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Jim James: «La musica non può diventare un passatempo per ricchi»

Esausto dalla vita in tour, il frontman dei My Morning Jacket non sapeva se la band avrebbe suonato ancora. Poi ha riscoperto un album perduto ed è cambiato tutto. Ora è tornato in studio e sogna un’industria più equa

Foto: Danny Clinch

Mentre ascoltava musica da iTunes facendo una passeggiata vicino alla sua casa di Louisville, Kentucky, Jim James si è imbattuto per caso in una delle sue canzoni: Spinning My Wheels, una meravigliosa ballata-inno che aveva scritto nel 2013. Era uno dei pezzi del sequel inedito di The Waterfall, l’album dei My Morning Jacket del 2015. La band voleva pubblicare almeno due dischi tratti dalle session-maratona tenute due anni prima a Stinson Beach, California, ma dopo anni di tour incessanti il gruppo si è preso una lunga pausa. «Riascoltandolo, ho capito che lo amavo», dice James di Spinning My Wheels. «Ho realizzato che avevamo la seconda metà del disco da pubblicare e che forse era il momento giusto per riconnetterci con i fan e, in un certo senso, con noi stessi».

I Jacket hanno pubblicato The Waterfall II all’inizio di luglio dopo un listening party a sorpresa per i fan. «È stato molto emozionante», dice James. «È strano, perché se da una parte stavamo chiudendo un capitolo e dall’altra era come un nuovo inizio. È stato un modo fantastico per capire che la band era tornata».

The Waterfall II è un disco incredibile. È assurdo pensare che abbiate aspettato così tanto a pubblicare queste canzoni…

Sai, è buffo, all’inizio volevamo pubblicare tutto quanto Waterfall, sarebbe stato un gigantesco triplo album. Ma sarebbe stato troppo, alcune canzoni si sarebbero perse. È per questo che dico a tutti che non si tratta di un disco di lati B o di canzoni che non finivano di piacerci. È la seconda metà del disco. Sapevo che un giorno le avremmo pubblicate, ma ero convinto che sarebbero passati 10 o 20 anni.

Ho scritto tantissima nuova musica e mi ero dimenticato di quei pezzi. Cerco sempre di passare a nuovi progetti. Anche con i Jacket è così, di solito dopo un tour ci rivediamo, ci innamoriamo di nuovo e lavoriamo a un nuovo disco. Pubblicare questi pezzi era l’ultima cosa a cui potevamo pensare, perché eravamo concentrati sul futuro. Senza pandemia questo disco non sarebbe mai uscito, e in un certo senso pubblicarlo è anche un modo per affrontare questa sensazione di impotenza. Eravamo davvero felici di essere di nuovo una band, fare un altro tour e un altro disco, ma ovviamente, come è successo a tutti, la pandemia ci ha fermati.

Quanto tempo sei stato lontano dai My Morning Jacket? 

Sono terribile con le date. Non lo so. Diversi anni, due o tre. Avevo bisogno di tempo perché i tour mi stavano uccidendo. Abbiamo fatto un passo indietro e poi tutto è ripartito con naturalezza.

Che cosa vi ha fatto cambiare idea? 

L’anno scorso, quando abbiamo suonato i quattro concerti a Red Rocks e Forest Hills. Quei concerti hanno fatto ripartire tutto, ci hanno fatto ricordare quanto amiamo suonare insieme. È ironico: se passi tanto tempo in tour finisci per odiare l’idea di fare un altro concerto. Sei convinto che ti ucciderebbe. Poi, quando smetti per qualche anno e torni sul palco capisci che è la fonte della giovinezza, che è l’unica cosa che ti tiene in vita.

Quindi i My Morning Jacket sono in studio per un altro album, il seguito di The Waterfall II? 

Sì.

Come sta andando?
È fantastico, eccitante. All’inizio dell’anno abbiamo fatto un paio di session poi, proprio quando gli altri sono tornati a casa, la pandemia si è fatta seria. Era l’inizio di marzo, le registrazioni sono finite. E ora, chissà quando… Non vogliamo pubblicarlo prima di poter partire in tour, quindi toccando ferro dovrebbe essere nel 2021.

Ricordi dov’eri quando hai scritto Climbing the Ladder? Adoro quella melodia e il modo con cui la band rallenta e accelera. Dev’essere stato difficile…
In realtà quel pezzo doveva essere molto più lento, più o meno come nella parte in cui rallentiamo. Era tutto così. Ricordo che l’abbiamo tenuto così per un po’. Poi è diventato sempre più veloce, ci convinceva di più, e durante il mix mi sono accorto che mi mancava la versione lenta. Così abbiamo deciso di combinarle insieme.

Soffrivi per amore quando hai scritto queste canzoni?
Sì. Ho scritto gran parte di Waterfall mentre affrontavo la fine di una relazione molto importante e cercavo di capire cosa fosse successo. Volevo essere ottimista, in realtà ero fuori controllo. Ero di fronte alla fine di qualcosa che non volevo finisse, ma doveva andare così. So che molti capiscono cosa si prova quando una storia finisce contro la tua volontà, ma a volte è meglio così, per tutti. Mi sentivo indifeso. Cercavo di non cadere nello sconforto. In un certo senso, quando ho ritrovato questa musica ho capito che durante la pandemia provavo le stesse cose, e non ero il solo. La pandemia ti fa sentire come se ti stessi lasciando con la vita, qualcosa del genere. Non puoi fare le cose che facevi di solito, non puoi andare da nessuna parte, ti senti indifeso e col cuore infranto, e nonostante tutto cerchi di avere speranza.

Run It ha l’aria del classico…
Grazie. Tutti conoscono il desiderio di stare vicino all’acqua. Perché sai, siamo fatti d’acqua. Ci piace andare al fiume, ti calma e ti fa riflettere. Quella canzone è un’ode a questi sentimenti. Mentre registravamo il disco andavamo spesso all’Ohio River e a Stinson Beach (a Marin County, California). L’acqua e il paesaggio hanno avuto un ruolo molto importante in questo disco.

È per questo che avete scelto l’immagine della cascata? Cosa c’entra con quello che ti è successo? 

Beh, è una forza della natura. La natura è viva e surreale. Molto di più di quanto si pensi oggi, sai? È come se la gente non desse abbastanza importanza agli alberi o all’acqua. Ma dagli alberi dipende l’aria che ci fa respirare, fanno tante cose che non capiamo. Mentre mixavamo il disco in Oregon, siamo andati alle Cascate di Multnomah ed è diventata la mia ossessione, cercavo continuamente vecchie foto di cascate. Mi sentivo come se fossi di fronte a una cascata impossibile da fermare. E poi se la guardi abbastanza a lungo ti sembra che si muova al contrario. Pensavo che guardare una cascata può fare cose davvero strane al tuo cervello, è come se la natura pulisse il tuo hard disk. Se la fissi abbastanza a lungo, può aiutarti a dimenticare le cose di cui non hai davvero bisogno.

Ci siamo visti a Louisville per il primo Waterfall. Effettivamente c’erano un sacco di fotografie di cascate…

Sì, ne collezionavo quante più possibile. Cartoline, cose del genere. Ne stato ossessionato per un po’.

Qual è la tua preferita?

È difficile, ce ne sono tantissime. Ovviamente ci sono quelle gigantesche, assurde, come Snoqualmie o Cumberland, qui in Kentucky. Sono belle, ma anche quelle più piccole che puoi trovare in un’escursione hanno qualcosa di speciale. Non sono il solo a pensarlo, molta gente ne è incantata. Quando ne trovi una sei costretto a fermarti. Sono luoghi fantastici. Le cascate sono un simbolo di vita: gli animali si abbeverano e gli umani le ammirano meravigliati. Sono oceani portatili.

Quali sono i tuoi ricordi più belli delle registrazioni? 

È stato un periodo magico. È come se avessimo portato un pezzo di natura nello studio, facevamo spesso escursioni nella foresta di Muir. Scrivevo un pezzo e andavamo a camminare. È difficile non pensare alla canzone a cui stai lavorando, e durante quelle camminate mi veniva sempre in mente un piccolo riff, melodie che prima non esistevano. Sono quelli i ricordi più belli. È come se la natura ci avesse permesso di aprire la mente e goderci i nostri momenti insieme. Ha anche aperto il mio paesaggio interiore.

Quali sono le canzoni di cui vai più orgoglioso? 

Con le cose che scrivo attraverso diverse fasi: un anno le adoro e l’anno dopo, per qualche ragione, perdono fascino. Sono molto orgoglioso di queste canzoni. Quando le ho riscoperte è stato sorprendente, ho trovato subito un ordine che andasse bene, sono tornate tutte al loro posto e sembrava che appartenessero l’una all’altra. È nato un bel viaggio. Mi piace molto come suonano nel complesso.

Com’è stato pubblicare l’album?
Emozionante. E divertente, perché è avvenuto tutto usando messaggii. Ho pianto diverse volte nel pensare a quanto mi ero divertito con gli altri del gruppo. È stato davvero emozionante. In un certo senso si è chiuso un capitolo, ma dall’altra parte era come un nuovo inizio. È stato un modo bellissimo per scoprire che la band era tornata. È assurdo quanto il disco suoni vecchio e allo stesso tempo nuovo. È musica che nessuno ha ascoltato, ma è vecchia. È stato come chiudere un romanzo che altrimenti sarebbe rimasto aperto per sempre.

Durante la pausa hai mai pensato che i My Morning Jacket fossero finiti? 

Non saprei, all’epoca non riuscivo a capire come gestire i tour che facevamo di continuo. Un concerto dei My Morning Jacket richiede un’energia che a volte mi sembra impossibile da sostenere. Devo far tornare in vita tante versioni diverse di me stesso, e a volte non voglio farlo. Ci sono serate in cui non voglio rievocare il dolore che provavo a 20 anni, non voglio cantarlo al me stesso di 42. Altre volte, invece, ha perfettamente senso. Rispetto molto chi ha avuto carriere lunghe. Ci sono artisti che sono in giro da 50 anni, mi chiedo come facciano a trovare le energie. Se riuscirò a fare in modo che i tour non mi devastino fisicamente, allora tutto avrà di nuovo senso. A volte ho pensato di non voler più partire, perché mi stava uccidendo.

Foto: Ryan Mastro

Avete fissato delle date per il 2021? Oppure aspettate che la situazione si evolva? 

Stiamo cercando di capire cosa succederà. Ci sono tante cose che erano previste per quest’anno e che sono state spostate al prossimo, come per esempio i festival. Credo che tutti siano nella stessa situazione. E dobbiamo pensare a una cosa: cosa diremo alle persone a cui la pandemia ha rovinato la vita? E a quelle che non possono pagare? Sai, c’è gente che non può permettersi l’assicurazione sanitaria o l’affitto. Io voglio assicurarmi che quando torneremo a suonare i concerti siano a portata di chiunque. Ma non so cosa succederà. Magari metà biglietti verranno venduti a 5 dollari, oppure chiederemo a chi può permetterselo di pagare anche per chi non può. Dobbiamo trovare un modo. È la cosa più importante: quando la musica dal vivo tornerà, dobbiamo assicurarci che sia una medicina per tutti, soprattutto per chi ha sofferto duramente.

È la prima volta che sento dire una cosa del genere. 

Lo so, ma come puoi chiedere qualcosa di diverso? Come possiamo tornare in tour e vendere biglietti a prezzo pieno a persone che hanno visto la loro vita distrutta? Soprattutto chi lavora a contatto con la gente, come nei ristoranti. Tantissime persone avranno bisogno di sollievo. Credo che questo sia il momento giusto per combattere la struttura della nostra società capitalista e iniziare a prenderci cura l’uno dell’altro, perché tutti hanno diritto di vivere. Dobbiamo fare quello che è necessario per mettere il cibo a tavola e pagare le bollette. Ma dobbiamo anche occuparci degli altri. E sarà difficile, complesso. E poi: chi riaprirà davvero? Quanti piccoli locali saranno costretti a chiudere? Quando torneremo là fuori, il paesaggio sarà assurdo.

È stato difficile per la vostra crew e lo staff? 

Sì, è stato difficile per tutti, perché non c’è nessuna pietà, e ci penso continuamente. La nostra società ha bisogno di pietà, soprattutto chi ha bisogno dell’assistenza del governo. Come puoi pensare che qualcuno paghi l’affitto se non ha lavoro da mesi? Il mondo ha bisogno di pietà, perché è un momento difficile per tantissime persone.

Dobbiamo dimostrarlo con i nostri fan e gli amici che soffrono e non hanno denaro. L’ultima cosa che voglio vedere è un nostro fan che vuole venire a un concerto, divertirsi e farsi curare dalla musica, e non può farlo per colpa della pandemia. Il problema dell’America è questo, è stata sventrata dal capitalismo senza regole. Dobbiamo cambiare le cose.

Quando si tornerà a suonare, però, le vostre band preferite non avranno fatto un soldo per più di un anno. Ci sarà un’assurda convergenza di gruppi che vogliono guadagnare per dare da mangiare alla loro crew, alle loro famiglie e tutto il resto. Il pubblico potrà scegliere tra un’infinità di concerti, ma non avrà soldi per pagare il biglietto. A volte spero che uno come Jeff Bezos salti fuori dal nulla per offrire una vagonata di soldi per rivitalizzare l’industria della musica dal vivo. Penso molto alla pietà. Perché chi ha così tanta ricchezza non ha abbastanza pietà da sistemare alcuni di questi problemi? È un pensiero che mi distrugge, e dobbiamo dare il nostro meglio per trovare una soluzione a questi problemi. Ma è triste che così poche persone abbiano così tanto potere finanziario nella nostra società.

Pensiamo al 2021 o al 2022. Tutti possono tornare a suonare. Come facciamo a renderlo equo per tutti? Qualcuno potrà sostenerci? Esiste un miliardario che ama la musica o qualcosa del genere? Come facciamo a far funzionare tutto?

Sarà difficile perché molte band sono avide. C’è chi non parte in tour se i biglietti non costano 500 dollari. Quando daranno un po’ di respiro ai fan?
Faccio il nome degli Eagles, per gioco, perché sono famosi per il costo dei loro biglietti. Si scoprirà molto in fretta che il pubblico non può pagare. Serviranno un paio di tour falliti, tutti vedranno gli Eagles di fronte a uno stadio vuoto e si chiederanno perché. La gente senza lavoro da un anno non può permettersi un biglietto da 50 dollari, figuriamoci da 500.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

 

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