Jake La Furia: «Vuoi suggerire ai rapper cosa devono cantare? È il fascismo della musica» | Rolling Stone Italia
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Jake La Furia: «Vuoi suggerire ai rapper cosa devono cantare? È il fascismo della musica»

Avrà anche un nuovo pubblico grazie a X Factor, ma non arretra di un millimetro. L’intervista: Carlo Conti contento che a Sanremo non ci siano testi controversi, il nuovo album ‘Fame’, come il suo vecchio nome da writer, la politica, i Club Dogo e il «ritorno al rap totale, senza fame di streaming»

Jake La Furia: «Vuoi suggerire ai rapper cosa devono cantare? È il fascismo della musica»

Jake La Furia

Foto: Asia Michelazzo

Prima di essere Jake La Furia, Francesco Vigorelli è stato Fame. Erano gli inizi degli anni ’90, la sua tag e i suoi graffiti avevano invaso i muri di Milano. E andare alla ricerca di quello spirito – quella fotta, come si diceva nel gergo di strada dell’epoca – è stato naturale per un artista di 45 anni che al rap ha dato e dal rap ha avuto tutto. Ora che potrebbe permettersi qualunque sfizio, anche quello di mollare tutto e portare le chiappe al caldo dei Caraibi, sceglie invece di tornare al primo amore, l’hip hop senza ansie da classifica, con un album che ha comunque tutte le potenzialità per stare nel girone dei dischi d’oro, platino ecc.

Prodotto da Night Skinny, re Mida dello street rap e talent scout delle nuove leve, Fame – il vecchio nome di battaglia – contiene pezzoni come Viagra con Kid Yugi, Cucchiaino con Nerissima Serpe, Con uno sguardo con Tony Boy e momenti di rap più lirici come Generazioni con Bresh sui padri e figli e L’ultimo giorno del mondo con il soldale Guè e Rkomi. Certo siamo molto lontani dai pezzi sanremesi, anzi Fame uscito a ridosso del festival è un ottimo antidoto al pop made in Ariston. Da prendere mattina e sera, ad alto dosaggio e volume.

L’ultima volta che ci siamo visti per l’uscita del tuo album Ferro del mestiere, era il 2022, mi avevi detto che volevi ritirarti dalle scene, ma per fortuna non è andata così…
Voglio sempre finire, ritirarmi, sono quelli intorno a me che mi spremono. Penso sempre che non mi offriranno mai altri due anni di contratto, altri due dischi, e invece…

Però avevi pensato al ritiro?
Fosse per me sarei già a Santo Domingo a grattarmi i coglioni.

Questo Fame non mi sembra un disco fatto per fare, per guadagnare e basta…
La cosa che ancora più mi appassiona nella vita è andare in studio a fare musica. Non i dischi: la spinta è l’amore per la musica.

Come è nata l’idea di farlo produrre interamente a Night Skinny?
Non mi ricordo neanche chi ha detto: facciamo questo disco con Skinny? Sì, dai, figata. Ci troviamo bene a lavorare insieme, lui è uno dei pochi in grado di tenermi testa in studio. E poi ha questa gran qualità di occuparsi in toto del progetto, comprese le idee per le collaborazioni. Quindi non mi sono dovuto sbattere per i featuring, è sempre più difficile gestirli da quando questo mondo è diventato un’industria che fa soldi e funziona. Skinny in questo disco ha fatto il produttore di tutto, come funziona in America.

A proposito di featuring, nel disco ci sono anche Nerissima Serpe, Papa V e Tony Boy. Dico un’eresia se dico che loro sono i nuovi Club Dogo? Almeno per attitudine…
Che ti devo dire? La grande particolarità dei Club Dogo non era solo la musica, ma il movimento che c’era intorno, e vedo che loro si stanno muovendo bene in quella direzione: c’è gente davvero fanatica di loro tre. Poi sono ragazzi splendidi, incredibili, rappresentano Milano benissimo.

Il ritorno con i Club Dogo ha influenzato questa tua nuova prova solista? 

Il percorso con i Dogo è stato comunque un’estensione di quello che avevo già iniziato, cioè un ritorno al rap totale, senza se e senza ma, senza fame di streaming, senza senza voglia di classifica. Quando ci siamo incontrati per fare il disco dei Dogo è venuto fuori naturalmente il ritorno a un suono, roba sicuramente molto più hip hop, e mi è venuto naturale andare avanti così. Anche perché questa ossessione per i numeri mi stressa veramente.

Vabbè, non hai neanche più bisogno di stressarti.


No, infatti. Sento che non ho più né bisogno, né voglia. Cerco solo di divertirmi.

Fame: che significato hanno il titolo e l’artwork con la casa in fiamme?
La casa in fiamme è una bella immagine di devastazione, che mi rappresenta bene. E il titolo è un ritorno alle origini, è il mio primo nome d’arte che ho usato pochissimo nella musica e molto nei graffiti.

Ci sono ancora in giro a Milano graffiti di Fame?
Sì, ne trovi, sicuramente nella zona del Leoncavallo.

Nei tuoi testi – penso a quando nelle rime immagini una Greta Thunberg in versione Eta basca – c’è sempre uno spirito rivoluzionario, da prima fila di una manifestazione politica. La sogni ancora la rivoluzione o è un istinto che rimane dai cortei di gioventù?
Ho da sempre questa coscienza politica. Ma in manifestazione ci andavo più per fumare i cilum, come tutti. Però ci sono andato spesso e volentieri e oggi mi fa ancora incazzare tutto quello che succede.

Coscienza politica, ma anche spirito dissacrante. Come quando accosti nelle rime la Striscia di Gaza a quella di cocaina…
Quello però è un gioco che bisognava fare. Qualcuno doveva farlo… e allora l’ho fatto io. Poi non sono un influencer che ha scoperto ieri la questione della Striscia di Gaza, sono anni e anni che va avanti.

Foto: Asia Michelazzo

La tua rima più politica però sta nel disco di Skinny Containers: “Io faccio il tifo per i maranza che li rapinano/  Lotta sociale, ferro e coltello dei delinquenti / Fra’, sono come la falce e il martello di questi tempi”. Come ti è venuta?
Lo penso davvero, ovviamente con le dovute cautele di esagerazione artistica e licenza poetica, ma spesso la gente non capisce perché gli analfabeti funzionali sono sempre di più. Come mi è venuta? Riflettendo su questa città in cui siamo pieni di problemi e di situazioni che non giustifico, ma tra chi delinque perché ha bisogno e fame e chi delinque perché è un pezzo di merda sto dalla parte dei primi.

I secondi chi sono?
Gente che fa vedere i suoi orologi sul telefonino, che fa una vita milionaria, non gente che vive in un palazzo popolare di merda coi soffitti che crollano e ha fame. C’è una bomba sociale pronta a esplodere quando tutti vanno nella stessa via, chi a fare lo spandimerda e chi a cercare di campare. Prima o poi qualcosa di brutto succede.

Rappi “Tra me e lo sbirro chi è libero e chi è schiavo?”. L’hip hop vive ancora nella contrapposizione tra guardie e ladri?
Diciamo che la musica rap non sta dalla parte delle guardie e viceversa, anche se oggi un sacco di guardie ascoltano il rap…

Nella serie Netflix Acab il poliziotto più cattivo e violento si allena in palestra ascoltando Noyz Narcos…
Non riesco ad approcciarmi a quei prodotti, mi fanno venire il nervoso.

La vicenda della morte di Ramy a Milano dopo un inseguimento dei carabinieri che hai postato sui tuoi social è sempre “guardie e ladri”? Credevo che avrei trovato un pezzo o una rima su Ramy nel tuo disco…
Il disco l’ho chiuso molto prima, ma ti dico che davanti a queste ingiustizie mi mancano le parole. Se penso al caso Aldrovandi mi si gela il sangue perché adesso ho dei figli e penso: se succedesse a me? Queste cose poi finiscono sempre o nell’impunità o con un deficit di giustizia. Per Ramy ci sarà un processo, capiremo cosa è successo e spero non finisca come al solito, che non si dica che la macchina ha rimbalzato sopra un tombino o che è arrivata una folata di vento talmente forte che ha spostato la moto… È già successo.



Cosa?
Abbiamo visto proiettili rimbalzare sulle reti e colpire la gente in testa.

Cambiamo argomento. Nel disco dici di aver salvato la faccia anche quest’anno non andando a Sanremo. Però i tuoi colleghi ci vanno, sbagliano?
La mia critica non è rivolta ai miei colleghi, anche perché è stata fatta molto prima che fossero annunciati i nomi in gara. Ma sono libero di dire che non mi piace Sanremo, non mi piace la kermesse, e non intendo andarci? Ho rifiutato di andare come ospite, capito? Non mi interessa.
 Può un uomo libero di 45 anni dire in Italia che non vuole andare a Sanremo?

Certo che può, volevo capire perché non ti piace.
Ho visto una delle prime conferenza stampa di Carlo Conti, in cui erano tutti preoccupati dei rapper a Sanremo. E lui rispondeva che sì, verranno un sacco di rapper, ma ha guardato i contenuti e saranno tutti positivi. Cioè tu vuoi i rapper, ma gli vuoi anche dire cosa devono cantare? Questo è proprio il fascismo totale della musica, per me se ne possono andare affanculo. 
Io vengo a Sanremo e dico quel cazzo che voglio, sennò chiama tuo cugino e fagli fare il pezzo che vuoi tu.



Il tuo disco esce a breve distanza da quelli di Guè e Marracash. Li hai sentiti?
Sì, certo, sono due dischi molto diversi tra di loro. L’album di Marra fa parte del suo percorso di uomo adulto, è un disco rap molto adulto. Quello di Guè invece è pieno di considerazioni sui nostri tempi. Ci siamo scritti tanto con Cosimo, rideva del fatto che lo stessero infamando di brutto sui social, perché è un disco che arriva dopo e soprattutto arriva a una generazione che non è quella di chi scrive commenti sotto ai post di Esse Magazine. Comunque ha fatto subito disco d’oro.

Pensi che dopo aver fatto il giudice a X Factor avrai un nuovo pubblico di ascoltatori per questo disco? 


Non penso che ascolteranno questo disco, è proprio un’altra categoria di fruitori della musica. Ho acquisito un nuovo pubblico fatto di signore che vanno dalla mezza alla terza età e che mi conoscono come fenomeno televisivo, non musicale.

Ti piace giocare su questa contraddizione tra personaggio pop televisivo e rapper dark di strada?
No, per me questa contraddizione è assolutamente naturale, sia fare musica dark sia X Factor. Io non riesco a fare musica happy e non riesco a fare televisione dark.

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