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La Carmen errante

Per portare in giro ‘Volevo fare la rockstar’, Carmen Consoli non ha scelto aerei, treni o tour bus, ma un camper. Lì dentro viaggia, dorme, fa e ascolta musica. Studia architettura e pianifica i concerti seduta attorno a un tavolo con Marina Rei e la personal manager Elena Guerriero. «Qui ricreiamo un’idea di famiglia». Abbiamo fatto con loro un pezzo di strada per capire come si sta a bordo di questa «casetta in movimento»

Voleva fare la rockstar, Carmen Consoli, e quindi viaggiare in camper, muoversi in tour in stile Almost Famous o, a dirla meglio, fare come Jimi Hendrix o la divina Janis Joplin, sentirsi il più possibile affrancata dai doveri, non essere costretta a orari troppo serrati, riposarsi anche in movimento tra una tappa e l’altra, non avere eccessiva ansia per le chiavi elettroniche che si smagnetizzano e le stanze da abbandonare in fretta e furia. Rifuggire dai troppi contatti con la pandemia ancora in corso e avere sempre con sé una specie di «casetta in movimento», così come lei stessa la chiama.

«Era il mio sogno da piccola e da un po’ di tempo ho deciso che voglio realizzare tutti i miei sogni, ho determinato questa mia posizione nel mondo finché sarò viva. Uno di questi sogni era viaggiare in camper, dormire in camper. Poi ci fermiamo dove il camper può sostare, può circolare, ci fermiamo o circoliamo, alla fine in qualche modo è anche lui a guidare noi ed è una bella esperienza. Io dormo sempre, e poi con me c’è Marina che mi fa i video e un poco mi maledice perché lei è sempre sveglia e le faccio troppa poca compagnia».

Già, perché su questo camper lungo sette metri e alto tre, scelto come negli anni ’80 da Consoli in persona su un depliant e ritirato a Trapani in vista della partenza per il tour teatrale del suo ultimo lavoro in studio, ci sono anche le altre due protagoniste di questa storia: Elena Guerriero, personal manager, tastierista e ora autista del camper su e giù per il Paese e Marina Rei, che con Carmen Consoli divide il palco in questo tour, partecipando come batterista, ma anche come cantante in due dei tre atti musicali che vanno a costruire il concerto.

Foto: Attilio Cusani. Direzione artistica: LeftLoft

Salgo sul camper delle ragazze tra una tappa e l’altra, facciamo un pezzo di strada insieme, parliamo, sballottiamo di qua e di là, mangiamo cannoli (presi apposta per l’arrivo mio e di Attilio, il fotografo), ridiamo molto nell’immediatezza di una confidenza che in uno spazio simile non si deve creare, è come già presente, attivata nell’immediato.

«Questo progetto di partire insieme per un tour è nato più di dieci anni fa, quando ci invitarono a suonare alla fiera del libro a Guadalajara in Messico», racconta Marina Rei. «C’eravamo noi e c’erano anche altri artisti italiani, ma io e Carmen eravamo da sole. Tutti chiedevano quando sarebbe arrivata la nostra band, che non arrivò mai perché non era prevista. Eravamo noi e circa 5000 messicani in un’arena, nessuno si è mosso di lì mentre ci esibivamo e il giorno dopo eravamo sulla prima pagina dei giornali: due musiciste, due donne. Così questo progetto di suonare noi due, una volta scese da quel palco, abbiamo deciso di tenerlo vivo in qualche modo e abbiamo sempre aspettato altre occasioni; quest’estate al concerto all’Arena di Verona in occasione dei 25 anni di carriera di Carmen ho suonato con lei, poi abbiamo fatto un altro live sempre in Arena in due e uno a Brindisi, ed eccomi qui».

«Lei porta le percussioni», racconta Carmen, «tu la guardi e lei suona la batteria ma poi entrano altri suoni, e tu non capisci, oltre a fare le voci, a cantare, quante arti e quanti arti abbia Marina Rei»

Non è consueto in Italia vedere nella “sola” veste di musicista un’artista e autrice come Marina Rei, come se le due cose non potessero funzionare bene insieme, come se il protagonismo naturale insito in chi scrive e canta le proprie canzoni potesse in qualche modo macchiarsi di lateralità se il musicista semplicemente suona.

«Carmen sa che io amo tanto essere anche batterista, per me questo è quindi un sogno che diventa concreto, nella musica non devono esserci limiti mai. Non capisco perché una che scrive pezzi suoi non possa anche essere una musicista che suona per altri, né io né Carmen abbiamo restrizioni di questo tipo o limiti mentali simili, oltretutto io conosco benissimo i suoi pezzi, quasi tutti dal momento in cui sono nati». E Consoli sottolinea: «Lei sa tutto, noi ci chiamiamo sempre prima di incidere i dischi, ci consigliamo, ci confrontiamo: in alcuni dischi in particolare, io le ho chiesto molte cose per il mio Elettra e lei per Musa, ci siamo scambiate molti consigli, abbiamo anche collaborato nei dischi dell’altra».

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Mentre imbocchiamo un altro tratto di autostrada, direzione Roma, mi faccio raccontare nel dettaglio il loro incontro. «Siamo figlie di due padri che hanno studiato molto lo strumento» dice Carmen «e Marina per me è stata amore a prima vista: dietro le sue canzoni ho subito visto la grande musicista che è. Eravamo a Sanremo Giovani, nel 1995, lei con Sola, io con Quello che sento e lei era un stella che brillava. Alloggiavamo nello stesso albergo ed eravamo lì tutte spaurite. La vidi che si esibiva la sera prima di me, ero nella mia stanza, ricordo che per lei sono tutti impazziti, era lì coi piedi scalzi, bella come il sole, con questi capelli. Quell’anno ci chiamavano le cantautrici perché eravamo due che si scrivevano le canzoni: eravamo piccole, ma già eravamo noi. Mi ricordo che da lì ci siamo viste spesso, ogni tanto suonavamo insieme: vedi, Marina è una alta non solo di statura, ti guarda dall’alto perché è alta non perché è altezzosa, lei sta di sopra, è preparatissima, ama suonare. Questo alla fine è il centro della questione».

Prosegue Rei: «A quel Sanremo Giovani eravamo due pesci fuor d’acqua nel sistema mediatico dei pesci grossi, ci ritrovavamo in assurde situazioni tipo servizi fotografici e tutto quello che succede lì a Sanremo, si sa. Abbiamo legato subito in questa nostra comune timidezza e nel comune nostro amore per la musica, tra noi c’è una stima incredibile, amiamo i pezzi una dell’altra, e abbiamo in comune anche la cosa che conta di più, il fatto che ci prepariamo, io studio lo strumento ogni giorno, ho lo spauracchio di mio padre (è figlia di Enzo Restuccia, batterista dell’orchestra di Ennio Morricone, e di Anna Giordano, violinista dell’orchestra sinfonica di Roma, nda) e mi voglio sempre sentire meno scarsa della volta precedente, noi due non diamo nulla per scontato”.

«Già», dice Carmen, «però c’è questo fatto che lei è alta, bona, ha gli occhi azzurri, fa otto ore di palestra al giorno e io al massimo il risveglio muscolare… come la mettiamo?».

Cerchiamo un autogrill, perché anche se sul camper i compiti sono ben divisi – alcune clip pubblicate sui social della Consoli mostrano gag e momenti divertenti tra pulizie in bagno, scelte enigmatiche del pesto e molto altro – ogni tanto ci si ferma a dormire comunque in hotel (soprattutto perché sul camper si dorme bene solo in due) e si compra qualcosa da mangiare da consumare poi all’interno guardando la tv.

«Siamo una famigliola che gira per l’Italia, qui a questo tavolino dove tra poco mangeremo ogni tanto suono la chitarra, io e Marina ripassiamo cose, ce ne inventiamo, per esempio abbiamo provato Je so’ pazzo di Pino Daniele per il live a Napoli, l’idea è stata di Marina, ha origini napoletane e devo dire un’ottima pronuncia. La sera è stato molto emozionte fare quella canzone davanti al pubblico della città, ci piaceva il fatto che ci fosse un omaggio a Pino Daniele fatto da due donne, penso sia stata una cosa nuova, ma soprattutto magica. Qua insomma noi ricreiamo l’idea di famiglia intorno a un tavolo, il luogo in cui si prendono decisioni importanti. Spesso poi è Marina che decide, lei è molto leader e spesso decide anche per me, e non solo il tipo di pesto con cui condire la pasta; le pentole le lavo io, il caffè lo fa lei, di sera io e Elena stiamo a dormire in autogrill coi camionisti oppure nelle zone camper, ma anche in hotel, scrivilo perché poi pensano che magari non ci danno l’hotel per dormire e invece siamo proprio noi che vogliamo stare in camper il più possibile. Elena è una guerriera e non solo per il suo nome, insegna una disciplina di difesa personale, mi sento pure protetta, capisci? Cosa posso volere di più? Provo una sensazione di libertà, ma mi sono scelta tutti i comfort: la tv, il letto comodo, una che guida benissimo e questo camper… lo sai che è stato il camerino di Harrison Ford quando girava l’ultimo Indiana Jones?».

Tra un rito scaramantico che non conoscevo (tipo salutare le pecore dall’autostrada se le vedi perché, pare, portano soldi) e un dettaglio romantico sulla vita da camper, Carmen spara Monkey Gone to Heaven dei Pixes ad alto volume e mi confessa che qui sopra si va avanti a playlist, in realtà soprattutto anni ’80, tutte estemporanee, «perché mi sono accorta che c’è tutto un mondo pop anni ’80 tipo i Culture Club o i Tears for Fears che devo riscoprire, visto che vengo tutta dai 90s e ho ascoltato rock e indie di quel decennio lasciando un po’ a lato certe cose». Marina ogni tanto mette Lhasa De Sela, con il suo sound tradizionale e la voce calda, e alla fine poi si finisce in un attimo dentro Suedehead di Morrissey «lo volevo sposare lui mentre le altre volevano Le Bon», poi fa partire Kool Thing dei Sonic Youth, raccontiamo di Kim Gordon ad Attilio, mentre lui scatta prima che scenda la sera, e gli mostriamo il video di Man-size di PJ Harvey, anno di grazia 1993, lui era appena nato.

Mi giro e vedo dei libri, sono volumi scolastici, libri da studenti, domando cosa ci facciano qui sopra. «Mi sono iscritta alla Facoltà di architettura qualche mese fa, voglio studiare design di interni perché voglio disegnare una sedia, un tavolo, mi piace progettare. Per il momento sto preparando l’esame di analisi, ho scoperto che studiare mi dà una chiave per leggere cose che ogni giorno vedo ma di cui non mi accorgo se non studio. Il mio insegnante di Lettere diceva che parlare un’altra lingua è come vivere un’altra vita. Siccome la matematica è una lingua che non parlavo, da cui non sono mai stata attratta e per la quale, anzi, ho sempre provato una certa repulsione, a un certo punto volevo cercare di capire perché molte persone che stimo ne sono appassionate, perché amare una cosa che mi pareva da sempre così fredda, in apparenza ostica. Ora ho capito che forse è perché la matematica ti offre diverse soluzioni per lo stesso problema e la possibilità di arrivarci in diversi modi, questa cosa crea una forma di speranza».

Anche Baglioni è architetto, lo sai?, le domando. «Sì, è un artista enorme, lo sto riascoltando tantissimo su questo camper, in mezzo agli anni ’80 e alle chitarrone». E allora le dico del testo di Amori in corso, lei rincara con Antonio Coggio, fuori fa buio, Elena guida morbida, arriva un profumo impossibile di fiori mentre l’abito di scena di Carmen, bianco, di antica fattura, oscilla appeso in fondo al camper al ritmo della strada. Io penso a Joni Mitchell che compone Hejira sulla strada, guardo Carmen nella luce che entra dai finestrini. In un attimo è buio, e resta solo la sua voce.

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