A luglio di quest’anno, quasi 14 anni dopo la pubblicazione, il primo mixtape di Kid Cudi è arrivato sulle principali piattaforme di streaming. «È un bel ricordo per la gente e una celebrazione di ciò che Pat Plain, Emile, Dot Da Genius ed io abbiamo fatto agli esordi», ci dice Cudi al telefono. «Avevamo in mente di fare qualcosa di importante, volevamo sovvertire le regole, cambiare il modo in cui ci si approccia al fare musica. E ce l’abbiamo fatta».
Quando gli parlo, Kid Cudi sta per pubblicare il decimo album in studio Entergalactic, poi uscito il 30 settembre. Il progetto segna un momento di grandissima crescita personale. A 38 anni il rapper, vero nome Scott Mescudi, sembra avere raggiunto una serenità pressoché mistica. «Mai avrei immaginato di fare tanti album. Mi sento fortunatissimo a poter fare tutte queste cose, in questa fase della mia carriera».
«È uno di quei casi in cui sono riuscito a crescere restando al passo coi tempi e restando me stesso. Ed è una forma d’arte già questa, perché abbiamo visto cosa è accaduto ad altri artisti. Alcuni non reggono il passare del tempo. Quindi, quando mi vedi fare pezzi come Ghost! da Man on the Moon II e i ragazzi impazziscono sentendolo, come se fosse appena uscito, capisci che tutto ciò significa qualcosa. È una sensazione potentissima».
Nel miglior stile iconoclasta di Cudi, Entergalactic è molto più di un disco in studio. Lui dice di avere concepito il progetto come un’antologia, il racconto di storie che si svolgono in un dato mondo coi suoi personaggi. L’idea è diventata la base di una serie animata di Netflix che racconta le vicende di Jabari, un giovane scapolo impenitente che suo malgrado viene travolto dall’amore. «Sono state le canzoni a ispirare la serie».
Le canzoni di Kid Cudi hanno sempre avuto a che fare con emozione e passione. Il rapper ha affrontato con coraggio temi legati alla sofferenza personale prima che l’espressione salute mentale fosse di tendenza. La sua capacità di giostrarsi così bene in brani che parlano di depressione, amore ed euforia l’hanno fatto diventare uno dei nomi di puta della sua generazione in campo musicale, oltre che una figura di spicco nella cultura pop. La sua carriera da attore, dal ruolo di Domingo in How to Make It in America (HBO) alla sua prova più recente nello slasher movie Pearl, colpisce ancora di più se si considera che, nello stesso lasso di tempo, ha trovato il tempo per incidere dieci album.
«Spero che porti un po’ d’amore nelle vite delle persone. Che le faccia sentire bene», dice Cudi a proposito del nuovo disco. «Spero che la gente lo ascolti con il proprio partner o con chi ama e se lo goda, entrando in connessione con la musica».
Pensi che nella musica che fai oggigiorno siano rimaste tracce del tuo primo mixtape?
Certamente, in canzoni come Pillow Talk o Whenever. Sono io nei panni del ragazzo innamorato. Mi sentivo nuovamente come un teenager alle prese con l’amore e ho tentato di trovare una nuova dimensione come artista.
Parliamo del processo che ha portato all’album e a come ha dato origine alla serie.
Il disco è stato registrato in maniera classica. Non ho lavorato seguendo una sceneggiatura, non stavo creando una colonna sonora. Immaginavo mentalmente la storia, ma mi sono approcciato a quest’album come a tutti gli altri. Poi da lì, una volta che avevo la musica, ho potuto iniziare a scrivere la storia con i miei collaboratori, dando loro tutte le informazioni.
Cosa ti ha ispirato a fare il passo verso l’universo dell’animazione? Avevi altre cose da raccontare?
Ero stufo di fare dischi, m’era venuto a noia fare un album, girare un paio di video e stop. Non ne potevo più di fare sempre la stessa cosa. Così mi sono detto che se avessi inciso un altro album avrebbe dovuto essere entusiasmante, diverso da qualunque cosa mai fatta prima. Quindi mi è venuta l’idea di questo musical animato e, da quel momento, tutti i pezzi sono andati al loro posto. Kenya [Barris] è stato il primo a suggerirmi l’idea dell’animazione, dicendomi che Netflix cercava prodotti del genere. Inizialmente Entergalactic doveva essere una serie antologica, con un solo episodio d’animazione. Ho sviluppato quel singolo episodio e l’ho trasformato in una lunga storia in più puntate. Non so, magari un giorno anche il progetto della serie antologica si realizzerà. È ancora un’ottima idea.
Come ti è venuto in mente il tema della storia, il concetto che “l’amore ti trova”?
Sentivo che la gente doveva capire questo messaggio. La semplicità dell’amore prima o poi ci trova tutti. Ci guarisce tutti. Ci salva. Ma ci ferisce anche. Sono tutte cose vere, ma l’amore è anche ciò che fa girare il mondo ed è la risposta definitiva a tutto: alla vera pace e alla vera felicità. Volevo creare uno show incentrato su questo concetto. Ci sono due persone che non sono in cerca dell’amore, ma l’amore le trova. C’è qualcosa di magico in tutto ciò. Ho pensato che sarebbe stata una grande idea, per una serie tv, mostrare che, anche nel mondo moderno, la forza dell’amore si sprigiona quando due persone meravigliose si incontrano. È elettrico. È magnetico.
Hai detto che la maggior parte del disco è stata incisa nel 2019 e ora sei pronto per pubblicarlo. Come è rimasta viva l’idea di base del progetto, nella tua mente, nel frattempo?
Amico, subito dopo ho iniziato a lavorare a Man on the Moon III e grazie al disco, che mi ha fatto comprendere bene l’amore e i miei desideri, mi sono sentito più forte. Perché a ogni album che fai, in un certo senso, cresci e diventi una persona migliore. Con ogni disco ho imparato molto di me e credo, con Entergalactic, di avere capito di essere pronto a essere amato e a dare amore, a essere presente. Questa è la dimensione mentale in cui mi trovavo mentre lo registravo. A livello personale ero ormai nella fase in cui sai di non essere più giovane e capisci di volere altre cose. Questo mi ha dato l’opportunità di parlare d’amore da una prospettiva più matura.
Hai detto che da ogni album impari qualcosa di nuovo. C’è qualche insegnamento che ti sembra più importante degli altri?
Penso che la cosa più importante che ho appreso sia che sono davvero più forte di quanto io creda.
A volte ti butti giù e sembra tutto terribile, senza via d’uscita. Mi sono sentito così un milione di volte, cazzo, ma ce l’ho sempre fatta. Sempre. Ogni cazzo di volta. Ed è per merito di Dio. Dei miei angeli. So che lassù ci sono tante persone buone che mi proteggono. Queste sono le cose che ho imparato nel corso degli anni: che ho una forza superiore che mi tiene d’occhio, lassù. Io sono qui. Questo è il mio destino. E non andrò da nessuna parte. Non mi farò saltare il cervello. Non sarò confuso o arrabbiato per il resto della mia vita, non mi sentirò triste o giù. Non è questo il mio destino. Il mio destino è essere sempre più forte.
Nel nuovo disco c’è un brano che ti suscita queste emozioni?
Sicuramente è Willing to Trust. Sì, Willing to Trust. Lì sono più sexy che mai. Sono molto fiero di quella canzone. Poi Ty [Dolla $ign] è un artista incredibile e per me significa molto averlo ospite in due pezzi del disco. È proprio una gran persona e siamo diventati immediatamente amici, ci siamo subito intesi. L’ho anche coinvolto nello show: stavo pensando ai personaggi e a tutte le diverse energie in gioco. Non avevo mai visto recitare Ty, ma conoscendolo sapevo che è pieno di talento. E mi sono detto: secondo me sarebbe fantastico qui dentro. Così ho detto a Netflix: «Guardate, lui è quello giusto. Non voglio prendere in considerazione nessun altro. Lui è il nostro uomo». È bellissimo averlo nel disco e ancora più bello averlo nello show. È un grande punto di forza. E credo che in tanti ameranno il suo personaggio.
Hai recitato fin dall’inizio della tua carriera musicale. Ci sono punti di contatto nel modo in cui ti approcci alle due cose?
Recitare è meno stressante, perché hai una piccola parte in quella che è la visione complessiva di qualcun altro. Con la musica è diverso, perché mi assorbe totalmente. Penso a ogni singola tessera del puzzle. Invece quando recito posso fare un passo indietro, quindi è una situazione meno pressante, anche se dipende dai ruoli: alcuni sono più duri di altri. Ad esempio è stato bello impegnativo fare We Are Who We Are. Ma ho recitato in commedie, cose leggere, facendo il pagliaccio e divertendomi senza stress.
Entrando in questa nuova fase della tua carriera, come ti vedi nei prossimi dieci anni?
Farò tutto ciò che voglio. Qualunque cosa. Ed esplorerò sempre di più tutto ciò che potrò. È questo il senso, perché tutto è possibile. Tutto. Penso che la gente ormai si sia fatta un’idea di me, crede di avere visto tutto. Sanno che sono un musicista e che recito, ma dicono: ok, non si possono far bene più di due cose. Ma sappiatelo: io farò bene cinque cose. Sei. Sette. Attingerò a tutte le risorse della mia anima per fare tutto ciò che ho sempre sognato. Ecco come mi vedo nei prossimi dieci anni e fino a quando non sarò vecchio e ingrigito. Magari farò meno cose con la musica e mi concentrerò più sul design e la scrittura di film e serie tv, chi lo sa. Ho sempre desiderato recitare di più perché lo trovo appagante e non ho avuto molte opportunità di farlo. Mi sento ancora uno nuovo in quel mondo, c’è tanto da fare.
Tradotto da Rolling Stone US.