Andrea Venerus – o semplicemente Venerus, perché come dice si tratta di un «cognome d’arte» – è uno di quelli che non sai proprio come prendere. Sono più o meno due anni che se ne parla come della next big thing della musica italiana, eppure non si riesce ancora a inquadrarlo, a trovargli una collocazione. Ora che i nostri ascolti sono stati colonizzati da OBE di Mace, che non a caso è il suo produttore di fiducia, in parte il dubbio è stato accantonato, in favore di un’oggettiva repellenza a generi specifici. Ma fino al mese scorso la domanda era lì: che roba fa Venerus, boh, r&b?
Nei brani, infatti, mischia cantato soul, rap, allusioni jazz, assolo di chitarra elettrica, suoni della natura, strutture classiche e altre sperimentali, con l’elettronica a tenere insieme una sorta di world music allucinata e futurista. Originale, strana, affascinante. E con una vocazione internazionale clamorosa per il nostro Paese. Dove l’ha imparata? A Londra, chiaro, dove è stato per anni dopo una giovinezza trascorsa a Milano. E finché poi, con quel bagaglio di nuove consapevolezze, non è tornato in Italia, collaborando soprattutto con Mace e pubblicando due EP fra il 2018 e il 2019, prima di questo Magica musica che è il suo album di debutto.
E il genere, dicevamo, è fluido, anche se la mappa dei feat aiuta in parte a orientarsi: Frah Quintale per l’ibridazione come religione; Rkomi per l’oggettiva attitudine pop applicata al rap; Gemitaiz per l’hip hop; e i Calibro 35 per la parte funk-jazz. In mezzo, comunque, tanto lavoro in proprio, gusto per la melodia (Canzone per un amico) e allusioni più o meno underground, a definiscono un freak unico nel nostro contesto, con riferimenti a perdizione, esperienze extracorporee, spiritualità, natura e esoterismo. Con testi scritti in italiano, nonostante per metriche e sound viene spontaneo anche solo pensarli in inglese. Ma tant’è, di stranezze qui non ce ne sono mai troppe.
Lo chiamo che ancora mancano due giorni all’uscita del disco e mi risponde da sotto un cartellone promozionale, enorme, a Milano. Su cui sopra, mi dice, c’è la sua faccia. «Fa stranissimo: è come essere in un loop temporale, sono tornato a quando ero piccolo, passavo da queste parti e sognavo di fare tutto questo».
A me fa strano anche per un altro motivo: la tua musica, dieci anni fa, su un cartellone del genere non ci sarebbe mai stata.
Non ti nego che ci ho pensato, come ci ho pensato quando ho scoperto che il mio ultimo pezzo (Ogni pensiero vola, nda) girasse tanto in radio. Ma l’altro giorno guardavo il video della reunion dei musicisti di Pino Daniele a Napoli (Tutta n’ata storia, nda), e notavo che c’erano migliaia di persone a sentirlo. Per carità, era Napoli, ma quello rimane un concerto jazz, al di là del fatto che giocasse in casa. Insomma: se la gente trova qualcuno disposto a guidarla, lo segue al di là del genere – nonostante il gusto stia anche, ovviamente, cambiando. L’importante è che tu, artista, sia convinto di quello che fai. Uno può fare mille ragionamenti, specie su come vada promosso un disco, su come arrivare alla gente; ma poi se si mette a giocare con gli elementi veri della musica, è lì che risulti incisivo. Il resto è accessorio.
Tra l’altro, è un po’ che si parla di te come della next big thing della nostra musica. Però, ecco, un disco non c’era ancora. Un po’ d’ansia nel registrarlo, no?
A livello di aspettativa, non me ne è fregato un cazzo. A livello dell’uscita in sé, sì, l’ho sofferta tanto, ma proprio come evento. Questo disco è pronto da maggio, è stato rimandato a causa del Covid e per me, all’inizio, è stato terribile. L’avevo visto crescere concerto dopo concerto, per anni; quindi mi ero immedesimato nel lavoro, fino a farmi assorbire completamente da Magica musica. Quando ho saputo che non sarebbe uscito, è come se mi fosse mancato un pezzo: ora, finché non viene pubblicato, che faccio? Che fine fa la mia arte? Avevo perso la mia identità, in quel momento non ero nient’altro che musica – anche perché ho chiamato il progetto col mio nome, è facile immedesimarsi – e la musica era andata in pausa. Ci ho messo mesi per ritrovarmi come persona.
E poi questo è pure un disco grosso, con sedici tracce neanche tutte “singolabili”.
È in controtendenza, sì, ma di questo me ne è fregato eccome (ride). Un artista vive col principio di rilevanza: agisci d’istinto, certo; ma è fondamentale che rendersi conto di cosa si condivide col pubblico, dell’impronta da lasciare. Fare i diversi quando ti seguono in 100, spacca; farlo quando inizi ad avere un seguito… mica è semplice. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità (ride). Questo per dire che volevo un album che incidesse sulla gente che la ascolta. Intellettualmente, mi eccita scrivere canzoni che so che arriveranno a molti. Ecco: Magica musica non è propriamente un rischio, è pieno di suoni che adoro da sempre dall’elettronica agli assolo di chitarra; ma nella struttura ampia è ambizioso, non mi sono risparmiato. Prendi quello che ti sto per dire con le dovute proporzioni: l’altra mattina mi sono risentito dei classici, tra cui The Dark Side of the Moon, e ho pensato a quanto i Pink Floyd volassero mentre lo registravano, a come si fossero elevati a livello mentale. Io a ciò ambisco. Pure perché negli ultimi anni, rispetto a questi classici, siamo tornati coi piedi per terra. Tutti sanno tutto di tutti, gli album sono accessibili e i musicisti quasi social media manager di sé stessi.
Tra l’altro, le coincidenze hanno fatto sì che uscisse quasi in concomitanza con OBE di Mace, che come intenti e suoni è molto simile.
E ne sono contento. Nella narrazione comune siamo i “gemelli nemici”, e non ti escludo che in sede di promozione mi è stato fatto presente, che l’uno avrebbe potuto oscurare l’altro e viceversa. Ma niente di tutto ciò: abbiamo lavorato ai nostri album insieme, per un anno e mezzo nello stesso studio; lui sui miei pezzi (Mace ha prodotto 12 delle 16 tracce di Magica musica, nda), io con molti dei suoi, in totale mi sembra ci siano circa 27 canzoni “in comune” fra di noi, e quindi figurati. La nostra è un’invasione di campo della discografia. E adesso è impossibile non rendersi conto di noi e della nostra attitudine. Questi lavori portano sul tavolo quella libertà creativa che ho imparato in Inghilterra, e che qui manca.
Spiegati.
C’è differenza abissale fra il loro modo di intendere la musica e il nostro. Li ascoltavo e pensavo a come fosse possibile che qui stiamo ancora a sbatterci sulla necessità di fare un pezzo radiofonico, col ritornello in un certo modo… e lì si fa il cazzo che si vuole. Ma OBE sta avendo successo, il che significa che in Italia ci siamo limitati per niente. Siamo molto provinciali.
Infatti sia tu che Mace, per rendervene conto, avete viaggiato.
In Italia si pensa molto all’Italia: fai un disco per l’Italia, scrivi una canzone per l’Italia, ma il nostro bacino d’utenza non è tutto. Londra mi ha fatto capire che quando pubblichi un album è come se lanciassi un satellite, il tuo lavoro gira il mondo. E con Spotify, poi, figuriamoci. Smettiamola di pensare ai nostri confini, anche solo a livello culturale. Ma sono convinto che grazie a me e lui, o comunque a causa nostra, qualcuno smetterà di farlo (ride). Per farti un esempio: se oggi giri un film, non puoi non tenere conto che cinquant’anni fa è uscito 2001 Odissea nello spazio; allo stesso modo, se fai un album non puoi non ricordarti dei Led Zeppelin. Ambire al disco dell’anno in Italia è limitante e provinciale. Così come ragionare in termini di numeri, playlist e quant’altro. Il tuo può essere pure il disco più ascoltato dell’anno, figurati, ma se poi l’anno dopo non se lo ricorda più nessuno… a che cazzo è servito?
A proposito di suoni internazionali: come sei arrivato a quelli di Magica musica?
Quando ho lasciato la mia band, nel 2011, ascoltavo talmente tanta musica che ho pensato: ok, ma adesso qual è la mia? A che genere mi riferisco? E lì ho capito che un genere che collega le cose che ascoltavo non c’è, se non il mio gusto. Alla musica ci si lavora come per una qualsiasi forma d’arte: in laboratorio, mischiando. E un disco è specchio di una persona, non di un genere. Ma anche i gusti della gente stanno diventando liquidi, grazie per esempio a Spotify. La cosa più importante per chi fa musica è, banalmente, ascoltare musica. E se dovessi scegliere fra le due attività, preferisco l’ascolto alla produzione. Perché, ripeto, è un’attività vera. Dovrebbero farci un master in merito. Io, nel dubbio, sento cinque o sei dischi al giorno, da anni.
A un certo punto canti: “C’è una certa solitudine che mi prende come fosse un’abitudine”. Si diventa più soli quando si è famosi?
Zero. Non mi allontano dagli affetti, frequento le persone di sempre perché quello è il mio bisogno. La solitudine è, semmai, la mia dimensione emotiva, ma non dipende da ciò che faccio, è una cosa che mi porto dentro da quando ero piccolo. Chi ne fa questione di diventare famosi è chi si idolatra da sé, convinto di non poter più uscire di casa perché popolare. Invece mi ricordo un’intervista a John Lennon, negli anni ’70, in cui gli chiedevano come facesse a girare per New York; e lui rispondeva che, al di là di tutto, era sempre una persona, ci mancava che non lo facesse. La verità è che gli altri vedono la tua ombra proiettata sul palazzo, ma tu resti sempre tu, coi bisogni primari di sempre. E se lo diceva John Lennon…
Ora: perché “magica” musica? Nel senso, sei patito di esoterismo?
Ho una filosofia di vita che dà valore a cose che nella società moderna sono, diciamo, secondarie, come le connessioni con natura e persone. Per me è un credo religioso, perché mi ritengo spirituale ma non religioso. E il corrispettivo del rituale della religione, nella mia vita, è stato assumere i funghi allucinogeni, che in realtà sono tutt’altro che allucinogeni e mi hanno ricollegato alla natura – che non a caso nel disco è presente con parecchi suoni. E poi amo il libro Magia naturale di Doreen Valiente, che per la mia formazione è stato importante quanto le esperienze con i funghi.
E la musica, nella magia, che c’entra?
La musica è il corrispettivo umano della natura. Provo a spiegarmi: è un linguaggio che ti permette di comunicare anche dove non riesci a parlare. Ho due gatti, e anche se non capiscono le mie parole riesco lo stesso a comunicare con loro, come tutti. Allo stesso modo, scrivere una canzone mi mette in connessione con chi la ascolta anche se non ci parli effettivamente. Che dire: sono cose vere, a cui crediamo tutti, ma che restano tabù nei discorsi intellettuali del nostro mondo. Invece nel 2021 è fondamentale ricominciare a parlarne.
La domanda allora è d’obbligo: Lucy è un tributo ai Beatles o all’LSD?
A entrambi. I Beatles e Sgt. Pepper sono stati fondamentali per la mia crescita. L’LSD anche.
Te lo chiedo perché l’altro giorno, qui su Rolling Stone, abbiamo parlato dell’uso intelligente delle droghe…
Ho letto! Ogni esperienza è personale e quindi, per natura, positiva o negativa in base al soggetto – al netto del fatto che per me è sempre stata positiva, per fortuna. Il punto, anche qui, è che bisogna parlarne, non rendere le droghe un tabù socialmente inaccettabile; così non fai altro che accrescere un problema antropologico. Dobbiamo discuterne come si fa col resto, perché esistono ed è inutile far finta di niente. Senza contare l’aspetto fondamentale della questione: da sempre gli uomini cercano una via di evasione dalla razionalità.
Infatti in Magica musica c’è un racconto ricorrente della perdizione.
È un tipo di esperienza che serve a ricordarci che la vita è una, ed è più importante sentirsi vivi che, non so, professionalmente soddisfatti e socialmente in linea con gli standard.
E, in questo senso, anche la notte fa la propria parte.
Gran parte del disco è stato scritto di notte, è vero, credo si senta. Ora sto evolvendo in un’altra fase della mia vita in cui il buio non è così centrale, ma la notte resta un momento di autocoscienza unico, con pensieri selvaggi e in libertà. Tieni a mente Sogno di una notte di mezza estate: è tutto lì. E poi, sì, è l’ambientazione ideale della mia musica, perché di notte vengono meno le strutture sociali del giorno. E, in parte, una certa razionalità.
Come ti senti ora che il disco è in uscita?
Mi ricordo una conversazione con Mace di dicembre 2019, quando mi ero trasferito in un airbnb a Mantova per finire l’album. Gli dissi che volevo arrivare alla chiusura del disco come una persona diversa, che la sua scrittura doveva essere un percorso umano e di crescita. Ecco: avvicinarmi alla natura è stato il traguardo, anche in quanto a valori ed etiche che ho scoperto o ritrovato. Capisco che chi di solito non ci pensa potrà sorridere sentendomelo dire. Ma per me è fondamentale, non me ne vergogno. Anzi: sono contento che tutto ciò finisca su un cartellone enorme, con la mia faccia, al centro di Milano.