Non puoi parlare de LA NIÑA senza parlare di Napoli, sperando, tra qualche tempo, di non poter parlare della musica di Napoli senza citare LA NIÑA. Un legame intrinseco di nascita e formazione, un ritorno alle radici contaminato dalla contemporaneità, un esempio modernissimo di come si possa percepire un’aria artistica internazionale traducendola con gli strumenti della propria terra.
EDEN è il primo EP de LA NIÑA ed esce oggi per Sony Music con un artwork pazzesco e iper-contemporaneo curato da KWSL NINJA e Fresh Rucola. «EDEN è una destinazione e un inizio. È la necessità di liberarmi di esperienze passate, esorcizzandole, sublimandole, cantandole, ballandole. Certi traumi lasciano un grande silenzio dentro di te e l’unico modo per non restarne assordati e liberartene trasformandoli in qualcos’altro», ci racconta quando la raggiungiamo al telefono prima della lezione di canto. L’EP è un lavoro che nella sua brevità esplora territori molto differenti, «un’imprevedibilità piacevole» che mette in mostra una palette sonora ampia e che ci trasporta in quel mondo dell’avant-pop a cui, in Italia, mancava un’esponente di tale livello di preparazione. «Penso che la musica debba esprimere la mia persona», dice. «Ho smesso di spaventarmi di questa mia non-immediatezza».
La napoletanità de LA NIÑA è ovunque in questo progetto, epidermica e ostentata, «il napoletano è una lingua capace di rinnovarsi restando tradizionale. Ha una credibilità unica perché Napoli è una città molto povera e problematica. È un dialetto pazzesco e sfacciato dove il suono va oltre al significato e comunica già quello che la parola in sé andrà a trasmettere. La lingua napoletana è evocativa, violenta, penetrante, in grado di attraversare epoche, pensiamo a ‘O sole mio, una hit mondiale da sempre». LA NIÑA si inserisce in quel filone del nuovo canto napoletano tornato in voga, in maniera differente, nel pop di Liberato e nell’operazione retromaniaca dei Nu Guinea, ma recuperando dalla storia meno recente della città, quella più vicina agli Almamegretta o al pop mega-futuristico che faceva Meg piuttosto che a Liberato.
Quando descrivi LA NIÑA parli di musica come arte e non di un passatempo economizzabile come accade coi più. Un altro livello, ben al di fuori dei canoni a cui ci siamo malamente abituati. Qua siamo finalmente a contatto con un pensiero dell’artisticità totale, tridimensionale, internazionale «Non riesco ad immaginare la mia musica se non con un atto performativo» ed è palese guardando il videoclip di ‘NA COSA SOLA, dove estetica e performance entrano nel mondo delle possibilità inaugurato da progetti immaginifici e magnifici come ARCA e Sevdaliza.
In un’epoca in cui la soluzione è la scorciatoia, LA NIÑA sceglie con determinazione la via più complicata, quella in cui l’artisticità domina (giustamente) sulla fruibilità. «A volte ho dei momenti di sconforto perché so che quello che faccio è difficile, e non pop, ma per me è un atto di onestà. Essere complessi, o poco fruibili, può essere un limite, ma anche una forza», dice. «Questa sono io e non posso violentarmi per fare qualcosa che non mi rappresenta». Questa sicurezza prominente si espande nel complesso universo de LA NIÑA, diventando un’asticella personale in continuo rialzo, «il mio compito è migliorare nel canto, nella performance, avere idee più forti e diventare un’artista migliore. Questo è il dovere dell’artista». Sappiamo quanto sia difficile affermarsi nel pop, in Italia, se si ha un progetto così fuori dagli stilemi. E sappiamo anche quanto non ci sia nulla di più potente di un’artista che ha la lucidità di riconoscere i propri limiti per dedicarsi al perfezionamento costante della propria arte perché aver rispetto della propria arte, della musica, è l’unica cosa che conta davvero. Anche se spesso lo diamo per scontato, dimenticandocene.