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La vita segreta di John Entwistle degli Who

«Mio padre non era un santo, ma era un tipo a posto», spiega il figlio Christopher in occasione dell’uscita della biografia autorizzata ‘The Ox’

Foto: Tom Hill/WireImage/Getty Images

L’inglese Paul Reese aveva appena cominciato a lavorare al libro The Ox: The Authorized Biography of John Entwistle, quando Christopher Entwistle, figlio del defunto bassista degli Who, gli ha dato accesso illimitato al vasto archivio del padre. «Erano anni che nessuno ci entrava. Abbiamo dovuto usare un sbloccante per aprire la serratura».

All’interno hanno trovato una valigetta in pelle piena di fogli sciolti e di quaderni A4. Era la bozza di un’autobiografia che il bassista aveva iniziato a scrivere nel 1990 e non aveva neanche lontanamente finito. Pochissimi al di fuori della famiglia avevano letto quelle pagine. «C’erano quattro capitoli finiti scritti al computer», spiega Rees. «I quaderni che scriveva a mano, perché non voleva batterli a macchina, erano pieni di storie risalenti a vari periodi della sua vita. Erano divertenti, intelligenti, piene di dettagli. Era un po’ come sentire la sua voce».

L’idea di scrivere un libro su Entwistle è venuta a Rees pressappoco cinque anni fa, dopo aver partecipato a un festival letterario a Manchester dedicato a chi scrive di musica. Al bar dell’hotel un collega gli ha raccontato storie pazzesche su quando andò a far visita a Entwistle a Quarwood, la villa vittoriana del bassista nel Gloucestershire. «Il suo set up per il basso era montato in soggiorno. Quell’aneddoto mi ha fatto capire che Entwistle è stato una delle ultime grandi rock star. Ha incarnato il tipo profilo della rock star degli anni ’70, dal modo in cui ha vissuto al modo a quello in cui è morto».

Per prima cosa, Rees ha contattato Christopher Entwistle per un articolo in due parti dedicato al padre pubblicato dal mensile Classic Rock. «Ha fatto intravedere com’era papà, ma c’era molto altro da dire», spiega Christopher. «Rees è tonato qualche mese dopo per chiedermi se poteva scrivere il libro. Vista la resa dell’articolo, io e mamma abbiamo pensato che era una buona idea».

L’idea era fin dal principio raccontare la storia vera e non ‘pettinata’ di Entwistle. Il che significava ovviamente parlare del lavoro innovativo svolto con gli Who, con i quali il musicista ha scritto classici come My Wife e Boris the Spider, e ha influenzato quasi tutti i bassisti che sono venuti dopo di lui. Ma significava anche raccontare in modo approfondito la sua vita personale decisamente disordinata, segnata dall’uso di alcol e droga, feste senza fine, spese folli, infedeltà cronica e menefreghismo per lo stato di salute personale.

Gli autori che scrivono libri in collaborazione degli eredi di solito si tengono lontani da questi temi. «E invece Christopher ha detto fin dall’inizio che il ritratto del padre doveva essere accurato», dice Rees. «Significava raccontarlo com’era, nel bene e nel male. Mi ha spiegato che mi avrebbe chiesto di cambiare solo le cose che sapeva di per certo che non erano vere».

«Mio padre non era un santo», spiega Christopher, «ma era un tizio a posto. Non volevo che il libro fosse banale. Non volevo che lo si dipingesse in tono entusiasta. Volevo che fosse la sua storia, quella vera».

Christopher ha chiesto alla madre e alle persone che avevano conosciuto il padre di collaborare con Rees. Quest’ultimo gli ha inviato le trascrizioni delle interviste, un po’ per seguire i progressi del libro, un po’ per saperne di più sul padre. «Quest’esperienza mi ha aperto gli occhi e a tratti è stato doloroso», racconta Christopher. «Alcune delle sue diciamo così imprese non erano come le immaginavo. Credo che non me ne abbia mai parlato perché, beh, ero suo figlio».

Le rivelazioni più forti riguardano il rapporto con le donne. «Sapevo che era sessualmente molto disinvolto», dice Christopher. «Stava con mia madre dall’età di 14 anni ed è passato da quella a un’altra relazione e a un’altra ancora. E così in vita sua ha avuto solo tre relazioni stabili, ma ha fatto sesso con un bel po’ di donne, non era l’uomo più fedele al mondo. All’epoca lo sapevo, ma non immaginavo con quante donne fosse andato».

Leggere le trascrizioni ha aiutato Rees a distinguere fatti e fantasie. «Qualcuno ha detto di aver consolato mio padre dopo che gli è era stata rubata la nave di cristallo che teneva in salotto», dice Christopher. «Non appena ho letto quella frase mi sono guardato intorno: la nave era al suo posto sul caminetto. Le persone dicono di essere state in certi luoghi e oi si scopre che quattro testimoni le smentiscono».

I primi capitoli sono stati i più semplici da assemblare perché molte informazioni venivano direttamente dagli scritti di John per l’autobiografia mai terminata. Rees ne cita vari passaggii, tra cui quello a proposito del concerto a Blackpool nel 1964 in cui gli Who aprirono per i Beatles. A causa delle urla dei fan era impossibile ascoltare cosa diceva la band, tranne gli Who che ascoltavano il mix direttamente dal camerino.

«Morivamo dal ridere ascoltando quello che stavano cantando, nessun altro sentiva le parole», ha scritto Entwistle. «”It’s been a hard day’s rock…”, “I wanna hold your cunt…”. Sono scappati subito dopo l’ultimo accordo. A noi toccava mettere via gli strumenti da soli».

Gli altri membri degli Who sono personaggi importanti del libro, ma Pete Townshend e Roger Daltrey non hanno concesso interviste all’autore. «Ho lasciato un messaggio a Roger e il suo team, ma non ho ricevuto alcuna risposta», dice Rees. «All’epoca stava lavorando al suo libro, ovviamente. Per quanto riguarda Pete, ho scambiato qualche messaggio con la sua assistente, ci siamo sentiti due o tre volte. È stato uno scambio educato, ma mi hanno detto che Pete non aveva niente di nuovo da dire su John. Durante le mie ricerche sono arrivato alla stessa conclusione».

«Non erano grandi amici», spiega Christopher. «Frequentavano papà solo in un posto: il palco. Lavoravano a meraviglia insieme, ma non sono mai stati amicono. Beh, lo erano all’inizio e a scuola. Col tempo sono diventati persone completamente diverse. Non andavano molto d’accordo fuori dal lavoro».

Quel “lavoro” è finito nel giugno 2002, un giorno prima dell’inizio del tour americano degli Who. Quando hanno trovato Entwistle morto nella sua camera d’albergo, la band doveva suonare a Los Angeles. Secondo Christopher, al contrario di quanto dicono le ricostruzioni, John aveva superato una visita medica pre-tour ed era stato autorizzato a partire. La visita, però, non è stata sufficientemente accurata. «Si sarebbero accorti del problema con un elettrocardiogramma, ma non l’hanno fatto. Abbiamo scoperto tutto dopo la morte».

Christopher non ha ancora visto un concerto degli Who dopo la morte del padre («È orribile pensare che ci sia un’altra persona in quel lato del palco»), ma non si è offeso quando Pete Townshend ha detto che “ringraziava dio” per l’assenza di Entwistle e Keith Moon, perché suonare con loro era davvero difficile.

«Quella frase è stata completamente esagerata», dice Christopher. «Quello che ha detto davvero è che non dovendo scrivere per qualcun altro poteva fare quel che voleva. Non l’ha detto molto bene, ma non è un problema. Non provo alcuna inimicizia nei suoi confronti, ha fatto un commento che è stato usato da chi voleva farlo a pezzi».

Rees, invece, pensa che dopo la morte di John gli Who non sono più stati gli stessi. «Anche chi lavora con loro da anni mi ha detto: “Questi non sono i veri Who. Sono Pete e Roger che suonano le loro canzoni, ma non sono gli Who”. Le grandi band sono tali grazie al lavoro di tutti gli elementi. Non puoi togliere una parte fondamentale e pensare che tutto resti uguale».

La vita di Entwistle è stata racconta in misura decisamente minore rispetto a quella dei tre compagni di band. Nessuno aveva scritto un vero libro su di lui. «Non ha avuto quel che merita», dice Rees. «La gente deve capire la sua grandezza, speriamo di avergli reso giustizia».

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