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La fantascienza notturna degli Arctic Monkeys

Dopo un album trionfale, Alex Turner ha deciso di ascoltare jazz, gettare nella spazzatura i riff di chitarra e scrivere un'opera oscura e spaziale

Il primo album degli Arctic Monkeys dopo cinque anni di attesa è lussuoso e claustrofobico allo stesso tempo – fa venire in mente un tizio che va un po’ fuori di testa rinchiuso in una piccola stanza, in una villa di campagna, dove inventa un mondo nella sua testa e trasporta le sue visioni sul pianoforte. E, ascoltando la storia raccontata direttamente da Alex Turner, Tranquility Base Hotel & Casino è nato grossomodo così. Siamo a metà aprile, mancano poche settimane all’uscita dell’album e il frontman della band esce dalla sua casa sulle colline di Hollywood per fare colazione. Sono appena le 10 del mattino, ma indossa un abito estivo – giacca da safari, pantaloni a zampa – e scivola dietro un tavolo: «Christian Dior», dice.

Turner ha iniziato a scrivere l’album nel 2016, seduto nel suo studio casalingo con uno Steinway Vertegrand, il regalo di compleanno del suo manager. Da sempre ammiratore del trasformismo di John Lennon e David Bowie, Turner voleva qualcosa che non suonasse affatto come AM, l’ultima fatica dei Monkeys. Non aveva mai scritto al pianoforte, e pensava che il Vertegrand avrebbe scatenato in lui suoni nuovi. Aveva ragione.

«Il modo in cui le mie dita cadono sul pianoforte» ha dato vita, spiega, a progressioni diverse, a “ribaltamenti jazz” che gli «hanno suggerito personaggi da bar. Non mi sarebbero mai venuti in mente suonando la chitarra. Pensavo spesso a quello che suonava mio padre, proprio seduto dietro al pianoforte». Tra le influenze, spiega, anche Histoire de Melody Nelson di Serge Gainsbourg, Born to Be With You di Dion e la colonna sonora jazz che François de Roubaix ha composto per Le Samourai di Jean-Pierre Melville.

Si creano questi mondi diversi per commentare quello in cui si vive. Mi sembra un’idea molto interessante

È stato impossibile ignorare l’attualità: «Mi dicono spesso che il nostro ultimo album suonava molto americano, ma non pensavo a quello che dicevano i giornali. Almeno, non così tanto come in questo album», dice. Da qui i testi dedicati a “battleground states”, a chi “ha reso la verità fluida”, ai “leader del mondo libero che ricordano un wrestler”. Allo stesso tempo, però, mentre esplorava il Vertegrand, Turner si è ritrovato a scrivere di fughe dalla realtà, di gente che si costringe nella realtà virtuale e sviluppa colonie spaziali gentrificate. I riferimenti alla fantascienza sono sparsi per tutto l’album: «si creano questi mondi diversi per commentare quello in cui si vive», aggiunge Turner, «e mi sembrava un’idea molto interessante».

Tranquility Base si apre con la voce del “narratore da bar” di Turner, che ci accompagna all’interno di un hotel lussuoso costruito sulla luna. «Ho scritto i testi con un microfono in mano e un registratore otto piste nell’altra», spiega. Poi ha registrato tutto su un Revox A77, il responsabile delle atmosfere kitsch, del suono retro-futurista di un album bizzarro che parla di intrattenimento e fughe dalla realtà in un periodo storico di disordini sociali e crisi di valori. Tutto questo potrebbe tornare indietro come un boomerang, dice Turner, soprattutto per i fan che si aspettano le chitarre esagerate di AM.

All’improvviso si presentano nel bar Jamie Cook (chitarra) e Matt Helders (batteria), e Cook mi racconta come si è sentito ascoltando le prime demo, a febbraio dello scorso anno. «Ero sconvolto dalla nuova direzione scelta da Alex», dice. «Ci sono voluti diversi ascolti solo per capire…», si ferma e sorride. «Insomma, ho pensato: “Cazzo, e ora che facciamo con questa roba?”».

Ma mentre la band titubava, chitarre e pianoforte iniziavano a mescolarsi. Helders – che ha raggiunto il resto della band più avanti con il bassista Nick O’Malley, prima in uno studio-istituzione di Hollywood, Electro-Vox, poi in una villa alle porte di Parigi – spiega che il nuovo sound è stata una sfida anche per lui. «Cerco di fare qualcosa di originale per ogni nuova uscita, magari un ritmo a cui non ha mai pensato nessuno», dice. «Questa volta ho fatto un passo indietro, ho capito che non si trattava di me, ma di suonare al servizio delle canzoni».

Chiedo a Turner se vede questo cambiamento radicale come un dito medio in faccia alle aspettative dei fan. Sorride: «Forse c’è modo e tempo di far convivere i riff di chitarra e il dito medio». Non pensava granché ai pensieri del suo pubblico, aggiunge. Ma per spiegare la profondità del pozzo in cui è sprofondato non c’è niente di meglio del modellino che ha costruito a mano una volta finiti i brani, e che ora svetta sulla copertina dell’album. Ha cominciato con il bozzetto di un esagono – è la sesta uscita discografica della band – e da lì tutto si è evoluto grazie all’influenza del lavoro di architetti iconici come Eero Saarinen e John Lautner.

Per due mesi, dice, «andavo continuamente in qualche negozio d’arte». Acquistava materiale e lo intagliava, costruendo forme diverse. «Mi ha ossessionato. Mi svegliavo nel cuore della notte, scendevo le scale e lavoravo. Continuavo a chiamarlo “lobby model”, pensavo a quei modellini che a volte si mettono all’ingresso degli edifici che rappresentano. Sono rimasto affascinato da questo cerchio, come il labirinto di Shining, e la scena in cui Jack Nicholson lo osserva».

Il riferimento al classico di Kubrick non è casuale, e solleva una domanda ovvia: c’è qualcuno vicino a Turner che è andato fuori di testa mentre lui inseguiva le sue ossessioni? La sua fidanzata, la modella Taylor Bagley, ha accolto tranquillamente le sue scappate notturne, e lo stesso vale per il cane Scoot. «Era con me ogni giorno», dice Turner. Poi ride. «E nemmeno lui pensava fossi diventato pazzo».

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