La storia rocambolesca dell’unico concerto italiano degli Smiths | Rolling Stone Italia
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La storia rocambolesca dell’unico concerto italiano degli Smiths

Le trattative condotte con un telefono a gettoni e con il telex di un ufficio postale, la scheda tecnica sbagliata, i capricci di Morrissey, la fuga da Discoring: ecco come andò nel 1985 al Tendastrisce di Roma

La storia rocambolesca dell’unico concerto italiano degli Smiths

Gli Smiths a Roma nel maggio 1985

Foto: Mario FoB Rosati

Gli Smiths sono amatissimi in Italia, eppure hanno fatto un solo vero concerto nel nostro Paese. L’esibizione del 14 maggio 1985 al Teatro Tendastrisce di Roma è perciò entrata negli annali ed è restata ben saldo nella memoria dei fan. Per sapere come andarono le cose abbiamo fatto una lunga e divertente chiacchierata telefonica con il promoter di quel concerto, Paolo Bedini. La storia che ci ha raccontato è davvero d’altri tempi, piena di dettagli che suonano quasi incredibili, tanto che sembra un miracolo che il concerto abbia avuto luogo.

Che cosa facevi nella primavera del 1985?
Da un paio d’anni circa, come TNT Productions avevo iniziato a portare direttamente in Italia artisti stranieri – in pratica avevo smesso di fare il promoter locale ed ero diventato una specie di promoter-agente, per cui vendevo le date ad alcuni locali, come il Piper di Roma, oppure altri a Milano, lo Slego in Emilia Romagna, Le Macabre in Piemonte. Mi ero creato un mio circuito. La nostra attività era per certi versi pionieristica, perché alcuni degli artisti che portavamo erano sconosciuti, ma poi sono cresciuti molto. Parlo di gente come Nick Cave, Gun Club, Polyrock, Virgin Prunes, Violent Femmes… gli unici un po’ più conosciuti erano Nico, Richard Hell e i Lotus Eaters. Ero considerato uno che faceva gruppi di nicchia, mentre gli Smiths erano una band ai vertici della classifica UK.

So che già nel 1984 avevi tentato di portarli in Italia.
Dovevo fare di necessità virtù e anticipare gli altri, portando in Italia band e artisti appena prima che diventassero famosi. Cercavo di tenermi sempre informato su tutto ciò che c’era in giro di nuovo e ogni tanto si andava a Londra per parlare direttamente con le agenzie con cui lavoravamo. Quando eravamo là, ci proponevano una serie di artisti, magari non i più famosi, ma comunque nomi di un certo livello, e ci davano anche dei dischi promo o ci portavano nei locali. Una delle due agenzie, con cui lavoravo di più, era la All Trade Booking, emanazione della Rough Trade, etichetta degli Smiths. Mi diedero il singolo What Difference Does It Make?. Mi piacque tantissimo, chiesi il parere di giornalisti e gestori di locali e tutti erano d’accordo che la band aveva potenziale. Così provai a portarli in Italia.

E come andarono le cose?
Non ci riuscii perché m’imbattei in due ostacoli: il primo era che girava voce – non so se fosse vero – che dal vivo annaspassero ancora un po’e quindi facevano pochi concerti. Il secondo era che mentre mi muovevo e cercavo di combinare, loro diventavano sempre più famosi, per cui nel giro di poco tempo divennero un nome fuori dalla mia portata. E quindi un anno dopo, nella primavera del 1985 non ci pensavo neppure più a organizzare gli Smiths, però evidentemente l’agenzia si ricordava del mio interesse e sapendo che la band voleva fare pochissimi concerti mirati, ha pensato di propormela.

Foto: Mario FoB Rosati

Ho letto che vennero Roma per volontà di Morrissey che, avendo visto una cartolina della città, chiese espressamente di suonarci: è vero?
Questo è ciò che mi confidò il loro agente, ma non so se fosse vero o meno. Certo è che il concerto fu davvero speciale: loro non erano in tour, non erano in giro, quindi fu un evento unico. Ed è anche difficile, oggi, spiegare quanto sia stato peculiare. Oggi i concerti vengono fissati un anno prima: io mi sono ritrovato a mettere in piedi un live degli Smiths in una settimana.

So che l’aspetto pratico organizzativo fu molto travagliato.
Non c’erano telefonini, e-mail, fax, navigatori. Andare in giro voleva dire cercare i posti sulle cartine. I problemi nascevano quando iniziavi a lavorare professionalmente con l’estero, perché lì il business andava a un’altra velocità. Le agenzie inglesi lavoravano prevalentemente con il telex, che da noi in Italia non era comune: l’avevano solo le grandi aziende e installarlo costava molto. Per cui occorreva appoggiarsi agli uffici postali che mettevano a disposizione un servizio di telex pubblico. Nel mio caso, dato che abitavo a Sarzana, dovevo andare alla Spezia perché l’ufficio postale della mia cittadina non aveva il telex: facevo 20 chilometri in macchina, facevo la coda, davo all’impiegata il testo del mio telex, lei lo spediva. Poi però le risposte non arrivavano subito, quindi dovevi ritornare, fare la coda e ritirare la risposta. Gli impiegati non erano autorizzati a leggerti nulla per telefono. A volte tornavo il giorno dopo e trovavo una risposta che diceva solo: “Stiamo valutando”.

E come sei riuscito a fare tutto in una settimana?
Stavo trattando con l’agenzia un concerto degli Everything but the Girl per un festival a Nettuno. Era un martedì ed ero andato in posta per ritirare un telex. L’agenzia inglese, fra le altre cose, mi chiedeva che se ero ancora interessato a fare gli Smiths, ma solo a Roma e in una data precisa, non negoziabile: il 14 maggio, sette giorni dopo. Iniziai subito la trattativa, che fu anche complicata: dopo un po’ di viaggi fra Sarzana e Spezia, in pratica mi sono accampato sui gradini delle poste della Spezia in Piazza Verdi ad aspettare che arrivassero i telex per rispondere. Siccome non ero in ufficio, avevo il mio bel mucchietto di gettoni telefonici per chiamare i miei collaboratori da un telefono pubblico e chiedere le informazioni che man mano mi servivano. A una certa ora sembrava che la cosa fosse caduta o almeno rinviata al giorno dopo, per cui tornai a casa. Trovai un messaggio in segreteria: era l’impiegata delle poste che mi diceva che c’era un telex importante, per cui era meglio se andavo a prenderlo e mi avrebbe anche aspettato in caso fossi arrivato fuori orario. Andai di corsa: era la conferma del concerto.

Quando arrivò a Roma la band?
La Virgin – l’etichetta che distribuiva gli Smiths in Italia – li aveva piazzati in quella che era la trasmissione musicale di punta all’epoca, Discoring. Il gruppo, quindi, arrivò il giorno prima del concerto proprio per fare questa registrazione in RAI. Ci furono subito problemi perché l’albergo vicino al Pantheon, che avevamo prenotato pensando a lui – dall’agenzia ci avevano detto che amava la storia e i monumenti – non piaceva a Morrissey, che ne chiese un altro. Però, a parte l’albergo, c’era un’altra cosa molto più preoccupante…

Cioè?
Proprio mentre eravamo in RAI, ci accorgemmo che l’agenzia aveva mandato per errore una scheda tecnica con un foglio in più, che riguardava i New Order. Chi gestiva il service, leggendo “New Order”, tradusse in italiano “Nuovo ordine”, pensando che fosse quella la scheda più aggiornata, che annullava i fogli precedenti. Quando ce ne siamo accorti avevamo ancora un pomeriggio e un giorno per rimediare, ma devi sapere che di solito le band giravano con i loro amplificatori, loro no: chiedevano che gli si rimediasse tutto. Oggigiorno una cosa del genere può anche essere normale, ma allora non lo era, anche perché spesso alcune cose erano di difficile reperibilità in Italia e quindi preferivano quasi tutti portarsi il loro backline. Quindi la situazione non era piacevole: dovevamo trovare tutto al volo, anche pagandolo profumatamente. E poi sappiamo quanti concerti ha annullato Morrissey nella sua carriera, anche per motivi meno gravi. Eravamo molto preoccupati.

La scheda tecnica degli Smiths nel 1985. Foto: Paolo Bedini

A Discoring non andò bene…
Le cose stavano andando per le lunghe e a un certo punto vidi che Morrissey parlava con Johnny Marr. Non capii cosa gli disse, ma subito dopo Marr – che in pratica faceva da portavoce, penso di non avere scambiato più di una decina di parole in tutto con Morrissey – venne da me chiedendomi se l’autista che li portava in giro era ancora nei paraggi. Gli dissi di sì e la band si alzò e se ne andò dagli studi RAI senza dire nulla. Ovviamente scoppiò un caso diplomatico fra RAI e Virgin. È comprensibile come, con queste premesse, non fossimo proprio tranquilli.

Insomma, era difficile avere a che fare con loro.
Col senno di poi, devo dire che – anche se all’epoca ci sembrarono un gruppo un po’ viziato con un cantante capriccioso – ci trattarono bene e non si comportarono male, anche se sono certo che loro non ricorderanno il concerto a Roma come memorabile. Durante il soundcheck, vidi Morrissey che confabulava con Johnny Marr. Il mio primo pensiero fu: ecco, adesso salta tutto. Invece era successo che Morrissey aveva visto entrare gli uomini della security del Tendastrisce – che era gestito dalla famiglia Togni, i famosi circensi – e ci fece chiedere da Marr se era possibile non avere quei buttafuori. Preferiva se due di noi facevano quel tipo di servizio. Noi avevamo solo l’autista e un’altra persona, che non avevano certo l’aspetto dei buttafuori, però capimmo che forse il concerto lo avremmo fatto, perché Morrissey disse qualcosa tipo: “Mi fido più di voi”.

Tu cosa ricordi del concerto?
Era una data sold out e andò tutto liscio. È rimasto un concerto in qualche modo storico. In tanti, fra giornalisti e addetti ai lavori, se ne ricordano e lo citano perché gli Smiths erano veramente il gruppo del momento allora. Io non me lo sono goduto, perché ero teso e indaffarato. Credo che, finito di suonare, gli Smiths siano anche rimasti a chiacchierare un po’ col pubblico. Quando tornammo allo Sheraton, Morrissey sparì subito nella sua camera. Marr era con la fidanzata che credo sia poi diventata sua moglie. Quando stavamo per andarcene il batterista e il bassista ci chiamarono dicendo: “Non abbiamo quasi parlato oggi, se vi va beviamo una birra insieme”. Così scambiammo un po’ di chiacchiere, ci chiesero cosa facevamo, fu un gesto molto cortese e amichevole, come una pacca sulla spalla che ti aiuta in qualche modo.

Il contratto per il concerto degli Smiths: portarli a Roma costò 7000 sterline. Foto: Paolo Bedini

Ho visto il contratto che hai stipulato per organizzare la data. Le cifre non sembrano eccessive.
Sì, ho guardato di recente anche io e si parlava di 7000 sterline (nel 1985 erano circa 18 milioni di lire, nda). Per farti un esempio, qualche mese dopo ho fatto i Cocteau Twins e loro costavano 10 mila sterline. Quella degli Smiths era una cifra abbastanza bassa, nonostante fossero già piuttosto famosi. Certo, era una situazione non standard: loro erano con una piccola agenzia, incidevano per Rough Trade, non erano in tour, tutti elementi che hanno reso particolare la faccenda

Come avete fatto per pubblicizzare il live con quei tempi così ristretti?
In pratica sulla stampa l’unica cosa che facemmo fu un piccolo annuncio a pagamento su Repubblica o sul Messaggero, ora non ricordo. Poi ci appoggiamo alle radio. Comunque riempire il posto non fu un problema, ci fu un bel passaparola. Non ricordo la capienza del Tendastrisce, ma comunque potevano esserci 3 o 4000 persone. E se avessimo avuto una location più grande avremmo fatto numeri ancora più alti.

Ti è capitato di lavorare con qualcuno degli Smiths, in seguito?
No, no. Un paio d’anni dopo gli Smiths stavano per fare un tour e dovevano venire anche in Italia, ma non ero io a gestire la cosa. Comunque saltò tutto per problemi di Morrissey, disse che aveva ricevuto delle minacce. Loro come Smiths non vennero mai più in Italia dopo il concerto a Roma tranne che per una registrazione a Sanremo, due anni dopo: li intervistarono e poi fecero qualche pezzo in playback. Tieni anche conto del fatto che per me quel concerto rappresentò un po’ una svolta – non tanto economicamente, quanto a livello di immagine. Non ero più uno di nicchia a quel punto, perché avevo fatto qualcosa che era considerato, da alcuni, importante. Per cui da lì iniziai a gestire cose sempre più grosse. Poi, dai primi anni ’90, sono passato a occuparmi di gruppi italiani: avevo i C.S.I., gli Yo Yo Mundi, più avanti i Baustelle. Non mi sono più interessato professionalmente agli artisti stranieri, non c’è stata più occasione di incontrarli.

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