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La grande truffa blues dei Residents

Che matti: hanno inventato un bluesman della Louisiana chiamato Dyin’ Dog, fingono che sia davvero esistito e interpretano le sue canzone rauche, alla Howlin’ Wolf. «E se non ci credete, godetevi la storia: è bellissima»

La storia è questa: i Residents vanno a far visita all’amico e collaboratore Roland Sheehan e lì scoprono la musica di un bluesman sconosciuto della Louisiana chiamato Alvin Snow, alias Dyin’ Dog. Sono ammaliati sia dal sound che dalla vicenda del musicista, un afroamericano albino con la tendenza a evitare il lavoro (preferisce farsi mantenere da vecchie signore facoltose) e la passione per il blues di Howlin’ Wolf. Dopo avere inciso qualche 45 giri e dopo la morte del suo eroe, avvenuta nel 1976, Dyin’ Dog scompare senza lasciare traccia di sé.

La band decide di far conoscere al mondo la sua musica prima con un box di 7” (The Residents Present Alvin Snow, Aka Dyin’ Dog, sul finire del 2019) che raccoglie le incisioni originali del bluesman, poi con il doppio album Metal, Meat & Bones: The Songs Of Dyin’ Dog che uscirà il 10 luglio per Cherry Red e che riunisce i suoi pezzi originali e le reinterpretazioni che i Residents ne danno (oltre a sei brani ispirati al mood di Dyin’ Dog).

Questa, almeno, è la versione che raccontano i Residents. Perché di Alvin Snow/Dyin’ Dog non esiste traccia nell’ampia storiografia del blues. È come se fosse un fantasma, un’entità sfuggente e inafferrabile. Le uniche tracce on line che portano a lui sono tutte riconducibili ai Residents e al loro entourage. Le foto incluse nel doppio album sono così fumettistiche da lasciare pochi dubbi. Con altissima probabilità – per non dire con certezza – ci troviamo di fronte all’ennesima “operation mindfuck” dei Residents, che si sono inventati una storia per fare da sfondo a quello che, in realtà, da anni si favoleggiava: ossia l’esistenza di un loro progetto blues finito nel cassetto.

Il risultato è notevole, peraltro. I brani accreditati a Dyin’ Dog (ma con ogni probabilità scritti ed eseguiti dai Residents) suonano rozzi e vintage al punto giusto, magari un filo troppo puliti e rifiniti per essere demo di metà anni ’70, ma credibili e soprattutto godibili. Le “cover” sono altrettanto gustose, anche se stravolte e ribaltate come solo i Residents sanno fare approcciandosi al materiale altrui.

Ne abbiamo parlato con Homer Flynn, boss della Cryptic Corporation e portavoce – ma non componente, almeno secondo le sue reiterate dichiarazioni – del collettivo che opera nell’area di San Francisco, ma che per l’occasione dichiara inedite origini in Louisiana, continuando comunque a celare l’identità dei propri membri.

In che modo i Residents sono avvicinabili al blues?
Essendo originari degli Stati del Sud – nello specifico della Louisiana – i Residents sono cresciuti immersi nel blues, per cui da sempre lo apprezzano. Per essere ancora più precisi, uno di loro ha anche visto Bo Diddley dal vivo quando frequentava l’ultimo anno delle superiori. È accaduto durante quella festa selvaggia di fine anno scolastico che in zona tutti chiamano German Dance: quell’evento fu la gloriosa conclusione del suo ultimo anno di studi e si tenne fra le 2 e le 6 del mattino, dopo il barbosissimo ballo ufficiale annuale. Il concerto di Bo Diddley gli cambiò la vita e, anche se non lo si può definire strettamente un artista blues, Diddley senza dubbio attingeva a quella tradizione. E giustamente è considerato un innovatore, capace di rimodellare quella musica affinché potesse essere fruita da un pubblico di bianchi, nella forma nota come rock’n’roll.

Che cos’è il blues per i Residents?
Il blues è un’esperienza strettamente personale. Ed è proprio questo suo essere un’emozione diretta, cruda e libera che ha avuto un’influenza grandissima sui Residents, durante la loro gioventù. Erano parecchi anni che cercavano un modo per addentrarsi nell’esplorazione di questo genere e la scoperta dei demo di Dyin’ Dog ha servito su un piatto d’argento l’opportunità che andavano cercando.

Come è stato per la band cimentarsi in questo genere?
Rifare i pezzi di Dyin’ Dog è stato incredibilmente semplice anche per merito del produttore Eric Drew Feldman (ha lavorato fra i tanti anche con Captain Beefheart, ndr). Non solo Eric è stato in grado di capire alla lettera ciò che il gruppo aveva in mente in termini di reinventare il materiale di Dyin’ Dog, ma ha anche portato in studio altri musicisti e cantanti che hanno dato molto all’album (fra cui Black Francis dei Pixies in Die! Die! Die!, nda). Eric, una volta, ha anche suonato con Muddy Waters.

La copertina del disco è molto dark, quasi metal…
Quella che circola, in realtà, è la seconda copertina scelta per l’album. La prima aveva una foto di Alvin Snow/Dyin’ Dog ed eravamo pronti a mandarla in stampa, quando la pandemia da Covid-19 si è abbattuta sul pianeta. I Residents si sono resi conto dell’impatto fortissimo che il blocco di ogni attività culturale avrebbe avuto sul mondo, per cui hanno subito capito che la copertina doveva essere cambiata e mostrare qualcosa di più scuro, che riflettesse al meglio il presente. L’idea di utilizzare il cane nero, un mutaforma spesso percepito come un messaggero di morte, è sembrata perfetta.

I Residents versione Black Dogs

Di’ la verità, la vicenda di Dyin’ Dog è frutto di fantasia?
Come è evidente, i Residents si sono appassionati alla vicenda di Alvin Snow alias Dyin’ Dog. E, come è accaduto per ogni progetto passato dei Residents, circolano dubbi – questa volta sul fatto se Alvin sia realmente esistito o meno. Ma loro erano preparati, per cui si aspettavano una certa dose di scetticismo – ed è questo il motivo per cui hanno realizzato un mini-documentario proprio su Snow. E se qualcuno avrà ancora dei dubbi, dopo avere visionato questo video, i Residents faranno una bella scrollata di spalle e diranno: be’ dai, comunque è pur sempre una bellissima storia.

In effetti è davvero una bella storia. E ora cosa dobbiamo aspettarci dai Residents?
La prossima mossa dei Residents è da sempre un mistero. Ma loro sono perennemente in cerca di nuove idee e strade da percorrere. Una delle migliori fonti d’ispirazione è data dai “geni dimenticati”. Quindi il prossimo album potrebbe essere una raccolta di canzoni scritte da Donald Trump, uno che si autodefinisce un genio e che tutti non vedono l’ora di dimenticare.

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