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Jesus Lizard: «Fare una reunion è un po’ come scop@rsi una ex»

David Yow sul primo album della band dopo 26 anni, fare noise rock nell’età della pensione, le tecniche di Steve Albini, Kurt Cobain e il disco migliore mai registrato (non lo indovinerete mai)

Foto: Joshua Black Wilkins

David Yow stava pranzando all’aperto, fuori da un ristorante, quand’è arrivata una Jaguar da cui è scesa Billie Eilish. «Sono andato ko, in iperventilazione. È entrata nel ristorante passandomi accanto: niente trucco, zero lusso, solo Billie Eilish. Non potevo crederci. M’è venuta da dirle quant’è grande, ma gente come lei se lo sente ripetere di continuo, quindi non l’ho disturbata».

Yow, che ha 64 anni e ha appena pubblicato un nuovo album coi Jesus Lizard intitolato Rack, è il primo a stupirsi d’aver riconosciuto Eilish. Non è certo uno che conosce la musica che va oggi. Gli piaccono gli Idles, è ossessionato da Lhasa che l’ha pure influenzato nella scrittura e negli ultimi anni è diventato fan di Eilish. «Se non fosse esistita Billie, le mie parti vocali in questo disco sarebbero state diverse», dice un po’ scherzando e un po’ no, «ma non chiedermi di dirti dove esattamente si sente la sua influenza».

Il punto è che i Jesus Lizard suonano sempre e soltanto come i Jesus Lizard, nonostante siano passati 26 anni dal loro ultimo album: noise schiacciasassi con le inimitabili parti vocali selvagge di Yow. Lavori come Goat, Liar e Down, tutti registrati da Steve Albini, hanno fatto guadagnare alla band un seguito fedelissimo negli anni ’90. Hanno persino firmato con la Capitol, anche se il rapporto con la major s’è interrotto prima della fine del decennio.

Rack è il loro settimo album, il primo dal 1998. Pur essendo in età pensionabile, riescono a infondere in pezzi come Hide & Seek, Lord Godiva e Is That Your Hand? la stessa frenesia dell’epoca in cui pubblicavano singoli coi Nirvana e si esibivano al Lollapalooza. Mica facile buttare fuori un disco all’altezza della loro leggenda. Yow ci spiega come hanno fatto.

Come ti sei convinto a fare un altro disco dei Jesus Lizard?
L’altro 75% del gruppo ha lavorato su alcune idee di canzoni senza che ne sapessi niente. Me ne hanno portate sei o forse otto e suonavano bene. Così ho chiesto che ne volevano fare e loro m’hanno detto: «Un disco». Ho pensato, ecchecazzo, è un’idea stramba perché tutte le reunion hanno qualcosa di strambo. Ci siamo separati nel 1999 per poi fare dei concerti nel 2009 e poi ancora qualche anno dopo. Non so come spiegartelo, ma è come scoparsi una ex. Ma adoro gli altri della band e cantare con loro è un onore e un gran divertimento. Rack potrebbe essere il nostro disco migliore e ce la spassiamo, quindi perché no?

Avevi dei dubbi sul fare il disco?
Nel 1996 abbiamo firmato un contratto per tre album con la Capitol. C’era una clausola: Mac (il batterista Mac McNeilly, ndr) poteva eventualmente mollare a causa della famiglia. E quando se n’è effettivamente andato, non sopportavo l’idea che non fosse nella band. Era diventato un lavoro più che un divertimento. Così quando la Capitol ci ha comunicato che non dovevamo per forza fare il terzo album previsto dal contratto, ho chiamato il manager e gli ho detto che ero fuori. Fra tutti, ero quello più determinato a mettere fine al gruppo. Gli altri lo sapevano e immagino si aspettassero delle resistenze da parte mia, che è poi uno dei motivi che li hanno spinti a cominciare a lavorare sulle canzoni senza di me. Ma dopo averle ascoltate, sono diventato meno dubbioso.

Non volevi rovinare il buon nome del gruppo?
Onestamente non so che fama abbiamo. I due dischi fatti con la Capitol non hanno venduto di più di quelli fatti con l’etichetta Touch and Go. E ci sono parecchi, uso la parola in senso lato, fan delle nostre prime cose. Quando ci siamo sciolti la gente che veniva a vederci era sempre meno, era un buon momento per dire basta.

Nel frattempo hai registrato con i Qui e hai fatto un disco solista. Com’è stato indossare di nuovi i panni del cantante dei Jesus Lizard?
Un po’ strano. All’inizio non sapevo bene che fare. Mi sono affidato alla scrittura automatica. Il risultato non deve per forza avere un senso. Mi ha molto aiutato, sono venute fuori in sacco d’idee. E poi c’è tutto quel che è successo negli ultimi otto anni. C’è Trump, che odio di tutto l’odio possibile e immaginabile, e un po’ delle merdate che ha fatto son finite nelle canzoni. Magari sembra banale, ma è una cosa che non potevo ignorare. E quindi le idee sono arrivate dalla scrittura automatica, dall’attualità e da una donna pazzesca che si chiama Lhasa de Sela. La conosci?

Sì, adoro The Living Road.
Mi ha molto ispirato nella scrittura. È un disco incredibile, forse il migliore che sia mai stato registrato. Mi piace il modo che ha di esprimere emozioni forti. Neanche ricordo come sono arrivato alla sua musica, ma a quel punto volevo andare a vederla in concerto e ho scoperto che era morta sette anni prima. Che tristezza.

Dov’è l’influenza di Lhasa dentro Rack?
Un po’ di Falling Down è presa, non parlo di plagio, da una canzone di The Living Road chiamata Con toda palabra. Ho preso il fraseggio del primo verso. Non l’ho fatto spesso in passato, ma qui ho rubato da lei. Nessun se ne sarebbe accorto se non l’avessi detto.

Cos’hai pensato quando hai sentito le musiche gli altri ti hanno dato?
Armistice Day, dove Duane [Denison] suona la chitarra in modo stellare, m’ha ricordato i Led Zeppelin e quindi m’è venuto di fare qualcosa alla Robert Plant nella parte dove c’è una modulazione tra una tonalità più alta a una più bassa. Mi sono ispirato a Kashmir, dove Plant intona una lunga nota che fluttua sopra la modulazione. La chitarra in Hide & Seek è una delle più toste che abbia mai sentito e anche quella è stata di grande ispirazione.

Prima hai citato Trump. Mi chiedevo se il “I forecast them stupid” contenuto in Is That Your Hand? sia ispirato a lui…
Sì, la canzone viene dai suoi comizi, la parte più comica è proprio quella in cui ripeto “I forecast them stupid” che è un po’ come se dicessi “Ho visto Captain Stubing”. Ora che ci penso, sarebbe stato un bel testo… troppo tardi per cambiarlo.

Perché questo titolo, Rack?
La cosa più difficile stando nei Jesus Lizard è mettersi d’accordo tutti e quattro su un titolo formato da sole quattro lettere. L’idea di Rack è stata mia. Ci sono vari doppi sensi e molti significati, dallo strumento di tortura a prendere un calcio nella palle al rack della sala d’incisione o anche le tette… Potrei andare avanti all’infinito.

Che differenza c’è tra l’essere il cantante dei Jesus Lizard a 64 anni e a 28, che era l’età che avevi quando avete iniziato?
Molte più rughe, molti meno capelli. Dopo aver pianificato tanti concerti fra questo e il prossimo anno, ho preso un personal trainer per rimettermi in forma. Faccio un mestiere sedentario in cui sto seduto al computer a smanettare su Photoshop (di lavoro ritocca foto per le pubblicità, nda). Senza di lui non sarei stato in grado di fare nemmeno 45 minuti di concerto e l’ultimo che abbiamo fatto è durato un’ora e mezza, e potevo anche andare avanti.

In un vecchio articolo di Rolling Stone vieni descritto sudato e a petto nudo come un incrocio tra un vagabondo ubriaco e il figlio illegittimo di Robert Plant… Senti la pressione di essere all’altezza della tua leggenda?
Qualche volta onestamente sì, ma diciamo che di solito il problema è che se c’è un concerto io semplicemente non ho voglia di farlo perché stanco o non mi sento bene o altro e spero che alla fine l’adrenalina e l’audacia prendano il sopravvento. La pressione viene dal voler fare le cose al meglio, anche se non me la sento.

Cos’è che ti ha spinto a rendere tanto estreme le tue performance?
Quando sono venuti fuori i Talking Heads dicevano che avrebbero fatto musica dance, ma intelligente. E mi piacciono anche band come Wire o XTC che hanno un lato intellettuale. Io non ce l’ho, ma c’è dell’intelligenza nella musica che facciamo e pure dello humour. E quindi per risponderti, mi spinge l’idea di mettere assieme cose che non necessariamente si pensa stiano bene insieme.

Se i Jesus Lizard sono leggendari è per via dei primi dischi incisi con Steve Albini, che tu già conoscevi come frontman dei Big Black. L’hai capito subito che era un genio delle registrazioni?
Non so. Voglio dire, era autodidatta e sicuramente aveva letto un sacco di cose sulle registrazioni, ma non so come sia arrivato a mettere a punto le sue idee sperimentali e rivoluzionarie sulla ripresa coi microfoni. So che registrare con lui era divertente, si provavano strane tecniche. Non sono sicuro che tanta stranezza poi venisse fuori dalle registrazioni, ma di certo era uno spasso.

Quanto strane erano quelle tecniche?
Per Wheelchair Epidemic, credo, mi ha fatto stendere sulla schiena e ha puntato il microfono sulla bocca, sopra il petto. Un altro microfono era su un’asta non lontana dalla bocca. E un terzo pendeva dal soffitto. Quando abbiamo iniziato a registrare ho fatto muovere quel microfono in modo che girasse in tondo sopra di me e sugli altri microfoni per tutta la durata della canzone. E per Nub ha attaccato con lo scotch un microfono a zona di pressione alle mie cuffie, per poi farmi infilare il tronco in un enorme bidone dell’immondizia.

Avete fatto uno split single coi Nirvana prima che lavorassero con lui. Li hai raccomandati tu a Steve?
Non credo, però Steve mi ha detto che un paio di volte mentre registravano (In Utero, ndr) in Minnesota, Kurt gli ha detto di premere «il pulsante David Yow», che è un complimentone per me.

E cosa sarebbe il «pulsante David Yow»?
E che ne so. Ma quando registravano noi con Steve gli dicevo sempre «premi il pulsante Elvis». Mica sapevo che era solo il riverbero.

Da Rolling Stone US.

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