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Keith Richards: «Forse il prossimo tour negli stadi americani sarà l’ultimo»

Il chitarrista degli Stones ci ha parlato di quali canzoni vuole suonare, della magia di Charlie Watts e del primo album originale da "A Bigger Bang" del 2005

Dopo 57 anni di band, la prossima primavera i Rolling Stones suoneranno davanti alle folle degli stadi d’America, cioè la nazione che la band definisce «il nostro terreno di caccia originaleı». Keith Richards sembra visibilmente commosso da ciò. «Non ci sono davvero parole per descriverlo» risponde a Rolling Stone dopo che gli è stato chiesto cosa avrebbe pensato il Keith ventenne di un tour negli stadi nella nazione dove hanno suonato nel ’64 per la prima volta. «È semplicemente bellissimo. Non mi sarei mai aspettato di arrivare a livello di Louis Armstrong, mi spiego?»

L’ultima parte del No Filter tour, che partirà il 20 aprile all’Hard Rock Stadium di Miami, segnerà i primi live americani dallo Zip Code del 2015. I biglietti saranno in vendita domani, 30 ottobre.

Cosa hai fatto di recente?
Ultimamente, ehm, non molto. Mick e io un mesetto fa ci siamo visti in studio per qualche giorno, solo per suonicchiare. A parte quello, potrebbe esserci un’altra sessione in studio a dicembre ma non ci spero molto.

Com’è stata la sessione com Mick?
Ah, ottima. Abbiamo buttato giù qualche canzone con [il produttore] Don Was. Stiamo lavorando alle cose in corsa. Ci siamo divertiti, ne abbiamo cavato fuori qualcosa di buono.

Sai più o meno quando uscirà il disco?
Oh man, proprio no. Andrei per step. Se dovessi darti un periodo direi che finiamo questo tour, quindi forse l’anno prossimo. Ma sottolineo il forse. Sembra una previsione ragionevole.

Puoi descriverci un po’ il suono?
No, non posso descriverlo, lo sai bene. Sono chitarre, basso e batteria.

C’ero a Dublino, alla serata d’apertura della seconda parte del tour. Com’è stata quella tranche di tour?
Mi ricordo quel concerto, era una notte molto fredda, ma il pubblico era caldo [ride]. Credo che sia uno dei motivi per cui abbiamo aggiunto un’altra parte di tour. Perché lo scorso ci è piaciuto, ed era prevalentemente in Gran Bretagna. Ma poi è finito e ci siamo guardati tutti dicendo: “No, qua dobbiamo continuare!” In un certo senso è per quello che abbiamo deciso di suonare negli States, dove non suoniamo da un po’. Tra l’altro è stato uno dei nostri primi terreni di caccia.

Come si decide di fare un tour? C’è una riunione per cui vi beccate tutti in una stanza oppure sono solo email e telefonate?
In realtà l’idea è arrivata alla fine dell’ultimo tour. E oltretutto nella maniera più semplice possibile, cioè “Oh, ne facciamo un altro? E dove?” A volte sembra tutto così a casaccio, per come le cose succedono. Ma in un certo senso è come se esistesse un orologio interiore degli Stones che li tiene sempre sincronizzati, come band e come individui. Dopotutto, quando inizierà il tour saranno nove mesi che saremo in pausa. In più ci sarà un lungo periodo di prove, di cui abbiamo bisogno- Non puoi star fermo per nove mesi e poi saltare sul palco e sperare che le cose funzionino. Bisogna lavorare molto prima.

Che bisogno c’è di provare, dopo decenni a suonare insieme?
Posso capire la domanda, sulle prime. Ma se non suoniamo tutto il tempo, è necessario vederci tutti e strimpellare insieme. È come tirare fuori dal garage una bella macchina che è rimasta ferma per nove mesi. C’è bisogno di darle una sgranchita. E poi fare le prove è divertente. È proprio il momento in cui puoi dire “No aspetta, proviamo di nuovo questo o proviamo in quest’altro modo”. È lì che prendono forma i concerti veri e propri. Sai, la scaletta, come inizierai il concerto, eccetera. Viene tutto dalle prove.

Quali sono le differenze più grandi fra l’andare in tour negli USA oggi e la prima volta che siete venuti qua?
La differenza è che la prima volta giravamo in station wagon. L’America era un posto completamente diverso a metà anni Sessanta. Onestamente, non posso credere di essere in giro da così tanto tempo. Ho visto questa nazione crescere. La conosco meglio di tanti americani, perché sono più vecchio!

E come la vedi oggi?
Oggi? Non parlerò di questo perché non ne vale la pena. Sappiamo tutti com’è oggi. Che Dio vi aiuti. [ride]

Cosa ti piace del suonare negli stadi? Sono meglio delle arene?
Mi piace il mix delle due cose. Adoro gli stadi quando fa bello e il clima è perfetto. Quando non c’è troppo vento perché sei pur sempre nelle mani di Dio. Ma mi piace anche suonare nei posti al chiuso, in un ambiente controllato. Ma allo stesso tempo fuori corri dei rischi. Potrebbe venire giù il diluvio.

Personalmente, cosa ti dà suonare dal vivo? Cosa ti spinge ancora a farlo?
Ci si arrangia per vivere [ride]. Ehm, è quello che faccio io, è il mio lavoro. Dammi 50mila persone e mi sento a casa. E così anche la band. Come spesso diciamo io e Ronnie prima di iniziare, “Saliamo sul palco e troviamo un po’ di pace e tranquillità.”

È incredibile, vedi nel bluse una forma di arte che può continuare a sopravvivere anche nelle future generazioni?
Certo, sento tanti nuovi artisti blues. È un genere vivissimo e che spacca ancora. Molti artisti fighi. Non ricordo i loro nomi, ma ho sentito davvero molte ottime band piccoline. Ed è una parte essenziale.



Il nuovo disco di Gary Clark Jr è incredibile.
Sì? Sì man, lo adoro.

Quindi è ancora il No Filter tour ma voi ricomincerete a provare. Sembra quasi che sarà un concerto completamente diverso dal precedente.
Sì, sono ordini diversi. Dovremo provare differenti cose. Mick ogni tanto ha delle idee diverse su come organizzare le cose sul palco, quindi dobbiamo metterci lì e capire. Ma solo quando avremo la band al top e le strumentazioni al top ad aprile.

Quasi ogni sera dell’ultimo tout suonavate Like A Rolling Stone: cosa vi ha spinto a farlo?
È stata una sensazione bellissima. Mick si è divertito molto, specialmente con l’arpa alla fine, che estende un po’ la durata del pezzo. È una canzone molto bella. Giù il cappello per Bob Dylan, che è uno dei migliori.

In Europa avete suonato anche She’s a Rainbow, un pezzo che non avete mai suonato tantissimo.
Lo so, è strano suonarla. Perché quella canzone è come una scatola di dischi. Parla di un’epoca ben precisa, ma alla fine è stata una buona idea suonarla. In più [l’organista] Nicky Hopkins l’ha resa così speciale.

Avete suonato anche Sweet Virginia a e Dead Flowers. Cosa vorreste suonare stavolta?
Un pezzo che che volevo già suonare l’altra volta, ma che alla fine non è finito in scaletta, era Cry To Me, un vecchio pezzo di Solomon Bourke che qualche volta abbiamo suonato. Voglio provare a vedere come va nello stadio.

Il video di te e Solomon mentre fate Everybody Needs Somebody To Love nel Licks tour è incredibile. Vi vedete ancora a suonare nei teatri in futuro?
Non lo so. Prendo davvero un tour alla volta. Non ho ancora niente di pianificato. Ma mi piacerebbe. Adoro suonare nei teatri, è come il paradiso.

Suonare la batteria è molto fisico e Charlie Watts ha 77 anni. Come ci riesce?
Il ragazzo ha i suoi segreti [ride]. Penso che il segreto comunque sia lui stesso. Non penso faccia qualcosa in particolare. È semplicemente Charlie. Ecco cosa è incredibile di lui. È un privilegio per me suonare con Charlie Watts.

Ti capita mai di stare sveglio con Charlie e parlare all’hotel?
No, Charlie si tiene molto sulle sue quanto siamo on the road. E di solito, quando torniamo da un concerto, siamo tutti belli sfiniti. Ma se andiamo al bar o roba simile, lui c’è sempre. Ogni tanto organizziamo cene. Ma altrimenti lui se ne sta in impostazione “lavoro” quando siamo in tour.

E tu e Mick? Avete passato qualche bel momento nel recente tour?
Sì. Ma una volta in tour, ognuno se ne sta abbastanza sulle sue. Ci sono un paio di sere in cui esci insieme e un paio in cui no. Non ci troviamo tutti in una stanza a suonare o a essere i RollinG Stones, o cose così. È un evento molto professionale.

Nell’ultimo anno ci sono stati molti tour di addio. Che ne pensi? Rod Stewart ha detto che il tour di tre anni di Elton John era “disonesto” e “puzza di biglietti venduti”.
Beh, puoi vederla in altro modo. Se lo credi, forse è così. Ma non ho mai avuto l’occasione di pensarci abbastanza sopra. Non so se lo farò mai. Magari questo è il nostro ultimo. Non lo so.

Come ti prepari fisicamente a un tour?
Mi alzo alla mattina [ride].

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