Rivers Cuomo passeggia tra l’ombra e il sole vicino al chiosco di “Hot Dog on a Stick” sul pontile di Santa Monica, con le mani nelle tasche dei jeans skinny neri, una felpa con il cappuccio indossata sopra una maglietta scura e il cappellino da baseball con la visiera calata sugli occhi.
È un tipo esile, con i capelli rasati ai lati e, a meno che non siate dei fan, è difficile riconoscerlo come il frontman degli Weezer, campioni del nerd rock anni ’90, leggende emo e creatori di pezzi stravaganti e pieni di ritornelli come Undone – The Sweater Song, Buddy Holly e The Good Life, i singoli principali dei loro primi due dischi, The Blue Album del ’94 e il più intimo Pinkerton del ’96. Da allora gli Weezer hanno alternato due fasi: cercare in tutti i modi di recuperare la magia degli esordi o fregarsene, a seconda dei capricci dell’uomo al comando della band. Oggi Rivers Cuomo ha 45 anni, una moglie, una figlia di 9 anni e un figlio di 3 che dormono nella stessa stanza con i genitori… E perché non dovrebbero?
Stamattina Rivers si è svegliato alle 7, ha provato invano a ricordare uno dei sogni che ha fatto e ha letto le email per vedere se il suo nuovo manager gli ha scritto cosa ne pensa di una canzone che gli ha mandato qualche tempo fa (in cui c’è una strofa che dice: “Siamo tutti bisessuali”). La risposta è stata: «È un pezzo folle, forse un po’ troppo».
Rivers è sceso dal letto ed è andato in bagno, poi si è spostato in cucina per riempire un thermos di caffè istantaneo di Starbucks e infine si è rifugiato nello studio pieno di piante che ha allestito nel garage della sua casa. Poi ha scritto per 25 minuti una specie di diario in cui annota tutto quello che gli viene in mente, ha meditato per un’ora e ha fatto colazione. Di solito mangia uno yogurt greco magro, un uovo sodo e della frutta secca. Poi ha preso una scatola di legno che contiene un labirinto, ci ha fatto scivolare dentro una pallina di ferro e, ruotando le manopole che inclinano il piano, ha cercato di farglielo attraversare senza farla cadere in uno dei 60 buchi. È un gioco che hanno regalato a sua figlia per il compleanno. Si chiama Labyrinth. Lei ci ha giocato forse due volte, lui tutti i giorni. Il suo record è di 43 buche superate: «Riesco a rimanere calmo fino a quando non mi avvicino al record. Se la pallina cade proprio quando penso di poterlo battere comincio a gridare». Non c’è dubbio che un giorno riuscirà ad arrivare alla fine, perché è un tipo eccentrico, molto testardo e leggermente ossessionato. Lo è sempre stato. Adesso però eccolo qui, sulla passeggiata in riva all’Oceano, in mezzo alle bellezze bionde in bicicletta e ai mendicanti abbronzati dal sole.
«Da un anno e mezzo abbiamo un nuovo manager. Un giorno ci ha detto: “Dovreste fare un disco estivo, da spiaggia”. Ci è sembrato subito così ovvio, dato che amiamo i Beach Boys e viviamo tutti qui, in spiaggia. Ce l’abbiamo così vicina e ce ne siamo dimenticati». Il risultato è il decimo album degli Weezer, che in copertina ha una foto di Rivers Cuomo, il bassista Scott Shriner, il batterista Pat Wilson e il chitarrista Brian Bell in piedi sulla sabbia bianca di fronte alla sedia del guardaspiaggia. Un’immagine che li ha spinti a chiamarlo The White Album. Musicalmente è un disco che guarda indietro al power-pop degli esordi, grazie soprattutto al lavoro del produttore Jake Sinclair che voleva recuperare il suono di quegli anni. Per i testi, invece, Rivers Cuomo ha cercato ispirazione altrove. Su Tinder per esempio, che ha usato non per rimorchiare ma per conoscere persone interessanti durante i tour. Ha anche passato molto tempo qui sul lungomare, proprio dove si trova adesso, a esplorare le sottoculture e gli stili di vita da spiaggia. Essendo Rivers Cuomo, però, lo ha fatto mantenendo sempre una certa distanza. «Ho rinunciato da tempo a interagire con le persone. Sono passivo».
Rivers Cuomo ha passato gran parte della sua carriera oscillando da un estremo all’altro. Dopo il successo del Blue Album ha mollato tutto per iscriversi all’università ad Harvard, andando in giro per il campus sulle stampelle a causa di un intervento per correggere un difetto di nascita alle gambe, che erano una più lunga dell’altra di quasi due centimetri e mezzo. Anni dopo ha fatto un voto di castità per seguire un corso intensivo di meditazione (è un esperto di meditazione). Un’altra volta è rimasto per un anno intero senza parlare con nessun essere vivente a parte la sua lucertola domestica. Con i fan ha sempre avuto un rapporto bizzarro; da un lato li invita a vedere Shakespeare a teatro, dall’altro è stufo marcio di vedere quanto molti di loro siano troppo legati al passato della sua band.
Tutti mi vogliono raccontare la loro storia sugli Weezer, di quando erano in seconda media e ascoltavano Pinkerton con il loro migliore amico», dice. «Io cerco di rispondere nel modo più gentile possibile, che solitamente non è gentile per niente. Credo che sia meglio tagliare corto e dire: “Non mi interessa questa storia. Raccontamene un’altra”. La sua storia, per esempio, è piuttosto particolare. I suoi genitori erano due fricchettoni che lo hanno fatto crescere in un ashram nel Connecticut, una vita di clausura che è finita a 11 anni quando si è ritrovato di colpo in una scuola pubblica. Un perfetto disadattato bersagliato dai bulli e in cerca di ragazze (ha perso la verginità a 17 anni: «Piuttosto tardi», dice). All’inizio voleva diventare un giocatore di football, ma quando il difetto alle gambe e la sua bassa statura hanno cominciato a influire in modo negativo sulle sue prestazioni sportive, ha indirizzato i suoi sogni verso il mestiere di rockstar. Finiti gli studi ha provato subito a diventarlo trasferendosi a Los Angeles. Era molto determinato, e quando non è riuscito a farcela suonando «lo speed metal più sofisticato al mondo» ha cambiato approccio, ha studiato le sue foto da bambino e si è rimesso in gioco con un’immagine completamente trasformata. «Nessuno lo ha capito», dice rivelando nuovi dettagli sulla nascita della sua band, «gli Weezer sono stati costruiti riducendo tutto all’essenziale, dalla tecnica musicale alla struttura delle canzoni, ai testi, in modo da farci sembrare sempre innocenti e spontanei, come se avessimo appena preso in mano gli strumenti. Ho smesso di usare prodotti per capelli, ho studiato le foto di quando avevo 5 o 6 anni e andavo in giro con gli occhiali spessi, il taglio a scodella, la T-shirt e il giubbottino antivento blu e mi sono detto: “Questo sono io nel mio stato naturale”». L’ immagine da nerd degli Weezer, quindi, non è una messinscena come molti hanno sospettato, ma è una rappresentazione molto autentica del Rivers Cuomo ragazzino, con testi ispirati direttamente alle ansie post-adolescenziali e ai primi imbarazzanti e frustranti incontri con ragazze che, tanto per fare degli esempi, o si rivelavano essere lesbiche o non disponibili. A quanto pare Rivers Cuomo è l’unica rockstar nella storia delle rockstar che non è in grado di portarsi a letto una ragazza al primo colpo. Una cosa che, Dio lo benedica, doveva succedere a qualcuno prima o poi. «Negli anni ’80 il sogno di tutti, me compreso, era diventare una rockstar ed essere pieno di donne», dice, «ma non è andata così».
Si siede su una panchina vicino a un chiosco di pesce fritto e continua: «Innanzitutto nel 1994 le nostre fan avevano dai 10 anni in giù. Secondo, le ragazze andavano con gli altri della band e non con me. Terzo, in quella specie di rivoluzione alternativa di cui facevamo parte si era diffusa l’idea per cui: “Non vogliamo approfittare delle nostre fan”. Forse neanche loro volevano. Ero così deluso dalla differenza tra la realtà e i sogni che facevo da ragazzino, che in Pinkerton ho deciso di confessare tutto: “Questo è quello che sono. Sono un maiale, voglio farmi delle ragazze”». E come è andata? Fa una smorfia e risponde: «Lo sai anche tu, quel disco non è andato affatto bene. Diciamo che le ragazze non mi vengono a cercare. Non lo hanno mai fatto. Non fa differenza che mi riconoscano o meno, le nostre fan vogliono fare un selfie e poi di solito se ne vanno». È incredibile quanto Rivers Cuomo sembri ancora un ragazzino. Potrebbe tranquillamente essere scambiato per uno degli skater che ci girano intorno. Rimanendo in tema di ragazze, cosa vuoi dire sulla tua passione per i centri massaggio e l’happy ending? Frequentare posti del genere non ti faceva sentire super a disagio? «Uhm», risponde, «non in modo sgradevole. Mi piace cercare le situazioni strane e imbarazzanti: “Questo è uno di quei posti o no? Chi sarà a tirare fuori l’argomento per primo?”».
Quindi ti piaceva? «Sì, credo di sì», fa una pausa, «e ci vado ancora». Detto così, senza ulteriori spiegazioni, suona strano dal momento che è sposato. Passano un paio di secondi di silenzio imbarazzante. Solo per fare massaggi, vero? «Sì, certo. Non che non mi sia stato offerto qualche altro servizio. In un posto è successo. Di solito indico la fede al dito». Fiuuu. Questa conversazione ci porta per forza di cose al suo matrimonio, un argomento di cui si è parlato relativamente poco.
Quando nel 2003 Rick Rubin gli ha fatto scoprire la meditazione, Rivers ha deciso subito di fare un ritiro di 45 giorni. Per essere ammesso però doveva essere sposato o impegnarsi a non fare sesso per due anni. All’inizio, l’astinenza, compresa quella dalla masturbazione, sembrava l’unica opzione praticabile: «Ho smesso di guardare i porno, sarebbe stata una tortura», dice. Dopo poco tempo, per la prima volta nella sua vita, ha cominciato ad avere polluzioni notturne e alla fine ha cambiato idea: «Mi sono detto: “Ok, non ce la posso fare. Devo sposarmi”». Trovare l’anima gemella, però, non era così facile. Rivers ha provato a iscriversi a un sito di incontri chiamato eHarmony, ma è stato scartato: «Ho riempito una quantità infinita di moduli online e alla fine mi è arrivata questa risposta: “Siamo spiacenti, non c’è nessuno nel nostro database che può andare bene per te”». Passano prima mesi e poi anni, in cui Rivers tenta di liberare la mente dai pensieri impuri e allo stesso tempo di trovarsi una moglie. Alla fine, come sempre, è tornato al passato: Kyoko, una ragazza giapponese con cui usciva nel 1997. «Era il 2005, ero arrivato al secondo anno di castità, ma soffrivo ancora immensamente per una ragazza che avevo conosciuto ad Harvard e che mi aveva respinto perché era fidanzata. Dopo otto giorni di meditazione, all’improvviso è scattato qualcosa nella mia testa: la ragazza di Harvard è sparita ed è arrivata Kyoko. L’ho chiamata subito, abbiamo parlato e poi abbiamo pensato in modo molto razionale a una vita insieme». Un anno dopo si sono sposati e hanno iniziato una vita insieme che non solo è durata, ma ha anche liberato Rivers da molte delle sue ansie. «Non mi preoccupo più di passare la notte da solo, e nemmeno di uscire a conoscere qualcuno, con tutto quello che comporta. La stabilità è perfetta per me». Ma siccome il Diavolo non dorme mai, viene da chiedersi: quando ti spunta sulla spalla, cosa ti dice nell’orecchio? «Mi spiace per lui, ma il mio Diavolo non fa paura a nessuno. È solo una vocina che dice le solite cose: “Hai visto che figa? Non ti piacerebbe fartela?”. Ormai sono un animale addomesticato. Non dico che non sarebbe divertente, ma se cedessi a ogni voglia distruggerei la mia vita nel giro di 24 ore. E io amo la mia vita». Ti ricordi quello che sogni? «Di solito no», dice, «ma da quando sono in analisi ci provo». Psicoanalisi freudiana? Annuisce. «Ho iniziato qualche settimana fa. In passato ho avuto un life coach e ho fatto terapia di coppia per circa cinque anni. Oggi si pensa che Freud abbia sbagliato tutto: le donne non vorrebbero avere il pene e gli uomini non vogliono uccidere i loro padri. Ma ho letto delle ricerche recenti secondo cui l’analisi freudiana è più efficace della terapia cognitiva. Ho trovato un maestro vecchia scuola, ha 84 anni ed è austriaco. Io mi sdraio sul lettino e racconto i miei sogni. È come parlare dentro un buco nero, una sensazione terrificante. Lui dice che ho un disturbo di ansia generalizzata. Ma chi non ce l’ha?».
Per un attimo sembra deluso dalla diagnosi, poi spiega il motivo per cui ha sentito il bisogno di andare dallo psicologo: «Sono sempre in cerca di qualcuno che mi aiuti ad andare in profondità dentro me stesso, fino alle zone più oscure. Sto anche scrivendo un nuovo album che sarà il Black Album. Richiederà nuove tecniche psicologiche e di scrittura e nuovi posti da frequentare, tipo Echo Park o Silver Lake. La psicoanalisi avrà un ruolo importante. Sarà anche un album vietato ai minori, forse per la prima volta gli Weezer diranno delle parolacce».
Fa una pausa e prende fiato: «Non mi interessa la salute mentale, l’unica cosa che mi interessa è l’ispirazione creativa e la psicoterapia mi sembra una cosa abbastanza cool e bizzarra da provare». Ci risiamo: da una parte Rivers Cuomo pensa che andare dallo strizzacervelli solo per il bene della sua musica sia un po’ una delusione, dall’altra dice che lo fa perché è fatto così. Ma non importa, perché domani mattina, poco dopo essersi alzato dal letto, Rivers Cuomo si metterà a giocare a Labyrinth, cercherà di battere il suo record di 43 buche e solo quando ci arriverà vicino e sbaglierà si metterà a gridare. Ma non c’è dubbio che continuerà a farlo, con determinazione e qualche grido, per tutto il tempo che ci vorrà ad arrivare dove vuole lui.
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