Chi sono i tuoi eroi?
Questa è facile – mio marito, John Lennon. È stata l’unica persona che è riuscita a sopportarmi. Per un uomo è difficile capire che cosa pensano le donne. La maggior parte non ascolta nemmeno. John aveva abbracciato il femminismo senza pensarci due volte. Mi chiedeva: “Puoi trovare un gruppo femminista per me?”. Persino oggi, non credo che gli uomini si ritrovino per dire: “Diventiamo femministi”.
C’è una città che preferisci?
Amo ogni città in cui sono stata, ma Liverpool è grandiosa. John e io ci passavamo per andare a salutare i parenti. La gente lì ha uno spirito molto forte, soprattutto le donne. Non direi che sono working-class – non credo apprezzerebbero questa definizione – ma hanno le qualità della working class: sono forti e saggi.
Che uso credi avrebbe fatto John dei social media?
John sentiva che qualcosa di simile ai social media sarebbe arrivato. Lui, comunque, all’epoca faceva già la stessa cosa. Quando qualcuno sosteneva qualcosa che a lui non piaceva, spediva una lettera che diceva: “Non è vero!”. Non ignorava mai quel genere di comunicazione.
Fai qualcosa per tenerti in forma?
Cammino. Camminare è un modo fantastico per rilassarsi. So che potrebbe essere pericoloso andare in giro da sola, ma è un pensiero che occupa solo un angolo della mia mente. Forse oggi sono l’unica a farlo. Pochissima gente famosa cammina ancora da sola. Il mondo è così, oggi. È triste, vero?
Qual è il miglior consiglio che hai mai ricevuto?
Non accetto consigli. Il mio background è differente, quindi per una persona è difficile darmi consigli. I miei genitori erano molto liberali ed erano felici che io avessi opinioni mie. Quello che pensano gli altri appartiene a loro, e quello che penso io appartiene soltanto a me. Ascoltare non ha senso. Fino a oggi è andata bene così.
Hai ricevuto consigli su come fare dischi in un determinato modo?
Io faccio i dischi nel mio determinato modo.
Qual era il tuo libro preferito, da piccola?
Ce n’erano due, entrambi cinesi. Uno, Sangokushi, insegna come combattere in modo attento e logico. L’altro, Saiyuki, affronta piuttosto il viaggio spirituale. Ci sono due tipi di persone: il monaco, che trova sempre il modo di risolvere una situazione, e non lo fa attraverso una battaglia. E un altro tizio, che invece è arrogante, e dice: “Io so tutto, posso volare all’altro capo del mondo in dieci secondi”. Il monaco gli risponde: “Mostrami come fai”. Il tizio parte, zoom, zoom, e arriva in capo al mondo. Lì trova cinque pilastri. Dice: “Ci scriverò sopra il mio nome”. Lo fa, torna dal monaco, e gli dice: “Sono appena stato all’altro capo del mondo”. E il monaco: “Ma davvero?”. Apre la mano e dice: “Sono questi?” e mostra i cinque pilastri. Il tizio non è andato da nessuna parte. Non è mai uscito dalle cinque dita del monaco.
Qual è il tuo ricordo più caro del tuo amico David Bowie?
Era una delle pochissime persone che amavano il mio lavoro. Penso abbia detto qualcosa di gentile sulla mia musica in Onobox (la compilation del 1992, ndr). All’epoca non interessava a nessuno, e lui è stato coraggioso a dire qualcosa.
Che libri stai leggendo in questo momento?
Di solito leggo tre libri alla volta. Uno di questi è Le sette leggi spirituali del successo (di Deepak Chopra). Finge di parlare dell’avere successo, in modo che la gente dica: “Lo devo leggere!”. In realtà prende una posizione molto valida su come si può avere successo dal punto di vista spirituale. Amo i libri stampati. Non riesco ancora a separarmene.
Hai mai pensato di scrivere un memoir?
No. Sarebbe una cosa molto rischiosa. Non voglio scrivere qualcosa che possa far star male le persone, anche se alcune forse si sono comportate male per davvero. Penso ai loro figli e alle loro mogli, e non voglio ferire nessuno. Quindi credo che il mio libro alla fine sarebbe un po’… noioso! (Ride).
Qual è l’aspetto migliore del successo?
Beh, non lo so, perché non l’ho ancora ottenuto. Non stiamo raggiungendo la pace nel mondo.
Sono passati più di 50 anni da quando hai incontrato John per la prima volta, quel giorno in cui lui ha visitato la tua mostra a Londra. Avevi creato un cannocchiale, dentro cui lui ha guardato, che diceva: “Sì”. Che cosa significa quell’opera per te, oggi?
A quell’epoca la mia vita era molto difficile. Io dicevo: “Bene, voglio che cambi”, e quella era un’indicazione che diceva “sì”, invece che “no”. E mi ha salvato.