La prima volta che John Illsley, bassista dei Dire Straits, ha visto Mark Knopfler, stava dormendo sdraiato sul pavimento della cucina della casa che condivideva con il fratello David Knopfler a Deptford, un quartiere popolare alla periferia sudest di Londra, in mezzo a qualche bottiglia di Newcastle Brown vuota. «Gli ho detto: ho sentito un sacco di cose su di te. Poi ha preso la Gibson. Aveva un suono po’ country un po’ rock, ma fresco e originale. Non avevo mai visto nessuno suonare la chitarra così».
John Illsey è arrivato a Londra da Market Harborough una cittadina del Leicestershire inseguendo il richiamo della radio, che alla fine degli anni ’50 trasmetteva Lonnie Donegan, lo skiffle e il suono metallico della chitarra di Hank Marvin degli Shadows. «Market Harborough è il posto più lontano dal mare in tutta l’Inghilterra», racconta John Illsley, oggi un elegante signore di 72 anni, in collegamento dalla sua casa in campagna nell’Hampshire. «La musica pop e rock riempiva il vuoto di una generazione troppo timida per esprimere sé stessa».
Dopo quell’incontro, Illsley è rimasto con il suo basso a fianco di Mark Knopfler dal primo concerto nel 1977 durante un festival punk di fronte ai palazzi di Farrer House a Deptford (con Pick Withers alla batteria) quando ancora si chiamavano Café Racers, fino all’ultima data del tour mondiale dei Dire Straits, il 9 ottobre 1993 a Saragozza in Spagna. Nessuno conosce Mark Knopfler meglio di lui: «Era un tipo riservato e dovevi girare le pagine per leggerlo. Non diceva. Dovevi essere tu a chiedere e quando lo facevi stava in silenzio riflettendo bene prima di rispondere. Era un pensatore profondo ma con una riserva di umorismo pronta a deflagrare in qualsiasi momento».
John Illsey ha raccontato nella biografia La mia vita nei Dire Straits la sua amicizia con uno dei più grandi chitarristi della sua generazione e l’avventura che lo ha portato dai pub e dai circoli dei lavoratori di Londra al Madison Square Garden di New York e al palco del Live Aid. Un libro ironico, schietto e divertente in cui con la profondità di pensiero di chi ha vissuto una vita reale prima di entrare in quella del musicista, Illsley racconta i momenti esaltanti e surreali della vita di un gruppo di ragazzi che pensava solo alla qualità del suono, alla tecnica musicale e alla fede purista nel rock’n’roll, nel folk e nel blues e si è ritrovato ad essere una della band più famose del mondo, illuminata dal talento del suo membro più silenzioso e imperscrutabile.
«Riesci ad immaginare cosa ho provato quando Mark mi ha suonato per la prima volta Romeo and Juliet?», chiede Illsley. «La band aveva una chiara percezione di quello che era il proprio destino: tirare fuori il meglio dalle canzoni che Mark scriveva. Musicalmente eravamo molto forti, e questo ci ha permesso di gestire le conseguenze del successo».
I Dire Straits hanno venduto oltre cento milioni di copie con sei album pubblicati tra il 1978 e il 1991 (Brothers in Arms del 1985 ne ha vendute da solo 30 milioni ed è stato il primo album pubblicato in CD a superare il milione di copie), sono stati introdotti nella Rock and Roll Hall of Fame nel 2018 e hanno vinto quattro Grammy Awards, dominando le classifiche americane e inglesi per tutti gli anni ’80 e sciogliendosi al massimo del successo quando hanno capito che la popolarità aveva preso il sopravvento sulla musica.
In tutto il libro, John Illsey ripete la stessa cosa che Mark Knopfler scrive nella prefazione: «Non eravamo dei ragazzini, eravamo più vicini ai 30 anni che ai 20, altrimenti non credo che con quel livello di pressione ed esposizione mediatica che abbiamo avuto adesso sarei qui». Il punto è che il successo è arrivato subito: nel luglio del 1977 i Dire Straits registrano ai Pathway Studios di Londra il demo di un pezzo che Mark Knopfler ha scritto dopo aver visto un gruppo jazz suonare davanti a poche decine di persone in un pub desolato di Deptford, ricordando gli anni in cui insegnava in un college dell’Essex e scriveva per il Yorkshire Evening Post e la sera suonava con la sua prima band, i Brewers Droop. Il pezzo si intitola Sultans of Swing, esce il 19 maggio 1978 e vola al numero quattro in classifica in America e al numero otto in Inghilterra. «Siamo stati catapultati fuori da Deptford. Eravamo in pieno volo e la velocità non diminuiva mai».
Sorprende da sempre il livello tecnico, l’eleganza e l’intenzione artistica che i Dire Straits hanno mantenuto in modo costante lungo tutta la loro carriera. «Quei primi momenti musicali insieme hanno formato lo stile della band. Abbiamo portato avanti un certo modo di suonare, anche se gli album sono diversi l’uno dall’altro. I Dire Straits hanno un suono unico, definito e riconoscibile. Credo sia una cosa importante se davvero vuoi passare la vita sul palco a suonare qualcosa che la gente possa ricordare», dice Illsley. «Amavamo quello che facevamo e questo ci ha fatto andare avanti in quello che si può definire un paesaggio che cambia continuamente. La fama non è attraente, ma il successo è stato divertente. Il resto non è interessante, la musica è sempre la cosa più importante».
Da quando i Dire Straits si sono sciolti nel 1995, Mark Knopfler ha fatto nove album solisti, ha formato un band country (i Notting Hillbillies), ha suonato con Bob Dylan, Paul McCartney ed Eric Clapton, ha aperto gli studi analogici British Grove Studios a Londra dove hanno registrato David Gilmour, gli Who e i Rolling Stones e continua ad andare in tour in tutto il mondo. John Illsley invece si è dedicato alla pittura, espone i suoi quadri in diverse gallerie inglesi, ha pubblicato sette album e fondato l’ente benefico per l’infanzia Life Education, ha una casa in Provenza e si è comprato un pub vicino a casa, l’East End Arms.
Non si è mai parlato di una reunion dei Dire Straits e anche se alcuni ex membri della band (per esempio il tastierista Guy Fletcher) hanno suonato in quasi tutti gli album di Mark Knopfler, lui non lo ha fatto. Ma non è mai stato un problema. «Non ce n’è bisogno. Nelle ultime due settimane ho suonato a un festival in Germania per 3000 persone e poi in un piccolo club di Londra davanti a 100 spettatori. Mi interessa la comunicazione con il pubblico, grande o piccolo che sia. La mia amicizia con Mark è cresciuta da quando non suoniamo più insieme. Ci incontriamo, beviamo una buona bottiglia di vino e semplicemente passiamo il tempo parlando di altre cose. Ci vediamo anche stasera».