«Quanto successo con Aquarius è vergognoso, per me è allucinante sentir parlare di migrazione in questi termini» commenta Joan Thiele, nei giorni in cui le prime pagine dei giornali sono ancora occupate dalle immagini della nave. «È scandaloso che il populismo venga messo davanti a una tragedia del genere, sembra che l’Italia si stia dimenticando del proprio passato, quando i migranti eravamo noi». Un disco, il suo Tango, che significa il contrario delle barriere imposte al ‘diverso’, in quel titolo che riassume l’armonia che Joan ha cercato in musica, tra le sue radici sudamericane con quelle europee, tra echi e richiami che giocano da un suono all’altro. Canzoni che si legano insieme, attraverso i simboli di cui l’album è ricco: alcuni appartengono alla sua storia, altri alla sua famiglia, altri ancora a scoperte maturate durante un viaggio verso le sue origini. Tango parte proprio da lì, da Armenia, una città colombiana che per Joan significava ritornare fra i luoghi dell’infanzia, raccontati attraverso paesaggi e figure che sembrano presi da leggende lontane, ma trasportati nella voce di una 26enne cresciuta in Italia, per cui non c’è niente di più naturale di culture in simbiosi tra loro. Come in una danza, un tango, appunto, ma assunto nel suo significato più viscerale.
Da dove nasce il titolo dell’album?
Ho scelto Tango per il significato che la parola porta con sé, per la sua derivazione latina da tangere, toccare, interpretata nelle sue molteplici sfumature – emozionare, commuovere, sedurre. L’album nasce da un mio viaggio ad Armenia, in Colombia, dove vive mio padre insieme a mio zio, suo fratello gemello. Mio padre era malato, volevo stargli vicina e mi trovavo ad affrontare il dolore: in quel momento sono nate le prime canzoni di Tango, come un’inno alla vita dedicato a mio padre.
“Please don’t give it up” canti in Armenia, mentre in Cocora una voce racconta il messaggio nascosto del disco.
La voce è di una mia amica colombiana mentre recita una poesia che avevo scritto pensando alla valle di Cocora, un luogo isolato e pieno di leggende, in cui crescono le palme de cera, le più alte del mondo, una specie oggi in via d’estinzione ma che in quella valle resiste ancora forte. Ho immaginato Cocora come se a parlare fosse mio zio, nei giorni in cui si prendeva cura di mio padre: è lui il protagonista di Blue Tiger. La tigre blu è una figura con cui rappresento la sua forza e il suo coraggio, un’immagine che in realtà appartiene al suo passato difficile, di cui mi raccontava da bambina attraverso personaggi di fantasia.
Un disco, Tango, in cui i richiami fra la cultura europea e quella sudamericane sono molto più presenti rispetto ai tuoi lavori precedenti.
Questo album è nato in un momento preciso, mentre tornavo verso le mie origini con addosso un carico emotivo pesante; è per questa ragione che ho cercato di marcare la mia doppia identità, le due anime che convivono in me, quella europea e quella colombiana. In passato semplicemente non sentivo questa necessità, non avvertivo il bisogno di dare un significato così netto a ciò che sono.
Tante influenze dalla cumbia, in Azul canti addirittura in spagnolo. Hai mai pensato di fare un disco totalmente ‘latino’?
Sarebbe figo ma credo che, almeno per ora, significherebbe estremizzare un solo lato della mia identità e per me la commistione fra le due culture è fondamentale. Non escludo che in un futuro potrò fare un disco che racconti appieno delle mie origini colombiane, perché è un mio lato che sento tantissimo, ma dovrebbe esserci una motivazione forte. Dovrei trasferirmi là, lavorare con musicisti colombiani, ora ho altre priorità. A settembre, ad esempio, mi trasferirò a Londra in maniera più stabile rispetto ai continui avanti e indietro degli ultimi anni.
Cantare in inglese è ancora un problema per l’Italia?
Oggi meno, ma diciamo di sì. A Londra conosco tantissimi musicisti di diverse nazionalità, con cui spesso collaboro per dare un valore aggiunto alle mie canzoni, per questo ho sempre cantato in inglese. Tuttavia non ho mai cercato di fingere ciò che non sono: quando suono all’estero non cerco di imitare Lorde o chi per lei, ma porto l’Italia, la Colombia, le mie origini svizzere. Credo che per fare musica, soprattutto all’estero, sia fondamentale seguire un progetto e un’identità ben precisa, ed è venuto il momento per me di crescere, lavorando proprio su questo.
Si sente spesso dire che in Italia sia più difficile per una ragazza affermarsi, anche nella musica.
Purtroppo rimaniamo un Paese piuttosto maschilista, e per una donna è ancora difficile emergere, in tutti i campi. Conosco artiste talentuosissime, che scrivono canzoni di successo ma che non riescono ad ottenere il riconoscimento che meritano. A volte poi capita che l’aspetto fisico venga messo davanti alla musica, è fastidioso ma non si può far finta che non succeda. Bisognerebbe guardare prima la musica, perché se sei solo una bella fighetta ma mancano i contenuti poi crolli.
Tutte le date del tour estivo di Joan Thiele:
30-06-2018 APECCHIO (PU) – Portico del Palazzo Rinascimentale
06-07-2018 CREMONA – Tanta Robba Festival
12-07-2018 OLGIATE OLONA (VA) – Idea Village Resort – Zero Summer Club
13-07-2018 AREZZO – Mengo Music Festival
16-07-2018 SENIGALLIA (AN) – Deejay X Masters
19-07-2018 VIALFRE’ (TO) – Apolide Festival
20-07-2018 REGGIO EMILIA – Piazza
21-07-2018 MANTOVA – Arci Festa @ Piazza Te
11-08-2018 BUDAPEST (UNGHERIA) – SZIGET Festival
18-08-2018 SANT’ELPIDIO A MARE (FM) – May Day Festival
25-08-2018 CIVITELLA DEL TRONTO (TE) – Paesaggi Sonori @ Fortezza Flavia
02-09-2018 TREVISO – Home Festival
05-09-2018 PADOVA – Rise Festival
08-09-2018 MILANO – Big Up ! @ Mare Culturale Urbano