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Komponent, in equilibrio tra i Marlene Kuntz e l’elettronica berlinese

Davide Arneodo, il tastierista della band, racconta il nuovo EP del progetto in collaborazione con Shramm, il batterista di Apparat. «È musica per chi ha voglia di guardarsi dentro e riflettere»


Foto press

Esiste un punto d’incontro ideale tra i suoni dei Marlene Kuntz e l’elettronica berlinese? Sembra una domanda strana, considerando la distanza che separa il mondo dei cuneesi da quello dei sintetizzatori, eppure una risposta c’è. È Komponent, il progetto nato dalla collaborazione tra Perdurabo – l’alias “elettronico” del tastierista della band Davide Arneodo – e Shramm, cioè Jörg Wähner, batterista e storico collaboratore di Apparat.

Komponent è un progetto eclettico in cui l’elettronica si intreccia con il rock, la classica e il jazz, influenzato dalla cultura di Berlino e dall’estetica della DDR. A tre anni dal mini album d’esordio, esce oggi Komponent (Unreleased), un EP con tre brani nati durante una session del 2013 e rielaborati durante il lockdown. Ne abbiamo parlato con Perdurabo, che ci ha raccontato la genesi del progetto, la storia della sua amicizia con Shramm e perché questa musica è il «perfetto punto d’equilibrio» tra il mondo sonoro dei Marlene e quello dell’elettronica.

Com’è nato il progetto? Come hai conosciuto Jörg?
Era il 3 Novembre del 2011 e Apparat (Band) suonava al Teatro Carignano di Torino per Club to Club. Conoscevo il nome e un paio di pezzi, avevo anche acquistato l’album di Moderat l’anno prima, ma guardavo a quel mondo ancora con diffidenza, non ne capivo l’essenza. Essendo in quel periodo a Torino per delle produzioni con il Teatro Stabile, di cui una proprio al Teatro Carignano, decisi di andare. Con me c’erano i Marlene e mi ricordo di aver incontrato Samuel e Max dei Subsonica – c’era fermento quella sera, un contesto magico, e si percepiva una certa attesa per quel live. Il concerto è stato sopra ogni aspettativa, un viaggio incredibile, difficile trovare le parole giuste per descriverlo…è come se avessi visto per la prima volta in modalità “milioni di colori”, una vera rivelazione e ancora non sapevo che mi avrebbe cambiato la vita per sempre.

Al termine del concerto andai nei camerini per conoscere la band e complimentarmi. Appena entrato ricordo di aver parlato con Sascha, persona splendida e di un’umiltà rara e quando mi girai vidi Jörg seduto in un angolo che mi disse “nice haircut dude” e da lì partì un gioco sul taglio di capelli che dura ancora oggi (quando ci vediamo o ci sentiamo su FaceTime la conversazione inizia spesso con un “nice haircut dude” ahah). Scherzando gli dissi che anche il suo non era male e così mi invitò a tagliarmi i capelli dal suo parrucchiere a Kreuzberg.

Passò più di un anno, ma rimanemmo in contatto e durante una pausa dalle nostre band decidemmo di lavorare a nuova musica insieme a Berlino. Mi organizzai, prenotai una camera e partii. Al mio arrivo Jörg venne a prendermi all’aeroporto di Tegel e mi chiese dove doveva portarmi, così gli diedi l’indirizzo – man mano che ci avvicinavamo era sempre più silenzioso e quando arrivammo davanti alla porta di ingresso si mise a ridere e mi disse che non ci poteva credere: in tutta Berlino ero riuscito a trovare una camera esattamente sopra al suo parrucchiere. Lì iniziai a capire che non erano solo coincidenze.

Quali sono le influenze principali della musica e dell’estetica di Komponent?
Komponent ha una fortissima componente estetica, che diventa poi parte della creazione stessa. Ho scelto quel nome perché all’inizio pensavamo di creare un collettivo in cui ognuno era un componente. Faccio una piccola digressione raccontandoti di un’altra coincidenza incredibile. Durante la seconda sessione dovevo lasciare la mia camera e quello stesso giorno tramite una serie di connessioni mi trovai a pranzo con Anna, una ragazza che mi propose di andare ad abitare con lei perché aveva una stanza libera e mi disse che un ragazzo che conosceva stava registrando l’album con la sua band al Funkhaus e che avrei dovuto assolutamente conoscerlo: lui era Roman Rappak dei Breton. Presi un taxi e andai quella notte stessa a incontrarlo – ascoltammo provini di Komponent fino all’alba. In un solo giorno trovai casa, il cantante e lo studio di registrazione. 

Per tornare alla tua domanda, le influenze sono molteplici e sono principalmente divise in tre sfere: il rock, la musica classica, la melodia e un certo modo di concepire la musica che provengono dal mio mondo. L’elettronica, il jazz, il ritmo e la rigorosità che sono tipiche di Jörg. E Berlino, Pankow, l’estetica DDR del Funkhaus in cui la musica è stata creata prima e riorganizzata e prodotta poi. Ci entrano chiaramente anche tutto il mio bagaglio di esperienza con i Marlene Kuntz (proprio tra una sessione e l’altra di Komponent ero dovuto tornare in Italia per iniziare le registrazioni di Nella tua Luce), il mondo elettronico di Apparat e tutto il mondo UK a cui mi ha introdotto Roman. È un progetto complesso che si sta sviluppando e sta prendendo forma negli anni e che noi stessi stiamo imparando a conoscere in tutti i suoi diversi aspetti. Per questo abbiamo deciso di far uscire queste tre tracce strumentali, per dare risalto alla musica, all’essenza di quello che abbiamo creato.

So che questi nuovi brani vengono dalle session del 2013, ma che li avete ripresi in mano durante il lockdown. Che effetto ti ha fatto riascoltarli dopo così tanto tempo e in un contesto così difficile? Come avete approcciato il lavoro?
È stato emozionante, un’emozione talmente forte che ci ha spinto a farli uscire anche se erano stati scartati dalla produzione originale. Riprendere quella musica in mano dopo otto anni è stato come fare un viaggio nel tempo: quei suoni, quelle atmosfere, quelle esperienze, tutte rivissute in un momento in cui non potevamo nemmeno uscire di casa. Komponent (Unreleased) è stato anche un pretesto per sentirci più vicini e per rafforzare un’amicizia che dura da anni e che va ben oltre la musica: il fatto di creare insieme, pur non potendoci vedere, ha avuto un effetto catartico.

Fondamentalmente i pezzi erano già strutturati anche se in una fase ancora embrionale, così Jörg ha registrato delle nuove batterie e me le ha mandate, io a mia volta ho aggiunto una spolverata del mio Moog Matriarch, un magnifico sintetizzatore semi-modulare e le ho mixate – niente di più, volevamo mantenere lo spirito originale di quelle creazioni. Certo riprodurre i pezzi ognuno nel suo studio separatamente è ben diverso che lavorare insieme all’H1 del Funkhaus, uno degli studi migliori e più belli dell’intero complesso del blocco B, mancano tutte quelle esperienze della vita reale che fanno la differenza, ma è stato comunque intenso e ci ha fatto pensare a un proseguo per Komponent.

Come si passa dai Marlene all’elettronica berlinese? Come cambia il tuo approccio, il tuo modo di scrivere e suonare, tra i due progetti?
Komponent è il perfetto punto di equilibrio tra le due realtà, è una sorta di spazio intermedio in cui ho potuto sperimentare senza pressioni e mi sono preso tutto il tempo per imparare. Non ho fatto scuole o corsi “per come diventare electronic music producer in 10 lezioni”, ma ho sperimentato, osservando, sbagliando e riprovando ancora e lo sto facendo tuttora. Perdurabo infatti, il nome dietro al quale firmo le mie produzioni elettroniche, è nato da questo primo viaggio a Berlino. Al rientro in Italia nel 2013, durante le registrazioni di Nella Tua Luce, mi sentivo talmente creativo che di mattina scrivevo quello che poi sarebbero diventati i futuri singoli di Perdurabo (e anche parte del debut album, che non ho ancora fatto uscire) e di pomeriggio andavo in studio a registrare con i Marlene.

I due mondi in qualche modo sono intrinsechi, fanno parte di me, ma Komponent è stata la prima esperienza che mi ha permesso di imparare concretamente a produrre musica elettronica. Jörg mi ha insegnato moltissimo, il suo modo di vedere la musica e di utilizzare la strumentazione mi ha aperto nuove prospettive e questo mi ha permesso di rompere i miei schemi mentali. L’approccio tra le due scritture è sostanziale: nei Marlene quasi sempre si parte da un’intuizione di Cristiano, se non già dalla canzone stessa concepita chitarra e voce, che poi, dopo averla arrangiata e suonata insieme, diventa la stesura finale della canzone – a quel punto si entra in studio e si registra la migliore delle versioni possibili.

Con Komponent invece si parte dall’estetica di un suono, da un elemento – lavoriamo moltissimo sul sound design, per poi modellarlo durante il processo e costruire la canzone attorno al mondo sonoro che l’elemento stesso ci ha suggerito. Fondamentalmente nel primo universo mi sento più musicista, nel secondo produttore. Ma anche con i Marlene in questo momento stiamo sperimentando nuove vie, soprattutto io e Riccardo e la cosa mi accende moltissimo, perché potrebbe portare a orizzonti veramente nuovi e inattesi.

Esiste un qualche tipo di affinità – tematica, di atmosfera – tra la musica dei Marlene e questo progetto? Come lo descriveresti a un fan del gruppo?
La parola che mi viene subito in mente è intensità, una parola che Cristiano ama ripetere spesso. È un’intensità vissuta e forse concepita in modo diverso, ma il concetto è lo stesso. Musica viva, profonda che può emozionare. Non pensata per il divertimento fine a se stesso, non è roba leggera per svagarsi – è musica per chi ha voglia di guardarsi dentro e riflettere, anche nella sua componente più aggressiva e tribale. Una curiosità è che proprio perché stavo lavorando ai due album in contemporanea, avevo proposto parti più elettroniche per i Marlene, che sono poi state scartate nella produzione finale, allora al mio ritorno a Berlino le ho inserite in Komponent, che è infatti costellato di riff e sintetizzatori che erano stati inizialmente concepiti per Nella Tua Luce.

Avete dedicato un brano a Pankow, un quartiere di Berlino. L’ambiente culturale della città e la sua storia hanno influenzato i suoni di Komponent?
Come dicevo prima Komponent è frutto di quel contesto sociale ed estetico. Pankow è il quartiere di Berlino in cui Jörg ha il suo studio, per cui tutto si è sviluppato in quel mondo. Ricordo il mio arrivo il primo giorno, era la fine dell’inverno ma faceva ancora terribilmente freddo, -10, -20 gradi, strade ghiacciate, estremo Berlino Nord, edifici di mattoni rossi, per farti capire vicino allo studio parte una superstrada che ti porta subito fuori città, mi sembrava la fine del mondo, bellissimo. Tutto rigorosissimo, l’estetica, le persone, è stato grande fonte di ispirazione e lezione di vita.

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