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Ketama126: «Potevo essere un tossico morto, invece sono un tossico ricco»

Nel nuovo album 'Kety' il rapper romano racconta la sua vita al limite e mischia l’immaginario hip hop con quello rock

“Potevo essere un tossico morto, invece sono un tossico ricco. A 40 anni squaglio il disco d’oro, ma non è mica detto che ci arrivo”. È una frase contenuta in Kety, il nuovo disco di Ketama126. È una delle iperboli alle quali Ketama ci ha abituati e che lo accomuna a una tradizione più rock che rap. «In ‘sto mondo è difficile trovare qualcuno che non sia tossico di qualcosa», racconta stravaccato su un divano, esausto, non si sa se per la vita di eccessi o per l’infinita serie di interviste che sta concedendo. «Non parlo ovviamente solo di canne, ma anche di altri tipi di sostanze, farmaci compresi. Chiaramente, poi, esaspero il concetto. Faccio un genere che può essere trap e può essere rock. La cosa che li accomuna è lo stile di vita eccessivo. Se non avessi questo stile di vita, avrei fatto un altro genere di musica».

Da quando la LoveGang, la crew romana di cui fa parte, è diventata qualcosa di cui discutere sui forum rap e sulla pagine Instagram, Ketama è arrivato al terzo disco. Il primo (Oh Madonna) era decisamente trap; il secondo (Rehab) lo ha lanciato come la rockstar dell’808; Kety si rifà a un immaginario da garage band di Seattle, con echi di jazz sporco. «Anche in questo disco, nella traccia con Generic Animal, c’è mio padre che suona il sax, mi sembrava il mood giusto. Ho scritto di getto, senza pensarci su, semplicemente mettendo giù ciò che la base mi ispirava», proprio come un musicista jazz, o un lamento spontaneo di chi vive al limite e non sa se arriverà a 40 anni.

Il capello lungo, nascosto sovente da un bucket cap – il cappello da pescatore portato in auge nel rap da Schoolboy Q – lo allontana nel look sia dai colleghi giovani come Massimo Pericolo, che collabora al brano Scacciacani, sia dai veterani come Noyz Narcos. La forza di Ketama arriva dalla sua città di origine, Roma, che negli ultimi anni ci ha abituati a divagazioni dal rap classico, ma che ha una tradizione dura e pura di quello che in gergo viene definito boom bap. «Con Noyz abbiamo in comune il modo di parlare di determinate cose, abbiamo fatto esperienze simili e frequentato più o meno le stesse persone, ma lui è rap, io canto, ho l’Autotune».

Di rap classico Ketama ha poco o nulla: le metriche e le melodie sono diverse da ciò che è di tendenza oggi. Ketama non è diventato crudo con il successo, lo è dalle origini, da quando su Ketam City diceva di non avere problemi a mettere la mano nella Bocca della Verità, perché ci aveva già infilato il cazzo, “e lei me l’ha succhiato”.

Kety sarà probabilmente la consacrazione definitiva di un artista che è ormai capostipite di un genere quasi esclusivamente romano – dai ben più puliti Tauro Boys ai giovanissimi Psicologi – che mischia rock da MTV e il rap odierno. Per tutto il disco Ketama si autoflagella, dandosi del tossico o ripromettendosi di essere più forte, per poi schivare colpi di arma da fuoco e altro (Spara, Scacciacani) e usare un gergo che ne rivela l’estrazione sociale (Squame con Noyz Narcos).

Ai tempi di Rehab, il disco che lo ha consacrato, Ketama cantava “lei mi trova carino, ma non sa che faccio schifo”. Ora Ketama è libero di fare schifo, senza badare al giudizio altrui. Perché alla peggio, anziché appenderlo in casa, squaglierà il disco d’oro che gli invierà la FIMI.

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