«In un mondo in cui il pop è sempre più standardizzato, la musica contemporanea è un luogo di libertà. Per gente come me, Jonny Greenwood, Sufjan Stevens e Thom Yorke, le sale da concerto sono un laboratorio dove sperimentare». Lo dice Bryce Dessner e qualcosa ne sa. Non è solo il chitarrista dei National e l’autore degli arrangiamenti orchestrali dell’ultimo disco del gruppo I Am Easy to Find. È anche un compositore colto che pubblica per l’etichetta Deutsche Grammophon e interagisce con i più grandi strumentisti al mondo. «Non faccio differenza fra la mia attività con classica e quella col rock. Sono sempre lo stesso musicista».
Bryce Dessner sarà all’Auditorium Parco della Musica il 10 novembre al Romaeuropa Festival con il Minimalist Dream House Quartet, un quartetto messo in piedi con le sorelle Labèque ai pianoforti e il chitarrista David Chalmin. Suonano vecchio e nuovo minimalismo, la corrente che ha rivoluzionato la musica del Novecento: i giganti Steve Reich e Philip Glass, il trentenne di gran talento Timo Andres, gli stessi Chalmin e Dessner (con la prima mondiale di El Chan con chitarra ed elettronica) e Don’t Fear the Light di Thom Yorke dei Radiohead, una prima italiana. «Ho conosciuto Steve Reich a New York, ero poco più che ventenne», racconta Dessner. «È per me un mentore, quasi una figura paterna. Il minimalismo è stato importante per la musica elettronica e il rock, e Steve è uno che parla con cognizione di causa dei Radiohead. Non dovrebbe stupire. I Beatles ascoltavano Stockhausen, Stravinsky amava il jazz, John Cale dei Velvet Underground era in contatto con La Monte Young, i Sonic Youth erano influenzati da Glenn Branca, John Luther Adams era un batterista rock».
Musica scritta e pop si sono sempre parlati, spesso in modo maldestro. Da alcuni anni, però, sta accadendo qualcosa di nuovo. Musicisti rock come Dessner non flirtano con la musica classica come hanno fatto Roger Waters o Paul McCartney. Fanno parte legittimamente e in modo permanente di quel mondo. «Un tempo l’educazione musicale era riservata alle élite. Internet ha democratizzato l’accesso alla musica classica. Le barriere culturali stanno cadendo. Anche il concetto di curatela è sorpassato: oggi puoi scoprire la musica che ti piace da solo e non perché qualcuno l’ha selezionata per te. Se non è un cambiamento questo».
Per gente come Thom Yorke, spiega Dessner, la musica contemporanea offre l’occasione di scrivere cose di grande respiro, imboccare strade diverse, ottenere il silenzio e l’attenzione totale che mancano nei palasport. Anche i compositori classici hanno imparato qualcosa dal rock indipendente. Usano nuovi strumenti, fondano etichette discografiche, organizzano festival. «Nelle sale da concerto, nelle orchestre, persino nelle istituzioni ci si sforza per attirare un nuovo pubblico e rendere la musica classica meno elitaria. Non devi pagare 100 dollari per ascoltare, chessò, un magnifico violoncellista islandese. Non è più una musica ricca e bianca. A Los Angeles e New York, si sentono sempre più spesso compositori d’origine latina e donne. L’estrazione sociale non conta come un tempo. La musica classica non è più un club esclusivo».