«Ho lasciato Monaco 35 anni fa e non mi manca per niente» racconta Robert Henke sorseggiando una brodaglia scura davvero poco invitante meglio conosciuta come caffè lungo. «Da allora vivo a Berlino, è quella la mia città, anche se rispetto a Venezia è l’inferno. Un delirio di rumore, traffico frenetico.» Proprio lì, molti anni fa il musicista e co-fondatore di Ableton ha conosciuto Marian Mentrup, una delle menti dietro a Corte Supernova. «Qui a Venezia, Corte Supernova ha uno spazio bellissimo dove si possono ospitare artisti, delle vere e proprie residency. In più, volevano che questo soggiorno veneziano culminasse con un’esibizione dal vivo in surround. Non sapevano chi invitare, così hanno pensato a me.»
Dal 14 al 26 gennaio quindi, Henke ha trascorso le sue giornate a Venezia, registrando rumori ambientali e dormendo la sera a Palazzo Grassi, palazzo storico riconvertito in spazio di esposizione d’arte contemporanea. Insomma, una reggia sul Canal Grande. «Avevo questo vecchio progetto chiamato Dust, una raccolta di suoni ambientali che riconvertivo in piccoli brani che sono soltanto profumi sonori.» Così è nato Venice Dust, la forma più concreta e definitiva che prenderà mai il progetto di Henke. Dodici giorni di minuziosa raccolta, rielaborazione e prova per quella che sabato 26 gennaio a Palazzo Grassi è stata una première mondiale dell’opera elettronica.
«Volevo decisamente evitare l’effetto cartolina-sonora» continua il musicista. «Quindi ho evitato di registrare il suono dei turisti, delle ruote trolley che scorrono sul selciato. Ho provato a registrare i gabbiani, ma sono tizi poco socievoli che emettono suoni ben diversi da quelli che ti aspetti. Sono degli urli acuti, non proprio piacevoli. Al contrario però, mi sono concentrato sui piccoli splash che l’acqua produce a contatto con la roccia dei canali.»
Robert è visibilmente teso per stasera, complici anche i litri di caffè che sta sorseggiando. Fortuna che, prima di lui, nel gigantesco atrio centrale del palazzo settecentesco in marmo bianco tocca a Renick Bell, il cui live audiovisivo aggiunge sin da subito valore a una serata già di suo unica. Mentre inserisce valori numerici e impartisce ordini al computer in linguaggio di programmazione Haskell, Bell proietta la schermata del terminale sulla pomposa scalinata neoclassica dell’edificio, generando suoni e impulsi apparentemente randomici ma in realtà frutto di un algoritmo che normalmente viene utilizzato per tracciare la crescita delle piante.
Ma è chiaramente Henke il protagonista. Venice Dust si mostra immediatamente per quello che è: una situazione tanto surreale quanto allucinante, amplificata soprattutto dalle decine di speaker e woofer posti su ogni colonna del portico per l’effetto surround. Va da sé che basta spostarsi un pochino in mezzo all’atrio per capire meglio ciò che succede. Per quanto teso per la performance, Robert riesce magistralmente a generare turbinii di particelle che si originano ora alle spalle dell’ascoltatore ora davanti, e un’istante dopo scompaiono in un uno dei 360 gradi in cui convenzionalmente si suddivide un angolo giro. I movimenti ammalianti del pulviscolo rarefatto lasciano poi spazio alle derivazioni techno di Electric Indigo.
Dopo il live becco Robert fuori, sul canal grande, dove la gente esce a fumare. «Ero tesissimo, si vedeva?» mi chiede. Gli rispondo di sì, ma che è anche per quello che il live è stato bellissimo. «Hai ragione, that’s the cool part of it.»