L’uscita di The Light in You (Bella Union) l’ottavo disco di Mercury Rev (sì, hanno anche firmato una colonna sonora, Hello Blackbird per Bye Bye Blackbird, il film del regista francese Robinson Savary) e un occasione di scoprire tutto la discografia del gruppo di Buffalo, uno dei più rappresentativi del rock indie nord Americano dagli anni novanta in poi. L’ultimo loro disco risale a 7 anni fa.Deserter’s Songs (1998) è un loro riconosciutissimo classico e uno dei migliori dischi del genere.
Il loro rock psicadelico – dream pop – ha influenzato dai Tame Impala passando per MGMT e altri artisti degli anni 2000. Uno dei fondatori del Mercury Rev, Dave Fridmann, che ha prodotto Low, Tame Impala, MGMT e anche Flaming Lips, di cui Jonathan Donahue cantante del Rev faceva anche parte.
L’unica data in Italia dei Mercury Rev era prevista il 14 novembre al Bronson di Ravenna. Noi c’eravamo. È stato un concerto spettacolare, drammatico e coinvolgente, in grado di portare il pubblico in un stato di trans vicino all’adorazione per il grande ritorno dei Mercury Rev. Il carismatico cantante Jonathan Donahue, il guitarist “Grasshopper” e tutta la band ci hanno guidati nel loro nirvana musicale. Abbiamo intervistato Jonathan Donahue dopo il concerto.
Perché il titolo di questo nuovo disco The Light in You (La luce dentro di te)? Che significa?
La luce dentro di te è questa piccola luce dentro ognuno di noi che sembra accendersi dentro di noi nei moment più bui delle nostre vite. Questa piccola luce che ci guida fuori della foschia mostrandoci la direzione con più chiarezza.
Si ho presente. E ascoltando il disco provo una specie di melancolia gioiosa..
Si c’è una sorta di accettazione della melancolia. Come se fosse pazienza e fiducia nella stessa tristezza. In Deserter’s Songs non c’era certo questa consapevolezza. Lo spazio tra Deserter’s Songs e The Light in You, tutti quei dischi e gli anni trascorsi ci hanno permesso di arrivare a questa maturità.
Non c’era di mezzo una rottura con la band di sette anni fa tra l’ultimo disco e The Light in You vero?
Per niente! Abbiamo fatto il Deserter’s Songs tour, collaborazioni, canzoni. Gli schemi di queste nuove canzoni erano nella mia testa, nel mio subconscio e malgrado volessi provare a dissotterrarle sapevo che sarebbero diventate amare troppo presto. Come un bambino, dovevano nascere quando erano pronte. In questo caso la gestazione del mio subconscio è durata ben sette anni.
Chi scrive il testi del Mercury Rev?
Io ne scrivo la maggior parte e lavoro con Grasshopper (il polistrumentalista è uno dei membri originali della band). Li mettiamo in musica e li suoniamo insieme.
La tematica della natura nei testi dei ultimo album è forte. E perché questa importanza al mondo della natura? Farfale, animali, stagioni, alberi e al mondo onirico, il sogno, dove tutto può vivere?
È nel mio D.N.A. Non e molto rock’n’roll (NDR ride), lo so! Non utilizzavo questo tipo di lessico nei primi dischi, ho iniziato dal terzo e si è rivelato fondamentale. Io vivo nelle montagne sopra New York, le Catskils, sono nato lì. Anche volendo non potrei scrivere canzoni alla Velvet Underground.
C’é una canzone Rainy Day Record che conclude il nuovo album, dentro ce una frase “le farfalle di facebook sbattono le loro ali e all’improviso nasce una band di Brooklyn”. Ce L’avevi con queste band indie?
No, assolutamente. Volevo solo dire che una volta avere una band era più difficile, c’era una resistenza. Dire Punk significava dire qualcosa. C’erano delle difficoltà vere. Mercury Rev non è mai stato un gruppo di tendenza. Per noi non era importante essere fighi.
Però l’influenza del suono del progetto Mercury Rev si sente soprattutto oggi. Il suono di quell tipo di psichedelia intendo…
Sì, e anche noi eravamo influenzati all’inizio dai Dinosaur Jr e dai Sonic Youth. Ora abbiamo voluto solo essere sinceri, tra cento anni preferisco essere ben visto piuttosto che riconosciuto. “Ben visto” è un tipo di commento mi permette di dormire bene la notte.
Un concerto dei Mercury Rev é un’esperienza totale, luce, teatralita, magia: sembra che vi piaccia molto suonare dal vivo..
Sì! Un nostro live è strutturato un come un libro, suddiviso in capitoli. Ogni canzone è legata alla precedente e l’obiettivo è quello di raccontare una storia con una scaletta. Con tutto il rispetto per gli Oasis, nelle band come la loro la scaletta ai loro concerti non determina il risultato finale.
Questo e il primo album prodotto da voi senza Dave Fridmann
Era un questione di logistica. Abbiamo avuto impegni diversi, però l’assenza di Dave ci ha concesso più intimità.
Quando è stata l’ultima volta che avete suonato in Italia, prima di stasera?
Era un concerto tributo a Nico con John Cale e prima di questo, come band, 7 anni fa.. In Italia abbiamo un pubblico molto forte, che ci segue fin dai nostri inizi e quelle band cui non piace suonare in Italia non le capiamo proprio. Ci vediamo presto, torneremo per un altro live potente, che vi trascinerà. Siete pronti?