro con le etichette hai avuto diversi problemi.
Sì, sono stato in causa per due anni con la vecchia label. Erano convinti che non avessi rispettato alcune clausole contrattuali, ma alla fine ho vinto.
E nel periodo della battaglia legale hai dovuto fermarti un po’.
Sì, sono stato fermo e mi hanno anche svuotato il conto in banca. Però c’è stato anche un risvolto positivo: se non fosse successo questo casino non avrei mai trovato la spinta per iniziare a fare le cose a modo mio. Ho capito quello che non voglio che succeda mai più. Non voglio più avere qualcuno che mi dice quello che posso fare o quello che non posso fare. Portare avanti una causa è una esperienza terribile. Per legge, fino alla conclusione del processo, non potevo più scrivere. Mesi della mia vita sono stati rovinati. Non tutti riescono a riprendersi e a continuare, a volte è più facile lasciar perdere e fare altro.
Sei sempre stato etichettato come “rising star”, quello promettente che però non ha ancora avuto troppa visibilità o la grande hit. Sei in cerca di questa “grande occasione”?
Sinceramente spero che questo “rise” continui, credo molto nella crescita. Voglio che sia una esperienza che mi possa sempre dare qualcosa di nuovo… Quando le cose non andranno più avanti in modo lineare sarà il momento in cui fermarsi, perché avrò raggiunto tutto il possibile. Non ho un traguardo e non voglio forzare niente, lo faccio perché mi piace. Forse non ho la scintilla che hanno gli altri, ma per me non è un lavoro. Per farti capire, in inglese dico sempre: “it’s not a job but it’s fuckin hard work”. C’è differenza. Fare gli accordi con il diavolo può aiutarti ma tutto ha il suo prezzo, e io l’ho imparato sulla mia pelle.
Che è un po’ quello che succede nei talent.
I talent sono il manifesto di questa cosa. Il format non va bene, sembrano gare di karaoke. Dovrebbe essere tipo: “Ok, vieni ai provini e ci fai vedere quello che sai fare ma soprattutto quello che hai da dire. Esprimiti!” Ci sono un sacco di talenti che vengono distrutti da questo meccanismo, gli vengono dati 5 secondi di gloria e basta. C’è chi ce la fa ma è molto dura.
Parliamo della tua immagine: sei padre di famiglia, sei educato, sorridente, tutti ti voglio bene. Cosa non ci dici?
Fingo molto bene! No, scherzi a parte, sono molto contento che tu dica così, a questa età va bene. Forse 10 anni fa ti avrei guardato storto. Dillo a mia moglie comunque, lei la pensa diversamente e potrebbe raccontarti qualche episodio.
Non tutti sanno che, quasi casualmente, sei stato uno dei protagonisti del video Queenie Eye di Paul McCartney. Dopo di lui hai condiviso il palco con Bruce Springsteen, Neil Young. Per un po’ sei a posto…
Sì, non posso lamentarmi! Ma ti dirò che sono tutte esperienze che viste da fuori fanno molta più scena di quello che sono in realtà. Mi sento come quei giocatori di serie B che giocano contro il Milan in Coppa Italia e poi vanno in giro a dire “ho giocato contro Balotelli”. Dipende come la vivi, ma è sicuramente una delle fortune di questo lavoro… continua a fare e prima o poi ti capitano queste opportunità. E si impara un sacco.
Però il video di Paul è davvero una figata. È su Youtube, lo vedranno persone per decenni.
Sarà la cosa che racconterò ai miei nipoti quando sarò vecchio.
Bisogna solo sperare che i nipotini non rispondano “Paul McCartney, who?”
Eh, sì. Già quando ha fatto la canzone con Rihanna e Kanye ho sentito dei ragazzini chiedere chi fosse il vecchio nel video… preoccupante. Ma erano davvero piccoli, diamogli ancora qualche anno per informarsi.
Cerchiamo di non pensarci. Parliamo piuttosto del tuo tour, farai un po’ di date quest’estate. E hai anche dato la possibilità a molte band di aprire i tuoi concerti.
Una delle prime cose di cui mi lamentavo quando ho iniziato a suonare qui era il fatto che mancavano i palchi per far suonare gli artisti italiani. Solo che poi, al mio primo concerto serio ho fatto fare da opening a un mio amico americano. Mi sono sentito un ipocrita. Ho quindi deciso di poter dare la possibilità a dei ragazzi italiani di suonare. Inizialmente cercavo in ogni città qualcuno di interessante. In questo modo ho incontrato Violetta Zironi, ex X-Factor che si sta facendo un mazzo pazzesco per fare in modo che il talent non sia più rilevante. Poi ho iniziato a usare i social. Abbiamo chiesto agli artisti di caricare dei pezzi su Facebook e hanno vinto in modo democratico, in base alle visualizzazioni.
Quindi ha vinto chi ha più parenti.
(ride) No no, hanno deciso i fan. Ascoltali, ce ne sono molti bravi!
Ho ascoltato il brano che hai cantato con Elisa, contenuto nel suo ultimo album ON. Come vi siete conosciuti?
Ci siamo incrociati un paio di volte lo scorso anno e lei mi ha invitato all’Arena di Verona a suonare. Abbiamo cantato Ancora Tu di Battisti insieme. Poi siamo diventati amici, è stato bellissimo. Mi ha invitato a casa sua ad ascoltare il disco. Eravamo io lei e il mio chitarrista. E mi ha chiesto di collaborare. Inutile dire che ero felicissimo.
Il tuo nuovo disco invece quando esce?
Spero entro la fine di quest’anno, almeno in UK. Ho un’estate impegnativa, suoneremo un sacco, ma ho voglia di fare uscire materiale nuovo.
Chiudiamo questa intervista con una domanda sportiva, visto che sei un super tifoso di calcio: Europei 2016, chi vince?
Azzurro pesante. Pesantissimo.
Queste le date del tour:
16 giugno Milano – Assago Summer Arena – Street Music Art
17 giugno Verona – Teatro Romano
18 giugno Torino – GruVillage
4 luglio Roma – Cavea Auditorium Parco della Musica
5 luglio Napoli – Arena Flegrea
22 luglio Pescara – Teatro D’Annunzio
23 luglio Sarzana (Sp) – Fortezza Firmafede