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La E Street Band vuol farvi sentire ‘Electric Nebraska’ di Bruce Springsteen

Secondo Roy Bittan, «forse un giorno Bruce si dedicherà» alla pubblicazione ufficiale della versioni elettriche delle canzoni del capolavoro acustico del 1982. Da quelle session è nato poi ‘Born in the U.S.A.’

Foto: Brooks Kraft LLC/Sygma via Getty Images

Born in the U.S.A. di Bruce Springsteen ha una specie di gemello meno famoso, ma non meno importante: Nebraska di due anni prima. I due dischi sono legati inestricabilmente dal fatto che varie tracce dell’album dell’84 erano contenute in altra forma nel demo acustico da cui è nato Nebraska, tra cui la title track, Downbound Train, Working on the Highway (all’epoca Child Bride) e la B-side Pink Cadillac. Le prime session di Born in the U.S.A. sono partite col tentativo di registrare versioni full band di otto canzoni di Nebraska, tutte quelle del disco tranne My Father’s House e State Trooper.

Intervistati per il quarantesimo anniversario di Born in the U.S.A., il batterista Max Weinberg e il tastierista Roy Bittan ricordano quei giorni.

Roy, la prima volta che la E Street Band ha provato i pezzi di Nebraska è stato nel salotto di casa tua. Hai ricordi di quei momenti e delle session in studio?
Roy Bittan: Avevo una casa in stile contemporaneo, con un salotto tutto legni, mattoni e grandi finestre. Abbiamo messo giù l’attrezzatura lì, il suono era favoloso. Abbiamo provato un po’ di pezzi poi finiti su Nebraska in preparazione delle vere session in studio. Per come me le ricordo io, quelle versioni erano fantastiche. Ok, non le ho più ascoltare dall’epoca, cos’era?, forse il 1981, quindi potrei anche sbagliarmi. Siamo poi entrati in studio e abbiamo cercato di registrare quel materiale, ma il punto è che Bruce era riuscito a catturare qualcosa di unico col registratore Tascam, a casa sua. In quei demo c’era una bella sensazione di intimità, trasmettevano perfettamente l’idea della solitudine. Ora, quando registri qualcosa partendo da un demo, l’idea è sempre fare qualcosa di meglio. E quindi anche se le session con la band erano eccellenti e ne sarebbe uscito benissimo un album, le vibrazioni che si percepivano in quella cassetta erano uniche. Alla fine, ha scelto di tenere le incisioni fatte nella sua camera da letto. Ma muoio dalla voglia di sentire le registrazioni in studio… Forse Bruce a un certo punto ci si dedicherà.
Max Weinberg: Aveva le canzoni del demo di Nebraska, ma anche Working on the Highway. Ricordo di aver lavorato a Working on the Highway in modo molto simile a come è uscita su Born in the U.S.A. E ricordo che la mia parte di batteria è nata da un’idea di Steve. Registravo le nostre prove su un Walkman professionale, ho tutto su nastro, compresa Murder Incorporated. Il materiale di Nebraska era in stile E Street Band e simile a come facciamo quelle canzoni ora dal vivo, era fantastico. Ed era un disco rock… Jon Landau mi suggerì di ascoltare John Wesley Harding di Bob Dylan dicendomi che Bruce sembrava andare in quella direzione. E ci sono state alcune take di questo tipo, con le spazzole, un approccio ritmico essenziale. Ma c’erano anche versioni rock di alcuni pezzi di Nebraska.

A un certo punto nel 1982 dalle session della versione elettrica di Nebraska siete passati alla registrazione di otto delle dodici canzoni di Born in the U.S.A. Com’è successo?
Weinberg: Ricordo che una sera al Power Station c’è stata una discussione tra Steve, Jon e mi pare Chuck (Chuck Plotkin, ndr). Bruce è arrivato e ha detto che dovevamo provare qualcosa di diverso. Aveva tante altre canzoni che aveva tenuto da parte e su cui aveva lavoricchiato. Le abbiamo prese e ne abbiamo fatte otto delle dodici che sono poi finite sul disco. Nei successivi 14 mesi abbiamo registrato probabilmente 60 o 70 altre canzoni in varie versioni in studio.
Bittan: Per quanto mi riguarda, ricordo che ho deciso di provare a usare i sintetizzatori. Sono arrivato in studio con uno Yamaha CS-80, che non ha suscitato tanta simpatia negli altri della band (ride).

Una volta hai detto che dopo aver portato il synth in studio, sei stato trattato come uno che ammazzato qualcuno.
Bittan: I sintetizzatori erano usati tantissimo nel pop all’epoca e quindi c’è stato una sorta di rigetto quando ne hanno visto uno, ma per me era lo strumento che meglio di altri poteva interpretare lo spirito di quelle canzoni. Pensavo che il synth avrebbe potuto ampliare gli orizzonti creando il giusto sfondo per i testi di Bruce che, non dimentichiamolo, è un poeta. Per me è stato questo l’inizio di Born in the U.S.A. Credo di aver suonato su quell’album molto più synth che pianoforte.

Cosa ricordate di quando avete girato il video di Dancing in the Dark, in parte durante un concerto a St. Paul, nel Minnesota?

Bittan: Ah sì, era un teatro grande. E c’era Courteney Cox. È stata una cosa interessante e diversa per noi. La messinscena non era probabilmente nel nostro stile, ma andava benissimo per MTV. E poi secondo me la canzone era così bella che avremmo potuto fare qualsiasi altro video e avremmo ottenuto lo stesso risultato.
Weinberg: Buona parte del video è stata filmata prima del concerto, la sera precedente, era una produzione hollywoodiana. Sono arrivate suppergiù 500 persone e lo abbiamo fatto più e più volte. L’avremo suonata, io con le cuffie in testa, 15 o 20 volte di seguito. E poi durante il concerto l’abbiamo rifatta, questa volta col pubblico e Courteney Cox. In pratica, durante il concerto a un certo punto ci siamo fermati e Bruce ha detto al pubblico che avremmo girato un video. Il video dopo è stato quello di Born in the U.S.A. alla Sports Arena di Los Angeles, mi pare. Quella volta Bruce ha detto a tutti: «Non rasatevi e non cercate di suonare replicando il disco». Mancava che dicesse: «Non fatevi la doccia, voglio che sembriamo una garage band».

Da Rolling Stone US.

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