Clementino arriva e chiede due birre, una per me e una per lui. Il brindisi è «Al futuro». Siamo nel backstage del suo concerto al Market Sound, dove salirà sul palco tra poco con Ensi, Rocco Hunt, Salmo e Shablo. Per l’agitazione (ma soprattutto perché è così di natura), parla velocemente, a scatti, dice per quattro volte alla gente di abbassare la voce.
Clementino partirà per l’Italia, con 12 date in tutta la penisola con tra luglio, agosto e settembre, per il suo Ultimo Round, assieme a TY1.
Dopo il primo sorso di birra vede Pannella in copertina dell’ultimo numero di Rolling Stone. Sorride, guardando il fumo che gli esce dalla bocca.
Se vuoi iniziamo da qui. Ha parlato di tanti temi che poi hanno coinvolto il mondo del rap…
Ah certo, sicuramente è stato uno dei nomi più importanti sull’argomento della legalizzazione. E personalmente, credo di essere tra quelli che ne parlato di più in Italia. Alcuni hanno fatto solo una canzone, io ti posso citare Toxico, Capocannonieri, Fumo, Ce Magnamm… sono tutte dedicate alla legalizzazione. Di recente ho suonato in supporto di De Magistris in piazza Dante a Napoli…
L’hai supportato più volte, che ne pensi?
Beh, è uno che ha le idee molto rap, sta dalla nostra parte. Quella sera eravamo io, Jovine, James Senese, una scuola abbastanza underground. Sono salito sul palco e ho detto che tra 10 anni, quando mi candiderò a sindaco di Napoli, la legalizzerò sicuramente. È partita un’ovazione.
Non voglio parlare di politica ma di Napoli sì. Cosa ti ha dato?
Credo che Napoli mi abbia insegnato tanto, sia stata la mia scuola del rap. Ho fatto tutta la gavetta, dai freestyle per strada ai palchi. Quando sono venuto qui ho imparato a lavorare. Ho messo le fondamenta in 10, 15 anni di Napoli e quando mi sono spostato a Milano ho iniziato a lavorare con il rap.
È un salto importante?
Sì, quando ho conosciuto Fabri Fibra me l’ha detto, venire a rappare a Milano è come quando nel poker passi dal tavolo dei piccoli a quello dei grandi. Ho seguito molto il suo consiglio. Ovviamente, il mio DNA è di-NA, quindi di Napoli.
Hai parlato di Fibra. Nella tua data al Market Sound hai sul palco parecchia gente. Siamo andati oltre le divisioni interne nel mondo hip hop?
Beh sì, stasera Rocco, Ensi, Salmo, Shablo… Sono amici innanzitutto. Forse perché vengo dalle gare e mi sono fatto conoscere piano piano, forse perché sono casinista di carattere, ma ho un buon rapporto quasi con tutti.
È quello che si è visto anche in Zeta – Il film, a cui hai partecipato…
Beh lì ero il saltimbanco della situazione. Ho dovuto presentare delle gare di freestyle, una cosa che ho fatto un milione di volte a Napoli. Sono stato me stesso. In generale lo sono sempre. E sono contento quando mi apprezzano per quello che sono, non mi devo sforzare per diventare qualcun altro.
Di recente, con l’uscita di Gomorra, è stata data parecchia visibilità alla scena napoletana. Perché non ci sei?
Mi permetto di essere un po’ presuntuoso: sono l’unico rapper di Napoli che non ha avuto bisogno di Gomorra. Mi sarebbe piaciuto, certo! Sono dispiaciuto perché non hanno preso alcuni pezzi che potevano andare benissimo, come Pianoforte A Vela che tratta proprio delle Vele di Scampia o Dal Centro All’Interland. Mi avrebbe fatto piacere, ma per una cosa mia personale. Anche se sono un rapper di solito molto ironico, parlo di cose serie.