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Joan Thiele: l’outsider

Vivere il mondo per poi suonarlo. La cantautrice più misteriosa per il grande pubblico di Sanremo è una miscela di culture, luoghi, suggestioni. Ha vissuto tra Colombia, Inghilterra e Italia. Ha una lunga storia underground e vanta collaborazioni pop. Porta al Festival una ‘Eco’ del suo passato, canta per affrontare le paure, superare le insicurezze e lasciarsi andare

Foto: Nicolò Parsenziani per Rolling Stone Italia

Ci sono artisti che arrivano a Sanremo dopo un percorso “sotterraneo” fatto di scelte precise, esperienze internazionali e musica che si fa strada senza clamore. È il caso di Joan Thiele, non una da talent o che cavalca i trend, ma una cantautrice che fonde influenze globali e una visione musicale fuori dai soliti schemi. Il palco dell’Ariston sarà per lei un passaggio cruciale, un tassello di una carriera già segnata da riconoscimenti come il David di Donatello per la miglior canzone originale nel 2023 con Proiettili, con Elodie, colonna sonora del film Ti mangio il cuore.

Ma chi è davvero Joan Thiele? Se il nome vi suona esotico è perché in fondo lo è. Nata nel ’91 a Desenzano del Garda, è un melting pot di culture: madre napoletana, padre svizzero di origini colombiane, infanzia trascorsa tra Colombia, Inghilterra e Italia. Una vita in giro per il mondo che si riflette in un sound dallo stile fluido, che abbraccia R&B, jazz, pop e soul, senza mai risultare prevedibile.

Foto: Nicolò Parsenziani per Rolling Stone Italia. Total look & jewels: Chanel

L’esordio discografico arriva nel 2016 con Save Me, nel 2019 è nel remix di Le ragazze di Porta Venezia di Myss Keta, nel 2021 collabora con Mace e Venerus in Senza fiato. Non ha mai seguito scorciatoie, ma un filo coerente di ricerca sonora e identitaria. Non è solo una cantante, è anche produttrice dei suoi brani, una musicista che lavora in studio con meticolosità e che ha sempre mantenuto il controllo. «Per me la musica è un’esigenza espressiva. Mi fa bene e nello stesso tempo mi fa stare male. È un’esperienza molto densa perché mi identifico in quello che scrivo».

La ricerca di un equilibrio tra autenticità e leggerezza è il nodo centrale della sua avventura sanremese: «Sto cercando di lasciarmi andare un po’ di più. Per me la musica è sempre stata una cosa seria, un gioco serio. Ma alla fine non sto salvando il mondo. Dovrei pensare a divertirmi di più». All’Ariston canterà Eco, una canzone che, come tutto il suo repertorio, promette di spiazzare mentre ti emoziona. Lo scopo è raggiungere un pubblico più ampio senza snaturarsi.

In un’epoca in cui il confine tra mainstream e indie è sempre più sfumato, Joan Thiele sembra la perfetta rappresentazione di come i percorsi musicali sono diventati più mutevoli e imprevedibili: «Siamo nell’epoca della fluidità, anche musicale. È bello che sia sempre più difficile definire i generi, c’è molta contaminazione». Sul palco di Sanremo porta un’identità cosmopolita, un talento cristallino e una storia personale. Quella di un’artista che vive il mondo prima di farlo suonare dentro le canzoni.

Stai per andare a Sanremo, che spesso descrivono come un tritacarne. Ti stai preparando anche fisicamente?
Ci hai beccato, sto facendo boxe, mi sta aiutando molto. E meditazione.

Hai iniziato da poco o la praticavi da tempo?
Faccio gli allenamenti da un anno, più o meno. Non è che sia particolarmente performante, serve per sfogarmi. Mi sono resa conto che lo sport aiuta tantissimo quando sei sul palco. Sei sempre chiusa in studio davanti al computer a produrre, suonare o cantare, far lavorare anche il corpo è fondamentale.

Ti può sempre servire come autodifesa dietro le quinte.
Guarda, lì spero non mi capiti! Però mi sciolgo, mi aiuta a star bene con me stessa.

Il tuo nome completo è Alessandra Joan Thiele. Alessandra è la tua parte privata, che vuoi rimanga intima?
È una parte di me più personale che molto spesso si fonde con Joan, ma sì, è il lato più riservato, più low profile.

E Alessandra cosa pensa di Joan quando la vede sul palco?
Le dice sempre: mollati, lasciati andare, divertiti.

C’è qualcosa che critica di te nella sfera pubblica?
Tutto, e infatti sto provando a lasciarmi andare di più. Per me la musica è sempre stata una cosa seria, un gioco serio. C’è un’identificazione costante e totale con quello che faccio, sto provando a darmi la possibilità di viverla con più leggerezza. Non cambierò le sorti dell’umanità. Recentemente mi ha aiutato chiedere a un mio collega molto famoso: ma tu come fai? E lui mi ha risposto: “Devi andare lì a divertirti, alla fine non stai salvando il mondo”. Ha ragione, pensiamo sempre che sia l’ultima occasione e quindi aggiungiamo alle cose un carico emotivo gigante, quando invece dovremmo divertirci di più. E se non va, ci riproviamo.

Foto: Nicolò Parsenziani per Rolling Stone Italia. Total look & jewels: Chanel

Dopo aver girato il mondo tra Colombia e Inghilterra, sei cresciuta a Desenzano del Garda. Il mare d’inverno è già stato cantato, ma il lago?
Io sono molto lacustre nell’anima. Me lo dicono tutti che quelli del lago sono persone particolari. E io sono una grande fan del lago, per quanto il mio ragazzo sia del mare e quindi ci scherziamo. Ma più vado avanti, più sento che il lago è il mio posto. Mi calma, mi rilassa. Anche d’inverno. Non tutti lo sanno, ma ha colori bellissimi e non mi mette tristezza.

Dopo tanto peregrinare, l’infanzia in Sud America, l’adolescenza a Desenzano del Garda, gli inizi musicali a Londra, perché Milano come luogo per vivere e lavorare?
Sono cresciuta da bambina tra Sud America e Italia, quindi sono rimasta in Italia fino al liceo, poi sono stata in Inghilterra qualche anno e di nuovo in Italia. Mi ero lasciata con un ragazzo e non mi andava di stare in Inghilterra da sola. Ho avuto uno di quei momenti di tristezza che si vivono nell’adolescenza e quindi ho preferito tornare a Desenzano sul Garda. Una volta lì, però, mi sono anche chiesta: che ci faccio qui?

Effettivamente, ha tante qualità, ma non quella di essere una capitale della musica.
Esatto, perché dopo che ho suonato in tutti i bar del territorio, sono stata resident in pizzerie dall’Alto Garda a Torbole, in un lungo tour della zona, mi sono chiesta dove andare per trovare nuovi sbocchi. Milano mi è sembrata la più fattibile. Lì, dopo aver iniziato a scrivere in inglese, e infatti il mio primo disco è in quella lingua, mi sono accorta che in italiano, la mia lingua madre, riesco a esprimere altre emozioni. Non ho mai pensato che passare all’italiano fosse la fine della mia scrittura in inglese, anzi, dopo questo progetto mi piacerebbe tornare all’inglese e sono sicura che alternare o fondere mi aiuterebbe molto.

Milano è una città oggi anche molto criticata, dai prezzi alla sicurezza.
È la città che mi ha accolto, ma è vero che non è una città semplice. Ti dà tante possibilità, ma soltanto se le sai cogliere. A volte è spigolosa e altre calorosa. Diciamo che anche Milano cambia in base ai periodi e a come ti senti tu che ci abiti. In generale a me piacerebbe un giorno vivere di più in mezzo alla natura, magari tornando sul lago. Ma so che se ci stessi sempre, alla fine mi annoierei. Meglio continuare a viaggiare.

Girare il mondo, rubare influenze e riuscire a creare un proprio sound non è da tutti. Ti senti un esempio positivo per i più giovani che vogliono trovare strade nuove?
Se mi ritengono un esempio non può che farmi piacere. Anche perché i viaggi aprono nuove vie, fanno scrivere, fanno conoscere persone e storie. Per me il viaggio è, come dire, un promotore di emozioni. E anche il lago, ha lasciato tracce di malinconia ed echi nei miei testi.

Foto: Nicolò Parsenziani per Rolling Stone Italia. Total look & jewels: Chanel

La canzone che porti a Sanremo si intitola proprio Eco. Parla di affrontare le paure e difendere le proprie idee. È autobiografica?
È un viaggio nel passato con la consapevolezza del cambiamento. Mi sento risolta. È come se avessi raccontato una parte della mia infanzia condivisa con mio fratello. È la nostra storia affrontata con tenerezza e con amore, non con tristezza.

Era rimasto un non detto tra voi?
Come tutti, anche noi abbiamo vissuto momenti di difficoltà ma, se ci pensiamo e impegniamo, possiamo risolverli. Ho voluto raccontare il lato più positivo. Con Eco volevo ricordare quel momento, ricordarlo a me stessa e a mio fratello, non per tornare a stare male, ma come augurio che gli faccio da sorella maggiore. Lo faccio anche a me, per imparare ad affrontare le paure, a difendere le idee, credere in quello che sei, non farti condizionare sempre e solo dagli altri. Questa canzone è un nostro personale reminder. Spero che arrivi a tantissime persone.

Quest’anno a Sanremo ci sono anche Brunori Sas e Lucio Corsi. Insomma, l’indie, per quello che vale ancora questa definizione, ormai ha conquistato il mainstream.
Sì, e sono felice che ci siano anche loro perché li stimo molto. Credo sia un bel messaggio questa biodiversità musicale e con una forte varietà di percorsi. Alla fine, Sanremo è uno specchio di ciò che viviamo, quindi dà spazio anche a realtà più piccole, ma con un loro mondo.

È sempre più difficile definire i generi. Ma è un male?
Ma sai, siamo nell’epoca della fluidità, anche musicale. È bello che sia sempre più difficile definire i generi, perché c’è forte contaminazione. E questo permette di evolversi. Magari oggi in radio passa un brano con sonorità che cinque anni fa sarebbero state impensabili.

Come ci si sente, dopo anni nell’ambiente indie, ad arrivare sul palco più mainstream d’Italia dove dominano altri generi?
Sai che non so cosa precisamente cosa fanno gli altri? Non ho veramente analizzato stili e scelte degli artisti di Sanremo e questo descrive come vivo la musica in generale. Non sono una persona competitiva, non lo sono mai stata, neanche a scuola. Arrivavo al 6 e mi andava bene così. Ora sono diventata competitiva con me stessa. Ho sempre lavorato tanto, ma ora cerco di lavorare ancora di più sulla ricerca di me stessa e dei dettagli nelle mie composizioni. Non so se alla fine ci riesco, questo lo giudicheranno gli altri. Sono più esigente con me stessa.

Cosa hai trovato finora in questa tua ricerca?
Voglio valorizzare tutto quello che ho raccolto in questi anni. Per esempio la mia grande passione per le colonne sonore e per i grandi compositori. E poi ho cercato di inserirci anche il mio immenso amore per la chitarra elettrica, che per me è uno strumento importantissimo.

Cosa rappresenta per te la chitarra?
È molto presente nel disco e in Eco, anche simbolicamente. Rappresenta la profondità. Non che io sia una chitarrista alla Jimmy Page, ma per me il suono di chitarra è sinonimo di libertà. Mi ricorda di quando ho iniziato a suonare. Ai tempi non era un lavoro, ma una passione, eppure rappresentava tutto il mio mondo. Suonavo da sola nella mia stanza, a Desenzano del Garda, e sognavo. Così continuavo a suonare, suonare, suonare e sognare. E questo ritorno agli amplificatori e alle chitarre elettriche è un modo di recuperare in un certo senso l’istintività che, crescendo, si rischia di perdere.

C’è mai stato un momento in cui hai sentito il rischio di perderla?
Quando la musica diventa un lavoro, si tende a voler avere tutto sotto controllo. Con questo disco e questo brano ho cercato di lasciarmi andare. Anche nel modo di cantare, di usare la voce, per tornare a non avere paura di dire anche cose scomode. Ho cercato di riconnettermi alla mia voce, ai miei sentimenti, alle mie insicurezze, tirarle fuori e trasmettere un messaggio importante per me, per noi, per gli altri. Credo che sia fondamentale ammettere le proprie insicurezze, attraversarle, accettare la propria identità. Perché io non potrò mai essere qualcun altro. E per un periodo ho sofferto di essere sempre paragonata agli altri, anche inconsciamente. Non essendo mai stata una persona competitiva, come ti spiegavo, volevo continuare a esserlo solo con me stessa. Per me è importante continuare a ricordare che ognuno ha la propria personalità e la propria visione. E difendere l’identità è fondamentale.

Foto: Nicolò Parsenziani per Rolling Stone Italia. Total look & jewels: Chanel

Viste le tue collaborazioni, da Elodie a Mace e Colapesce Dimartino, ti sei stancata di sentirti dire che sei brava, ma in feat con altri artisti?
Negli ultimi tre anni ho lavorato tanto con i miei amici, come gli artisti che hai citato e anche altri, ma prima non avevo mai fatto nessuna collaborazione. Paradossalmente, i featuring sono arrivati proprio nel periodo in cui stavo lavorando al mio disco. Per questo mi sono presa tre anni di tempo per lavorarci e, parallelamente, sono capitate queste collaborazioni. Ma non le ho mai vissute come un peso, né con l’idea che non fosse il mio momento. Piuttosto, mi stavo prendendo il mio tempo per fare le mie cose, scrivere l’album e riconnettermi con me stessa. Ora sono contenta che sia arrivato il momento in cui finalmente posso presentare il mio mondo.

Si torna ancora alle etichette che vengono affibbiate quando arriva la popolarità?
So bene che questo mondo è fatto anche di hype e di dinamiche che spesso non sono centrali rispetto alla musica vera e propria. E so di non essere mai stata, anche volutamente, al centro di queste dinamiche. Però adesso sono contenta che esca il mio disco e di portare su un palco importante Eco, perché sono soddisfatta di quel che ho realizzato.

Nella serata dei duetti porterai un super evergreen, Che cosa c’è di Gino Paoli, affiancata da Frah Quintale. Una responsabilità, no?
Una grande responsabilità, ma anche una bella responsabilità. Trovo che scrivere canzoni d’amore come quella sia difficilissimo. Non so nemmeno se ci sono mai riuscita davvero a scrivere una canzone d’amore. Avere il coraggio di cantare un pezzo così, con l’amore al centro, è potente. Credo che oggi più che mai ci sia bisogno d’amore, in tutte le sue forme.

Questo Sanremo potrebbe diventare per te un trampolino di lancio come fu per Nada, che hai raccontato ti colpì ascoltando Ma che freddo fa.
Per lei il successo non è mai stato il vero obiettivo. Penso che abbia fatto musica per una necessità interiore, un’urgenza creativa. Non la conosco personalmente, ma dalla sua carriera percepisco questa attitudine. E in questo senso trovo particolarmente interessante una frase di Colapesce: “Il successo è un incidente”. Mi piace pensarla così. Perché il successo non deve essere il fuoco che ti spinge a fare le cose. Se arriva, è il risultato di un lavoro lungo e fatto con impegno. Se non arriva, va bene lo stesso. Spero solo che la mia musica arrivi alle persone e che io possa continuare a fare questo mestiere.

Foto: Nicolò Parsenziani per Rolling Stone Italia. Total look & jewels: Chanel

Dopo le prove, come suona Eco con l’orchestra?
A me piace tantissimo. È una sensazione meravigliosa. Amo la musica classica, vado spesso a teatro ad ascoltare concerti. Quindi suonare con l’orchestra per la prima volta mi ha riempito l’anima. Diciamo che in questo momento mi sento molto blessed, come dicono gli americani. È una sensazione bellissima. Ti saprò dire dopo Sanremo…

Sai che Sanremo non è solo il Festival. C’è il FantaSanremo. Sei preparata?
È un disastro, non ne so niente. Sto cercando di capirlo adesso. Ho conosciuto i ragazzi che lo organizzano, sono molto simpatici. Ci mancava anche questo, vedremo come gestirlo.

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Photographer: Nicolò Parsenziani
Art direction: Alex Calcatelli per LeftLoft
RS producer: Maria Rosaria Cautilli
Fashion editor: Francesca Piovano
Talent stylist: Riccardo Maria Chiacchio
Make-up artist: Serena Congiu
Hair styling: Erìsson Musella
Video production: Visionaria Film, Mauro Fabbri, Daniele Cantalupo
Video operator: Tommaso Ligorio
Video editing: Diego Marinello, Martina Longo, Davide Piunti
Studio manager: Ernestina Calciano
Studio assistant: Cecilia Anselmo
Photographer assistant, digital: Edoardo Montaccini
Photographer assistant, lights + editing: Giuseppe Palazzolo
F.E. assistant: Elisa Brunello
Outfit: total look & Jewels Chanel

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