Billie Eilish è sul fondo di una piscina, un enorme peso piazzato sulle spalle la tiene sott’acqua. Non si sta esattamente divertendo. «È come se mi fossi sottoposta a waterboarding per sei ore di fila», mi dirà poi. «Se faccio una cosa e non soffro, non mi sembra di farla bene».
Indossa pantaloni neri larghi sotto un paio di calzoncini, camicia in tessuto tecnico a maniche lunghe, cravatta a righe, scaldabraccia, vari anelli d’argento, un braccialetto tempestato di pietre. S’immerge ripetutamente per due minuti alla volta. William Drumm la fotografa mentre trattiene il respiro e scompare. Durante i 120 secondi sott’acqua tiene gli occhi spalancati senza occhiali protettivi o tappi per il naso.
Siamo su un set a Santa Clarita, California, in un pomeriggio di febbraio freddo e piovoso. Attorno a Eilish gira un team di quasi 40 persone. Ci sono una stylist, i membri del suo management e gli addetti al catering e c’è chi l’aiuta con la maschera d’ossigeno che usa tra un’immersione e l’altra. Uno di loro le grida di fare ancora tre respiri prima di immergersi di nuovo. La madre Maggie Baird siede nervosamente sul bordo della piscina e guarda la figlia sottoporsi al tipo di sforzo che affrontano i subacquei.
Il motivo di tutta questa sofferenza? Eilish sta scattando delle foto per la copertina del terzo album Hit Me Hard and Soft che uscirà il 17 maggio. «Sono disposta ad affrontare l’inferno per uno scatto», mi dice. «Sono sempre stata così e continuerò a esserlo. Molte delle mie opere visive sono dolorose dal punto di vista fisico e io le adoro. Vivo per questo».
Meno di 48 ore fa, What Was I Made For?, la hit delicata e allo stesso tempo devastante tratta dalla colonna sonora di Barbie, ha vinto il Grammy come canzone dell’anno. Dopo la cerimonia, Eilish è rimasta sveglia tutta la notte, è crollata alle 7:30 del mattino e ha dormito fino all’una, ha mangiato un avocado toast, s’è tinta i capelli di nero coprendo la ricrescita rossa in vista del servizio fotografico di oggi.
Eilish viene da uno strano periodo. What Was I Made For? è andata molto meglio di quanto ci si aspettasse e negli ultimi mesi c’è stata una premiazione dietro l’altra, ma vuole sparire per un po’, almeno fino all’uscita dell’album. «Bro, non si stancano mai di me», mi dice. «Ogni secondo di ogni giorno è Barbie, Barbie, Barbie, Barbie, Barbie, Barbie: è fantastico, ma appena perdo agli Oscar me ne vado via, cazzo. Scappo, ma davvero».
No che non ha perso: il 10 marzo ha ritirato sul palco del Dolby Theater il premio per la migliore canzone originale (lo stesso che aveva vinto nel 2022 per No Time to Die, dall’ultimo film di James Bond), diventando così la più giovane vincitrice di due Oscar nella storia. «Ieri sera ho fatto un incubo», ha detto al pubblico. «Non pensavo che sarebbe accaduto. Non me l’aspettavo. Mi sento incredibilmente fortunata e onorata».
È da un po’ che Eilish vive momenti surreali come questo. È diventata un fenomeno globale a soli 17 anni con When We All Fall Asleep, Where Do We Go?, il debutto ormai classico del 2019 in cui ha messo a nudo la propria psiche fragile e le più intime insicurezze. Ci ha trascinati nel suo universo cupo, un regno in cui dai suoi occhi blu sgorgava inchiostro nero, dalla bocca le uscivano ragni e le crescevano enormi ali piumate per planare dal cielo.
Hit Me Hard and Soft ci riporta a quell’universo, dai più profondi abissi di depressione all’esaurimento che deriva dal fatto che il mondo mette in discussione ogni sua mossa. Niente aracnidi questa volta, ma il contatto col suo lato oscuro fa sì che Eilish si senta finalmente e nuovamente se stessa. «Sento che quest’album mi rappresenta. La protagonista non è un personaggio. È la versione When We All Fall Asleep, Where Do We Go? di me. Racconta la mia giovinezza e chi ero da bambina».
Il 2019 le è sembrato un anno folle, ma si è poi accorta che le mancava. «È stato il periodo più bello della mia vita. È come se stessi tornando a essere la ragazza che ero. L’ho pianta come se fosse morta. L’ho cercata in ogni cosa, ed è quasi come se fosse affogata, colpa del mondo e dei media. Neanche ricordo più quando se n’è andata».
Probabilmente è stato nel 2020, agli albori del Covid. «Passavo così tanto tempo da sola che non riuscivo più a percepirmi in modo oggettivo. Mi sono tinta i capelli di biondo e subito ho pensato: oh, non ho idea di chi sono». In quei mesi confusi di isolamento ha registrato il secondo album Happier Than Ever. Quelle canzoni introspettive e tendenti al jazz hanno ricevuto recensioni entusiastiche, così come gli abiti glamour e la nuova acconciatura. Mancava però il genio brillante di When We All Fall Asleep e Finneas, il fratello e più stretto collaboratore, ricorda quel periodo come difficile e confuso: «In un certo qual modo, è stato un po’ come rinchiudersi in un rifugio anti-tornado a leggere una storia rassicurante. Quell’album ha rappresentato un meccanismo di difesa».
Eilish non si pente, ha dovuto provare a fare qualcosa che la portasse fuori della sua comfort zone, per tornare a essere ciò che era prima. «Hit Me Hard and Soft è un ritorno, in molti sensi», dice Finneas. «Lì dentro ci sono dei fantasmi veri e lo dico con affetto. Nel disco ci sono idee che risalgono a cinque anni fa, ha una storia, la qual cosa mi piace molto. Quando Billie parla dell’epoca di When We All Fall Asleep, si riferisce a quella teatralità, all’oscurità. Qual è la cosa che nessuno sa fare bene come Billie? In quest’album c’è quello che sappiamo fare meglio».
Oltre ai momenti in cui si sperimentano nuove sonorità (da un quartetto d’archi a una scintillante trance da dancefloor), l’immersione in quell’oscurità fa di Hit Me Hard and Soft il miglior album di Eilish. Le è piaciuto cantare a pieni polmoni nella title track di Happier Than Ever, ma qui lo fa al 100% in diverse canzoni, mettendo finalmente a tacere tutte le critiche patetiche del tipo «sa solo sussurrare».
«È giovanissima, eppure conosce l’arte della narrazione», dice Donald Glover, che ha scritturato Eilish per la serie Swarm, che segna il debutto della musicista come attrice. «Ed è autentica. Sento che vive come vuole».
Dopo sei ore passate in acqua, l’album ha finalmente una copertina. Al termine dello shooting, Eilish passa 20 minuti di fila a soffiarsi il naso nella sua roulotte. «Usciva solo moccio bianco, manco avessi le interiora fatte di poltiglia bianca», mi dirà poi. Va a casa dei genitori, si sdraia sul divano, scopre che riesce a malapena a camminare. Il peso le ha lasciato dei lividi, le fa male la gola, fatica a parlare. Cerca di alleviare il dolore ai seni nasali con un risciacquo. Si lava i capelli due volte. Si fa una maschera per il viso e si lava le orecchie prima con l’acqua ossigenata, poi con l’alcol e infine con l’acqua calda. Infine, mangia del cibo piccante.
«Tutti mi dicevano: dovresti andare a casa e farti un bel bagno. E io rispondevo che cazzo, ero stata in acqua per sei ore». Il bagno lo fa comunque, ma non prima di aver notato qualcosa di strano nel giardino dei genitori. «Ho visto delle file di luci, ognuna aveva una sfera circolare attorno, tipo un’aura. Mi sentivo fatta e ubriaca, non dormivo da giorni. Ho chiesto: “Mamma, cosa ti sembrano? Le vedi?”. E lei: “Ma di che diavolo parli?”».
Va a letto e dorme per nove ore, un tempo insolitamente lungo per lei, tanto che Maggie vuole quasi entrare in camera per assicurarsi che stia bene. «Non ho mai sofferto così tanto dopo uno shooting», dice Billie. «Non ho mai sofferto così tanto in vita mia. Tutto per una foto. È come un parto. Sono state 12 ore di dolore atroce e straziante per dare vita alla copertina di un grande album. Capisci quel che voglio dire?».
L’acqua era la paura più grande di Eilish quand’era bambina. Ha ricordi traumatici, dall’istruttore di nuoto che la spinge sott’acqua per farle imparare a nuotare alla volta in cui è stata risucchiata dalle onde dell’oceano ed è stata salvata da un bagnino. Ha sempre trovato il coraggio di tornare in acqua, ma per anni la sola idea di nuotare le faceva venire la tachicardia. E non parliamo delle balene. «Oh, Dio mio», esclama, «come si può accettare l’esistenza delle balene? Sono enormi. E i rumori che fanno… Quella roba mi terrorizza. È spaventoso».
Sono passati due giorni dallo shooting per la copertina dell’album e a Los Angeles non ha mai smesso di piovere. Io e Eilish siamo nello studio di Finneas, nella sua casa di Los Feliz. Siamo sedute su poltrone color pesca di fronte una console blu cristallino. Eilish afferra la tastiera dalla scrivania del fratello e dice che non ha mai «imparato a scrivere perché non appartengo a quella generazione, e ora me ne pento. Ad essere onesti, i miei genitori non mi hanno mai insegnato». Poi apre YouTube per mostrarmi i video di animali che hanno influenzato l’album. «Cosa?!», grida. «Finneas non ha un cazzo di abbonamento Premium?».
Non riesce a trovare il video che sta cercando, ma le sue descrizioni bastano: creature marine luminose e farfalle di un blu così profondo da sembrare nere. E proprio il blu è il colore l’ha ispirata durante la realizzazione dell’album.
«Fra tutti i colori, è quello che preferisco di meno ed è interessante questa cosa. Può sembrare stupido dato che per anni mi sono tinta i capelli di blu, ma non li volevo così, è stato un incidente, qualcuno ha messo troppo colore e improvvisamente i capelli sono diventati color lavanda. Ho continuato a tingerli e sono diventata la ragazza dai capelli blu, ma lo odiavo. Ho cercato per mesi di togliere il colore, il risultato sono questi capelli turchesi. Poi negli ultimi anni ho iniziato a pensare: aspetta, forse il blu rappresenta quel che sono davvero, nel profondo».
Il titolo Hit Me Hard and Soft è nato mentre Eilish stava parlando con Finneas e scherzando ha chiamato Logic Pro col nome Hit Me Hard and Soft. «Ho pensato che fosse una perfetta sintesi di ciò che fa questo album», spiega Eilish. «So che è una richiesta impossibile, come si può ricevere un colpo duro e delicato allo stesso tempo? Non si può. Sono una persona piuttosto estrema e mi piace vivere esperienze fisicamente intense, ma allo stesso tempo amo la dolcezza. Voglio due cose contemporaneamente. Così ho pensato che questa definizione impossibile fosse un buon modo per descrivere me e la mia musica».
Ora Eilish ha i capelli legati, si vedono gli orecchini a forma di dollaro coi diamanti incastonati. È vestita interamente di nero, compresa la maglietta con la scritta “Nessuno muore vergine, la vita ci fotte tutti”. Quando si muove sulla sedia, il suo nuovo tatuaggio – caotiche linee nere che corrono lungo la spina dorsale – sbuca da sotto la maglietta. Mi dirà poi che è contenta di essersi fatta quel tatuaggio. «Mi ha salvata in un certo senso. Essendo sulla colonna vertebrale, sono stata costretta a stare senza maglietta per tutto il giorno, nuda senza reggiseno. Alla fine mi sono abituata e mi sono sentita a mio agio col mio corpo».
Alla sua sinistra c’è un pianoforte Petrof. Sopra c’è un appunto del 2021: “Ciao, sono Billie Eilish e questa settimana sarò ospite come musicista al Saturday Night Live”. Nello studio ci sono pile di sintetizzatori, un Sequential Prophet XL a un vintage Memorymoog, una rastrelliera di chitarre elettriche e acustiche e un grammofono Columbia in condizioni apparentemente perfette vicino a un divano di velluto color terracotta. Accanto alla porta c’è un’edizione limitata della Xbox griffata Gucci. E per finire ci sono le pareti del bagno: completamente ricoperte dai dischi di platino che ha fatto con la sorella.
Finneas ha chiamato il suo studio Astronave, in spagnolo. È preoccupato che suoni «goffo e pretenzioso», lo rassicuro dicendogli che è affascinante. È perfetto a guardarsi attorno: una banana di plastica, shaker arancioni e contenitori per l’incenso a forma di uovo. In mezzo a tutta questa roba c’è una copia di Alta fedeltà di Nick Hornby e una di In Search of Mycotopia, Citizen Science, Fungi Fanatics and the Untapped Potential of Mushrooms di Doug Bierend. Finneas ha costruito l’Astronave nel 2019, dopo aver lasciato la casa di Highland Park in cui viveva coi genitori e che è diventata famosa grazie al documentario di R.J. Cutler Billie Eilish: The World’s a Little Blurry. Anche se vivere in posti diversi avrebbe potuto allontanare i fratelli e rendere più difficile fare musica, la distanza ha migliorato il loro rapporto.
«A casa non facevo che pensare: ma davvero dovremmo lavorare?», dice Finneas. «Dovevo dirle di venire nella mia stanza a scrivere una canzone, ma così non potevo giocare ai videogame o chiamare la mia ragazza su Facetime. Adesso questi pensieri non ci sono più. Se viene qui, lo fa per la musica. Poi se non siamo ispirati andiamo a giocare a pickleball».
Shark, il pitbull grigio salvato da Eilish, gironzola dietro di lei scuotendo la coda. Domani compierà 4 anni e Billie ha intenzione di festeggiare con una gita. Ma per ora se ne sta qui, in attesa di essere preso in braccio dalla assistente della cantante. «So che hai avuto il giorno più noioso della tua vita».
Al momento Shark non può stare a casa di Billie per via di un incidente avvenuto stamattina. Stava preparando un frullato, le è caduta la tazza e si è frantumata sul pavimento, i frammenti si sono sparsi in tre stanze. Andava fiera del suo frullato – fragola, mirtillo, ananas e yogurt magro – che avrebbe accompagnato due salsicce Beyond Meat (è cresciuta da vegetariana ed è vegana da tempo).
(Piccola digressione: la tazza che si è rotta era un regalo dell’amica Hailey Bieber. «Non mi stupirebbe se l’anima di Billie fosse già stata qui», mi dice Bieber. «È quel che provo per lei. Di artiste come lei ne nascono una a generazione, è una cosa speciale e rara. Continuerò a ballare la sua musica quando avrò 50 o 60 anni»).
Shark fa un cameo nel disco – lo si sentire respirare e scuotere il collare in una delle tracce – ma non è l’unico ospite: Hit Me Hard and Soft vede la partecipazione di altre cinque persone oltre ai fratelli O’Connell. Hanno reclutato il batterista che suona con loro dal vivo, Andrew Marshall, ed è presente l’Attacca Quartet che Finneas ha conosciuto mentre lavorava alla colonna sonora della serie Apple TV+ di Alfonso Cuarón Disclaimer. Gli archi del quartetto sono il filo conduttore di Hit Me Hard and Soft, un elemento intenso ma delicato che lega le 10 tracce.
«Sono di nuovo la ragazza del 2019, l’ho pianta come se fosse morta, uccisa dai media»
Finneas si unisce alla chiacchierata, prendendo posto sul divano accanto a un cuscino arcobaleno di Takashi Murakami. Sto per ascoltare l’album e mi fanno sapere con nonchalance che sono una delle prime persone che lo sente. Finora l’hanno ascoltato solo il team di Interscope e due amici di Eilish. Fra una settimana lo invieranno per il missaggio e la masterizzazione e hanno quindi intenzione di prendere appunti. «Tu ti godrai il disco, o almeno spero, e noi staremo qui a fare smorfie, prendendo appunti su quel che potremmo migliorare», scherza Finneas.
Eilish e Finneas definiscono Hit Me Hard and Soft un «album-ass album». Non è un concept, ma una raccolta di canzoni coese in modo consapevole, ispirate a opere d’autore degli ultimi 15 anni circa come Viva La Vida dei Coldplay, Born to Die di Lana Del Rey, Goblin di Tyler, the Creator, Electra Heart di Marina and the Diamonds, Big Fish Theory di Vince Staples. «Quanto mi piace calarmi nell’universo descritto da un album», dice Finneas, «ascoltare un lavoro coerente da cima a fondo. È molto meglio che ascoltare una singola canzone, anche se bella. Nell’arco di album del genere puoi cucinare tutta la cena».
Faccio notare che l’ascolto di un album come forma d’arte non è più tanto diffusa al giorno d’oggi, la maggior parte dei ragazzi ascolta le canzoni una alla volta. O, come dice Finneas, nemmeno un brano intero: «Non siamo nemmeno più a “canzone”, siamo al singolo verso di una strofa che è esplosa su TikTok. Guardiamo per lo più contenuti che sono stati creati un’ora fa da una persona che ti dice quel che pensa su una cosa successa un’ora fa». Secondo lui però l’ascolto alla vecchia maniera sta per tornare in auge, un po’ com’è successo al cinema l’anno scorso col fenomeno Barbenheimer. «Ogni cosa è un contro-movimento rispetto a un movimento. Penso che immergersi in un album tornerà di moda, ne sono straconvinto».
Ecco perché Eilish non pubblicherà alcun singolo tratto da Hit Me Hard and Soft. «Non mi piacciono i singoli degli album», dice. «Sono incline a detestare gli artisti che amo e che pubblicano un singolo senza il contesto dell’album. Le cose fuori contesto non mi piacciono. Quest’album è come una famiglia: non voglio che un bambino si trovi da solo in mezzo alla stanza».
La musica parte e capisco che Eilish ha ragione. Il brano di apertura, di cui ho accettato di non rivelare il titolo, suona come una canzone gemella di What Was I Made For?. Eilish ha detto che lei e Finneas hanno sperimentato il blocco dello scrittore prima di arrivare alla canzone di Barbie. Non ha mai detto prima però che il brano di apertura dell’album è nato prima della hit ed è stato il catalizzatore per scriverla. Ha la stessa fragilità di What Was I Made For?, con la voce sussurrata di Eilish su una splendida melodia, ma il testo è ancora più devastante: Eilish affronta l’idea errata secondo cui perdendo peso si diventa più felici.
Subito dopo c’è Lunch ed è diversissima sia nel sound che nel contenuto. È un pezzo sexy e pieno di bassi in cui Eilish si prende una cotta così forte per una ragazza da paragonare il sesso con lei a divorare un pasto. Quando Finneas lo ha fatto ascoltare in Interscope i discografici erano nervosetti. «La cosa divertente è che la prima canzone è una falsa promessa. Ti ricorda What Was I Made For? e quindi pensi: ah sì, capisco questo mondo. Poi arriva la batteria di Lunch e cambia tutto. È come assassinare la protagonista. È Drew Barrymore che appare all’inizio di Scream, ma muore dopo cinque minuti. Ti viene da pensare che no, non possono uccidere Drew. Oh, mio Dio, hanno ammazzato Drew!».
Un paio di settimane dopo, io e Eilish portiamo Shark a fare una breve passeggiata. Incontriamo un’anziana signora che sta ritirando la posta e che lancia un’occhiata all’abbigliamento di Eilish, ovvero pantaloni della tuta neri con impressa la forma di uno scheletro, una maglietta di Biggie Smalls e un paio di scarpe da skate nere, una collaborazione tra Osiris e Fuck the Population. «Mi piace il tuo costume di Halloween!», dice ad Eilish. La pop star la ringrazia e ride di brutto mentre andiamo oltre. «Dannazione», dice Eilish, «m’ha beccata!».
Nonostante la security e un pit bull, Eilish ha vissuto brutte esperienze, tra cui stalker che si sono intrufolati a casa sua. Shark sa come difenderla, anche se prende farmaci anti-ansia come trazodone e Reconcile. «Solo perché è ansioso non significa che non potrebbe mangiarti la faccia se mi entri in casa». È il lato negativo della fama, l’aspetto che le persone non famose raramente considerano. Dico ad Eilish che mi dispiace molto per lei. Sembra roba da film horror.
«Grazie, amica», risponde ridacchiando. «Diciamo che all’inizio non ti avvisano che può succedere. Sono accadute cose spaventose, un paio di volte sono stata in serio pericolo. Tutto questo fa parte della mia vita, una grande parte. Ci devo convivere. Anche sapendolo però, non so, mi fa incazzare. Non è bello sapere che non puoi nemmeno stare in pace a casa tua».
Eilish sta cercando di uscire più spesso. È un modo per ritrovare se stessa, per ritrovare la Billie dell’era di When We All Fall Asleep. La sta inseguendo, la chiama affettuosamente «la me del 2019». È frutto anche di quel che è successo la scorsa estate, quando ha avuto una crisi depressiva «spaventosamente reale». Mi mostrerà più tardi una pagina di diario dove sono annotate due righe in maiuscolo: «So di essere fortunata, ma sono infelice».
«È stato molto più reale delle altre volte. Non sono mai stata una persona felice fino in fondo. Ho provato gioia, ma mai felicità. Mi diverto, ma di fondo sono depressa. Ho sofferto di depressione per tutta la vita. Quando succedono cose mi aggrappo al pensiero che passeranno, che va a momenti, prima peggiora e poi migliora. Mi ha sempre dato conforto. Questa volta invece è diverso: non m’importa, non voglio nemmeno che migliori».
Eilish attribuisce a Maggie, al padre Patrick, a Finneas e a Zoe Donahoe, sua migliore amica fin dall’infanzia, il merito di averla mantenuta a galla durante questo periodo. Ha capito una cosa: doveva uscire di più. «Ho toccato il fondo. A un certo punto mi sono detta: oh mio Dio, sono sette anni che non mi diverto. Veramente. Avevo l’illusione di essermi divertita, del resto chi può dire di essere andata ai Grammy a 17 anni e averne vinti cinque? Della vita, però, non avevo sperimentato quasi nulla. Non sono uscita per cinque anni. Come avrei potuto?».
Ha deciso di iniziare da cose piccole, per la precisione dal supermercato. Un anno fa è andata da Lassens, una catena di alimentari naturali a Los Angeles in cui non entrava da quand’era bambina. È andata da Erewhon, il market delle celebrità a Silver Lake. È andata al concerto dei Turnstile. È andata da Target, da CVS, in alcuni negozi di seconda mano. È andata alle feste. È andata a prendere il gelato con Donahoe ed è entrata invece di aspettare in auto come fa di solito. Giusto l’altra sera è andata a una reading con Mustafa the Poet (era in ritardo ed è arrivata alla fine, ma diciamo che conta).
«Ho provato gioia, ma mai felicità. Mi diverto, ma di fondo sono depressa»
«Ho paura per un cazzo di buon motivo. Ho paura delle persone, ho paura del mondo. Per una come me è tutto spaventoso, non c’è altro modo di dirlo. E, anche le volte che non lo è, sei comunque sotto i riflettori, sei vulnerabile, e scrutata, e filmata, e così via. Sapendolo, ho scelto di fare la cosa che mi spaventa di più. Sto affrontando la paura e sto semplicemente esistendo nel mondo, per una volta».
«Ne abbiamo parlato, sono contenta per lei», dice la sua amica Hailey Bieber. «Non riesco a identificarmi fino in fondo con lei o con Justin, sai, io ho avuto una giovinezza normale, ho fatto cose che loro non saranno mai in grado di fare. E invece tutti, specialmente le ragazze, dovrebbero avere l’opportunità di vivere gli altri e i bassi della vita senza sentirsi costantemente analizzate, senza che qualcuno abbia sempre qualcosa da dire a riguardo. È un gran peccato per Billie, ma la ammiro per avere il coraggio di esporsi e voler vivere da ventiduenne».
Sia Eilish che Finneas sono stati colpiti da quel che John Mayer ha detto loro nel 2019, quando la fama di Eilish cominciava a travolgerla: «Ora vi sembra che sarà così per sempre, ma passerà. Dovete capirlo fino in fondo, perché quando la tempesta si sarà calmata, la gente non si comporterà come se avessero davanti il Bigfoot». Sono parole che hanno colpito Eilish, che prima pensava: «Sarà così per sempre, ovunque vada le persone mi guarderanno come se avessero visto un fantasma».
Per Eilish, la profezia di Mayer non si è ancora completamente avverata, ma spera che lo shock di vederla in pubblico diminuirà quanto più uscirà. «Se lo faccio nel modo giusto, posso esistere», dice. Finneas usa Trader Joe’s come esempio: «Se ci vai quattro volte, qualcuno dirà “Oh, mio Dio, conosco quella persona”. E lo diranno al loro amico e l’amico dirà: “Sì, sono sempre qui”. Ti normalizzi, che è il modo giusto di esistere».
«Non credo che le persone capiscano, non c’è modo che possano capire», dice un’altra amica di Eilish, Zoë Kravitz. «Hai la sensazione di avere tutti gli occhi addosso, devi farci i conti, salutare manco fossi il presidente o al contrario fingere di non accorgertene. Beh, è un enorme spreco di energia. Molti artisti arrivano a pensare: “Preferirei non uscire. Oggi faccio schifo, preferisco rinunciare a una passeggiata anche se fuori c’è bel tempo”. Sono tanti piccoli momenti che ti vengono sottratti».
Un’altra cosa la spingeva a non mostrarsi: non uscendo, poteva rimanere un enigma. «Era una cosa a cui tenevo, ero ossessionata dal mistero, credo che sia questo al 100% il motivo per cui non mi sono fatta alcun amico. Non volevo che qualcuno mi conoscesse, volevo che tutti mi vedessero come una persona misteriosa e cool. Ero innamorata di quest’idea. Poi mi sono detta: eccoti qua da sola nella stanza, innamorata della sensazione che tutti pensino che tu sia cool, ma in realtà non ne stai traendo alcunché di buono, non ti stai godendo la vita, ma per niente».
Quella che descrive come una crisi esistenziale è arrivata al ventesimo compleanno. «Mi sono guardata attorno e ogni singolo invitato era un mio dipendente. Lì mi sono accorta che non avevo letteralmente amici. Non avevo persone che mi vedessero come una di loro, alla pari. Non avevo vicino persone che non avessero paura di me». Non riusciva a rispecchiarsi nelle canzoni che facevano riferimento all’amicizia come With a Little Help From My Friends dei Beatles o Smile di Lily Allen, anzi ascoltarle la faceva sentire male.
In quel periodo, Kravitz chiedeva spesso a Eilish di uscire, ma lei cancellava l’impegno all’ultimo. Alla fine le ha detto le cose come stavano. «Quando mi chiedeva perché non volevo uscire con lei, le rispondevo: “Perché saprai chi sono e lo trovo terrificante, non sarei più la persona che reputi cool. E se non ti piacessi?”. Ero ossessionata dall’idea di essere un’anomalia, di essere il personaggio Billie Eilish. Comunque, da allora ho abbandonato quell’idea e ho cominciato a uscire con la gente. Se mi conoscono, va bene. Ci ho fatto pace».
«Siamo entrambe Sagittario, quindi capisco perfettamente questa volubilità, perché anche io posso essere così», dice Kravitz. «Le ho detto di smetterla, tipo, di superare questa fase. Da allora siamo diventate ottime amiche. Ed è successo il contrario di quello che pensava lei: più la conosco, più mi piace».
Di tutte le cose “normali” che Eilish ha fatto di recente, ne spicca una: è andata da Chipotle, come documentato su Instagram con un selfie scattato con due dipendenti. «Non è stato carino?» dice. «Sono entrata e loro stupiti mi han chiesto: “Perché sei qui?”. “Perché mi piace e voglio mangiare”. “Ma potresti mangiare qualunque cibo. Potresti avere il miglior cibo al mondo. Non hai qualcuno che cucina?”. “No, non sono così snob. E poi, accidenti, Chipotle è una bomba”».
Non essere snob è importante. Odia l’idea che una persona ricca come lei debba avere uno chef personale. «Non possiamo farci tipo un toast al formaggio da soli?» scherza. Possiede una Porsche elettrica, ma non ha l’autista. Non va in vacanza molto spesso («La vacanza è una fregatura»). E certamente non ha un jet privato. Quindi qual è la cosa più snob di Billie Eilish? Si ferma a pensare per un minuto. «La cosa più snob che ho…», le sue labbra si piegano in un sorriso, «sono i soldi».
«Non avevo amici perché volevo che tutti mi vedessero come una persona misteriosa e cool»
Eilish è sempre stata una persona attiva. Ama fare esercizio fisico – a volte in modo ossessivo – e di recente ha ripreso a ballare, che era il suo principale sfogo prima di infortunarsi a un’anca a 13 anni.
Le chiedo cosa le piace fare per rilassarsi. «Sesso», risponde. «Parlo di sesso ogni volta che posso. È letteralmente il mio argomento preferito. La mia esperienza in quanto donna è che è visto in modo strano. Le persone si sentono a disagio a parlarne, e si sentono strane quando sentono donne a loro agio con la sessualità che ne parlano. Non è ben visto parlarne e questa cosa dovrebbe cambiare. Mi hai chiesto cosa faccio per rilassarmi? Il sesso può salvarti. Non posso che consigliarlo».
Eilish vorrebbe anche dire qualcosa riguardo alla masturbazione, che afferma essere un altro tabù per le donne. Soddisfare sé stessa, dice, l’ha resa più sicura di sé. «Darsi piacere è una parte enorme, enorme della mia vita, e un grande, grande aiuto. La gente dovrebbe masturbarsi. Non posso sottolinearlo abbastanza da persona che ha avuto gravi problemi di immagine corporea e dismorfia per tutta una vita».
A Eilish piace masturbarsi di fronte allo specchio. «Un po’ perché è sexy, un po’ perché crea una connessione col mio corpo, un amore per il corpo che non ho mai avuto. Devo ammetterlo, aiuta guardarsi allo specchio e pensare: sono bella. Puoi far sì di essere bella, abbassi le luci, metti un certo outfit, ti piazzi in una certa posizione che ti rende giustizia. Ho imparato che guardarmi mentre mi do piacere mi aiuta ad amarmi e accettarmi. Mi dà forza, mi fa sentire a mio agio».
Eilish voleva parlarmene e adesso che ha buttato tutto fuori, espira, si appoggia sul divano e esclama: «Dovrebbero darmi un dottorato in masturbazione».
Parliamo a lungo della nuova era che sta per inaugurare, e di come promuoverà Hit Me Hard and Soft dando priorità alla sua salute mentale, alla privacy, al benessere. Mi chiedo perciò se sia pronta a rispondere alle domande dei giornalisti riguardo al tema dell’album, in particolare per la natura sessuale di Lunch. «Quella canzone è stata effettivamente parte di ciò che mi ha reso chi sono, ad essere sincera. Ho scritto una parte prima di fare qualsiasi cosa con una ragazza e poi ho scritto il resto. Amo le ragazze da una vita, ma l’ho capito fino in fondo solo l’anno scorso quando ho compreso che volevo mettere la faccia in una vagina. Non avevo mai pianificato di parlare della mia sessualità, mai in un milione di anni. È frustrante che sia venuta fuori».
Eilish si riferisce all’intervista con Variety dello scorso autunno in cui ha menzionato di essere attratta dalle donne. La citazione – «Sono sul serio attratta dalle donne» – è diventata un titolone. Il mese dopo, Eilish ha partecipato all’evento Hitmakers di Variety a Los Angeles. Sul tappeto rosso le è stato chiesto se aveva intenzionalmente fatto coming out nell’articolo. «No, non l’ho fatto», ha risposto. «Ma in qualche modo pensavo: non era ovvio?». Eilish ha poi scritto su Instagram: «Grazie Variety per il premio e per avermi fatto outing sul tappeto rosso alle 11 del mattino invece di parlare di qualsiasi altra cosa. Mi piacciono ragazzi e ragazze, lasciatemi in pace per favore, a chi importa».
Guardando indietro, Eilish ammette di aver reagito eccessivamente con quel post. «A chi cazzo importa? Tutto il mondo improvvisamente ha deciso chi ero e non ho potuto dire nulla o controllare nulla. Nessuno dovrebbe essere costretto a essere una cosa o l’altra, e penso che ci sia un sacco di voglia di etichettare tutto. Conosco persone che non avevano idea della propria sessualità o non si sentivano a proprio agio con essa fino ai 40, 50, 60 anni. Ci vuole un po’ per scoprire chi sei e penso che sia ingiusto il modo in cui internet ti costringe a parlare di chi sei e cosa sei».
Per quanto riguarda la frase arrivata sulle prime pagine dei giornali, Eilish dice di aver cercato di pensare a una risposta che sarebbe stata divertente per i fan e per internet. «Sono entrata in modalità intervista di Billie Eilish: “Oh, non mi importa. Sì, lo dico comunque. Non era ovvio?”. Solo dopo ho pensato: “Aspetta, un attimo, non era ovvio per me”». Ripensandoci ora, cerca di trarre una lezione da quel che è successo. «Tutti hanno pensato questo di me per anni, ma lo sto capendo solo adesso. Quello che ho detto era divertente perché stavo ripetendo quel che tutti avevano già detto». Aggiunge che le piaceva la giornalista con cui stava parlando e non voleva essere scortese. Ma si è sentita comunque sfruttata.
Se Eilish avesse l’opportunità di ripetere la scena sul tappeto rosso, non risponderebbe alla domanda. Sa però che sarebbe potuto andare peggio. «Ho la fortuna d’essere in un periodo in cui posso dire certe cose e tutto continua ad andare bene. Ma non va così per tutti».
Mi richiama due giorni dopo l’intervista. È in giro per Los Angeles in auto e non riesce a togliersi di dosso l’impressione di avermi detto troppo. Ride quando le dico che sono nel reparto pelletteria di Saks Fifth Avenue a New York a fare shopping con mia suocera. Ci diamo appuntamento per la settimana dopo.
Tornata a L.A., mi accoglie in un altro studio. Non è una che ama lavorare in sale d’incisione convenzionali, però le piace frequentarle. Indossa una maglietta dell’energy drink Monster che le arriva alle anche (dice che è del fashion designer newyorchese Willy Chavarria). Ci accomodiamo su un divano in regia, illuminate da una luce blu.
Mi ringrazia per la nuova chiacchierata. «Mi sono esposta troppo. Lo faccio in modo compulsivo, è come se avessi il bisogno di raccontare ogni piccolo dettaglio della mia vita. Ero così quand’ho iniziato. Non me ne fregava un cazzo e quindi dicevo di tutto».
Parlare con me, dice, è stato terapeutico. Era la prima intervista non connessa alla colonna sonora di Barbie che faceva da un anno a questa parte e non vedeva l’ora di parlare della sua nuova musica. La cosa, però, l’ha spinta a pensare a quanta parte di sé e della propria arte è disposta a condividere.
«Mi hanno costretta ad avere pensieri del genere. Dopo che sono stata trattata in un certo modo, m’è presa l’ansia per quel che dico. È sfiancante sapere che qualunque cosa tu dica diventerà un titolo preso fuori dal contesto. Questa cosa mi manda in paranoia».
E quindi desidera fare alcune precisazioni. La prima: non ha alcun interesse a essere considerata un simbolo di salute mentale. «So bene che è un tema importante e che stiamo parlando di un’epidemia di cui bisogna parlare, ma non voglio essere un cazzo di modello di ruolo per la depressione. Che succede poi quando faccio qualcosa che alla gente non piace?».
Se deve ispirare qualcuno, preferisce farlo sul fronte della difesa dell’ambiente. Ha preso posizione sulla crisi climatica e ha proposto pratiche sostenibili in tour in associazione con la non-profit della madre che si chiama Support + Feed e mira a contrastare il cambiamento climatico e promuovere un’alimentazione a base vegetale. «Non mi è mai, proprio mai interessato essere un modello di ruolo. Se proprio devo esserlo, che sia sul fronte dell’ambiente e della consapevolezza di come viviamo e dell’impatto ambientale che abbiamo».
Eilish ha deciso di cambiare il modo in cui si presenta al mondo. «Considero questo disco una ripartenza, in questo senso». E quindi, riecco a voi Billie Eilish, la bohémienne che ci ha conquistati da adolescente e che ora ha 22 anni, ma ha la consapevolezza di una persona del doppio della sua età. Vorrebbe un po’ di spazio per crescere, per capire esattamente chi è, senza che le si appiccichino addosso delle etichette. Non è il simbolo di un bel niente. E non è, tiene a precisare, una conferenziera da TED Talk. E quindi cos’è? Eilish lo riassume in quattro semplici parole dentro cui sta tutto il suo desiderio d’essere normale e d’essere accettata: «Sono solo una ragazza».
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Foto: Aidan Zamiri
Direzione foto: Emma Reeves
Direzione video: Kimberly Aleah
Styling: Spencer Singer.
Producer: Object & Animal, Emi Stewart, Alex Brinkman
Produttore esecutivi: Reese Layton
Produttori creativi: Jami Arceo, Evan Thicke
Sartoria: Anna Telcs
Hair: Benjamin Mohapi per Benjamin Salon
Make-up: Emily Check presso The Wall Group
Manicure: Erin Moffat presso Art Department
Production designer: Grace Surnow
Leadman: Kevin Lopez
Coordinatore degli stunt: Sara Bejo
Stunt Utility: Nathan Kayn
Eco Set Representative: Maya El-Hage
Medico sul set: Jose Tony Bautista
Object & Animal Production assistance: Danielle Darling, Ben Nakhuda, Izzy Strauss, Isaac Friendenberg
Tecnico digitale: Caleb Shane
Assistenza alla fotografia: Andres Castillo, Saúl Barrera
Styling assistance: Jemma Fong, Ray Braggart
Set Dressers: Evelyn Jimenez, Leo Johnson, T. Marsh
Da Rolling Stone US.