L’addio di Bugo: «Ritirarsi non è una sconfitta, ma una vittoria» | Rolling Stone Italia
L’ultima gratta

L’addio di Bugo: «Ritirarsi non è una sconfitta, ma una vittoria»

Il 1° aprile (non è uno scherzo) farà il suo ultimo concerto. Poi basta dischi e live. In questa intervista dice che «la musica non è più una parte importante della mia vita», elogia il cambiamento, spiega perché non farà mai pace con Morgan. «A Sanremo sono morto un po’, stavolta muoio davvero. Curioso di sapere cosa diranno di me dopo il decesso»

Foto press

C’era una volta un ragazzo, nei primi anni del 2000, che veniva definito fantautore. Una scheggia impazzita dell’indie che suonando in modo sgangherato faceva cantare i ragazzi di noia, sogni spezzati e rivoluzioni domestiche. Poi sono arrivati la maturità, una major, i dischi nei quali ha sperimentato dall’elettronica al cantautorato pop, il matrimonio con la sua attuale compagna, un figlio (ora ne ha due) e il periodo lontano dall’Italia, a Nuova Delhi, dove si è cimentato nell’arte concettuale. Il ritorno alla discografia ha coinciso con il ritorno in classifica, le mille collaborazioni e il fatidico Sanremo 2020 delle “brutte intenzioni, la maleducazione”.

C’era una volta Bugo. E adesso non c’è più. O meglio, ci sarà ancora l’1 aprile al concerto del ritiro all’Alcatraz di Milano. E poi? “Mi sono rotto i coglioni… ma per fortuna che ci sono io” non è solo il titolo dell’ultimo concerto, ma lo slogan di un musicista che ha deciso di togliersi dal “gioco” prima che il “gioco” lo trasformi nell’ombra di se stesso. Lo ha detto anche in una audio-lettera indirizzata ai fan: «Non posso continuare, non ce la faccio più, non voglio prendervi in giro». E ha specificato che le ragioni sono molteplici: dalla monotonia al non voler invecchiare il palco, dalla «anomalia delle visualizzazioni come certificato di qualità» a essere diventati «vittime degli algoritmi», fino al «rifiuto dell’arretramento creativo» e al voler lasciare di sé «il ricordo migliore».

Così il suo addio alla musica arriva con una festa, l’ultima, benché in una data che può apparire come uno sberleffo. Sembra un pesce d’aprile, ma non lo è. «Non vedo l’ora che sia finita», ci spiega in questa lunga intervista con una leggerezza spiazzante. Se uno si rompe le palle a fare qualcosa, dice, perché deve continuare? E ci rivela da quanto tempo meditava questa scelta, perché non farà mai pace con Morgan, in che modo l’ha comunicato in famiglia, quale futuro si aspetta («non ho un altro lavoro e non mando curriculum») e perché non vuole ragionare come gli hater sui social.

Cristian Bugatti, questo il suo vero nome, 52 anni ad agosto, si racconta senza nostalgia e rimpianti. Ma con la voglia incosciente di partecipare al proprio funerale artistico e vedere l’effetto che fa. Con la consapevolezza, forse un po’ troppo severa, di non aver cambiato il mondo con le sue canzoni («la mia musica mi sembra tutta una cagata»). Una chiacchierata piena di provocazioni, voli pindarici, discese ardite e risalite, dove ritroviamo il Bugo delle origini. Ma se è lo stesso Bugo a non riconoscersi più, chi siamo noi per giudicarlo?

L’ultima volta che lo abbiamo incontrato era a marzo dell’anno scorso: capelli ingrigiti, barba non curata, volto scavato, sguardo malinconico e infagottato in una tuta color cenere che ne accentuava l’aspetto dimesso. Ora, invece, lo ritroviamo con una zazzera in testa sale e pepe arruffata, un sorriso smagliante in volto, fresco di rasatura, gli occhi vispi e con indosso un “chiodo” di pelle in perfetto stile cantautore rock. Si aggira nella stanza camminando freneticamente, come se avesse fretta di dire tutto quello che gli passa per la testa in vista di mille imminenti impegni. Eppure, quello che ci troviamo di fronte, è un artista che ha annunciato il ritiro dalle scene. Uno strano cortocircuito, che analizzeremo insieme a lui, che parte subito con una provocazione come nei bei tempi andati: «Oh Rolling Stone, fate i bravi altrimenti stavolta mi incazzo. Siete peggio degli interisti!».

Allora è meglio che non ti dica per quale squadra tifo…
Adesso lo voglio sapere.

Milan.
Allora siamo nella merda tutti e due.

Prendiamola larga: ma questa Juventus?
Adesso vive un momento di transizione, c’è troppa confusione tra dirigenza, problemi giudiziari, problemi economici seri, e quindi secondo me queste cosa creano instabilità. Si capisce anche dagli acquisti. Arrivano quattro giocatori, giocano una partita e poi spariscono per altre tre. Si dà sempre la colpa all’allenatore, ma chiunque ha bisogno di tempo. La squadra vive un periodo complicato che un po’ dovevamo aspettarcelo. Non si può esultare e avere facili entusiasmi, ma nemmeno buttarsi troppo giù se usciamo dalla Coppa Italia. Abbiamo perso con l’Empoli, è vero, abbiamo giocato male e il calcio è fatto di episodi.

Questo momento di transizione è anche quello che stai attraversando tu?
No, è una chiusura. A 50 anni vivo un momento di transizione nella mia vita, ma per altre ragioni. Musicalmente non sono più in transizione. La mia carriera è iniziata nel 2000, il periodo di cambiamento è negli anni Zero e poi c’è stata la coda finale dal 2017-18 in poi.

Quante menate che mi faccio

Quando hai preso questa decisione hai pensato ai tuoi fan, a chi ti segue dal 2000 e anche a chi si è appassionato successivamente, che potrebbe rimanerci male?
Lo immaginavo ed effettivamente qualcuno ci è rimasto male. Devo dirti che mi ha fatto piacere, perché i miei fan mi vogliono bene. Mi hanno scritto tantissimi ragazzi da quando ho annunciato il ritiro e sto ricevendo un’ondata di affetto incredibile. Qualcuno è pure incazzato. Ho letto dei commenti del tipo: «Ci lasci soli!». Ragazzi, ma non è che vi lascio soli, c’è sempre la mia musica. Qualcuno mi ha pure detto che non verrà all’ultimo concerto. E io lo incoraggio: «Dai cazzo, almeno all’ultimo». Però li capisco. Devo dire che questa mia decisione ha smosso tanto affetto. Non dico che non me lo aspettassi, ma di solito non do per scontati i rapporti con le persone. Faccio dischi da tanti anni, se ti piace la mia musica bene, se non ti piace amen. Io amo Bob Dylan, ma non tutti i dischi di Bob Dylan.

Anche Dylan ha cambiato stile, venendo spesso criticato.
Se vuoi ne parliamo per un’ora, così ci fate il titolo: “Bugo si sente Bob Dylan”. Comunque per me lui è un mito. In tutte le scelte che ha fatto mi sono rispecchiato. Non voglio fare paragoni, anche perché abbiamo stili differenti e io al suo confronto non valgo niente, ma è un artista importantissimo per la mia carriera. Indirettamente lo sentivo vicino. L’ho ascoltato così tanto che è inevitabile. Forse qualche similitudine la abbiamo, però mi fermo qui.

Sei stato un padre per la scena indie italiana?
Me lo hanno detto in tanti. La definizione che mi ha sempre dato un po’ fastidio è quella di maestro, ma perché io ho fatto musica per me, per raccontare quello che vivevo io. Poi se altre persone o artisti hanno apprezzato, sia prima che con l’ultimo disco, benissimo. Dall’inizio mi hanno etichettato come pioniere, ma cercavo di fregarmene. Perché la vanità è pericolosa per un artista, che rischia di sentirsi troppo importante. Invece gli artisti sono tutti delle merde. Non bisogna dimenticarlo, perché dobbiamo imparare e non sentirci arrivati.

Bugo - Io Mi Rompo I Coglioni (Video Ufficiale)

In un’epoca dove nessuno lascia niente, tu dici: «Mi sono rotto i coglioni». E lo fai, almeno apparentemente, con gioia e organizzando una festa. Coraggio o incoscienza?
La verità è che non vedo l’ora che sia finita. Sentivo questa necessità da tanti anni e adesso me la sono chiarita in testa. Non credo di essere coraggioso, non dovrei dirlo io, forse sono troppo incosciente. Nella mia carriera ho sempre fatto scelte particolari, cambiando di disco in disco, e anche andare a Sanremo è stata una scelta incosciente per molti miei fan. Ma a me piace l’avventura, fare scelte che divertano in primo luogo me. Non è coraggio, mi piace farlo, mi stimola, mi piace essere insicuro. Non volevo neanche più rilasciare interviste.

Cosa ti ha fatto cambiare idea?
Che i fan continuano a scrivermi per chiedermi i motivi di questa scelta. Allora ho deciso di farle per rispondere una buona volta a tutto. In questo momento della mia vita mi va di fare questa scelta e mi auguro che le persone la prendano per l’onestà di quello che voglio essere.

Tra l’altro il titolo del concerto è doppio: “Mi sono rotto i coglioni… ma per fortuna che ci sono io”. Cita due tue canzoni. La seconda, che è anche il titolo dell’ultimo disco, può essere interpretata con un essersi ritrovato a livello umano, personale, al di là della sfera pubblica?
Non abbiamo scelto quel titolo in modo troppo egoriferito. Sono due canzoni che, dall’inizio alla fine, racchiudevano la mia carriera. E poi mi piaceva l’accostamento, nel senso: non smettiamo mai di credere nelle nostre idee. Penso che valga per tutti. Cambiare lavoro, cambiare prospettive nella tua esistenza. Magari tra due mesi anche tu ti rompi le palle di scrivere per Rolling Stone e vai a fare l’imbianchino. Non ci sarebbe niente di male. Sono scelte che ti fanno pensare: alla fine, oh, per fortuna che io ci sono ancora. Mi auguro che sia un messaggio per tanti altri: se ti sei rotto le palle di quello che fai, prova a cambiare.

Non sempre è così facile cambiare, no?
Non è facile per niente. Neanche per me. Ho 50 anni, ho famiglia, non posso permettermi dal 2 aprile di stare sul divano e guardare le partite di calcio della Juve tutto il giorno. Non ho già un lavoro pronto. Non mando curriculum in giro. Non apro un locale, troppo sbattimento. Una squadra di calcio, anche se sono uno che segue, sarebbe da sborone. Voglio vedere cosa mi riserva il futuro. Mi reinventerò. Mi piace l’arte visiva, chissà. Per ora faccio il concerto, chiudo tutto e poi, con questo brivido che sento, vedrò. Però proviamoci, crediamoci. Viviamo in un mondo dove si delegittima il prossimo. A me non piace essere stronzo con gli altri. I giovani si sentono fighi a fare i bulli sui social. Invece non è quello il vero valore della vita. Se avessi un altro lavoro lo direi. Invece sono pronto a rinegoziare tutto. Il fatto di ritirarmi mi rimette in gioco. Voglio capire cosa la vita mi riserverà.

Bugo - Casalingo (Video Ufficiale)

In questo sei in linea con Lucio Corsi, che dopo il secondo posto a Sanremo, ha detto che suo padre gli ha insegnato che non bisogna puntare a tagliare un traguardo, ma delle linee di partenza. E ha aggiunto: «Si può trovare il modo di essere felici con delle ripartenze, non per forza degli arrivi».
Non farmi dire che Lucio Corsi ha preso esempio da me, altrimenti poi dicono che me la tiro. Non lo conosco personalmente, però mi piace come cantautore, così come Brunori Sas che conosco da tanti anni. A Sanremo mi sono piaciuti anche Francesca Michielin e Fedez.

Che tu abbia apprezzato Fedez posso dire che non me lo aspettavo?
Per come ha cantato il pezzo mi è piaciuto molto. Non è il mio genere, ma ho empatizzato.

Dopo tanta pressione, dovuta anche ai social, di raggiungere risultati e numeri, nell’ultimo Sanremo abbiamo visto Olly che rinuncia all’Eurovision, Lucio Corsi fuori dalle logiche mainstream e Brunori che non ha mai flirtato con il successo. Può essere interpretata come una nuova ondata anti-sistema?
Non credo. Ma non perché sono sfiduciato, ma perché la percepisco come una bella fiammata. Purtroppo le tendenze mondiali sono diverse. Sono contento che sia successo, però sono anche indifferente da queste logiche. Mi auguro che Lucio, Dario (Brunori, nda) e Olly abbiamo una carriera a prescindere da Sanremo. Può essere difficile sopportare quello che sta capitando loro. Lucio è molto seguito, parlano tutti di lui, deve stare attento che non gli si ritorca contro. C’è il rischio di diventare antipatico con troppa fama. Spero solo che non si faccia troppo coinvolgere. Un’ondata anti-sistema non la vedo, ma spero di sbagliarmi.

E dopo il ritiro, la musica che posto avrà nella tua vita?
Ho due figli che suonano, quindi sarò al loro fianco. E continuerò ad ascoltare musica nuova, come già faccio ogni giorno. Sono sempre attaccato a Spotify e continuo ad ascoltare dischi. Se mi verrà voglia di scrivere una canzone lo farò, ma senza pubblicarla.

Perché non pubblicarla?
Non sono più obbligato. Non è più mia intenzione, in questo momento, continuare a far parte di questa scena musicale. Una scelta che mi ha posto degli interrogativi: cosa vuol dire essere un artista, solo pubblicare? Se non pubblichi non lo sei? Te lo dice uno che ha pubblicato un disco ogni due anni, per cui sono stato molto presente. Per il momento non è così importante.

Bugo - C'è Crisi (Video Ufficiale)

Ma il tuo sogno da bambino era diventare un musicista?
No, no… I miei genitori non avevano propensioni artistiche. Mio papà è un commerciante di metalli, mia madre casalinga. Non guardavamo neanche tanto la tv. E neppure Sanremo. Mia sorella, che ha due anni in meno di me, da piccola aveva una chitarra, però a me non me ne fregava nulla di quello strumento. A 12 anni la guardavo ed ero indifferente. Forse perché allora preferivo lo sport. Gli artisti mi sembravano gente un po’ scema. Ci sono arrivato dopo alla musica, quando nel mio paese dei ragazzi hanno messo in piedi un gruppo. Un po’ per caso ci sono entrato e solo verso i 19-20 anni mi sono accorto che poteva essere una strada. In realtà da piccolo il mio sogno era guidare gli aerei da caccia. Ci avevo anche provato.

Come mai non ci sei riuscito?
Alle medie mi sono informato all’Accademia militare e ho scoperto che uno dei requisiti, per diventare un pilota di caccia, è di avere una dentatura perfetta. Io a 12 anni avevo già perso un dente, quindi è stato un deterrente. Mi sono reso conto che era un volo pindarico. In realtà, devo ammetterlo, non ho mai saputo cosa volessi fare davvero della mia vita.

Invece quando hai cominciato con la musica, quando hai capito che era la strada giusta?
Subito! Il mio primo strumento è stata la batteria, non la chitarra. A quella band del mio paese mancava il batterista, quindi l’ho fatto per due anni. Poi mi ha salvato il militare, perché lì non potevo suonare la batteria e qualcuno mi consigliò la chitarra. Vuoi la lontananza dalla mia ragazza, vuoi che ero un po’ triste, tutte quelle emozioni mi hanno fatto emergere un po’ di blues e quando sono tornato, nel ’94, ho cominciato a scrivere. In quel momento mi è sembrato tutto già deciso. Ero sicuro che sarei arrivato da qualche parte. Perché mi piaceva, mi divertiva, mi gasava, mi faceva sentire sicuro di me e stavo bene.

Visto che prima hai citato Bob Dylan, allora ti cito io anche Elvis Presley per la sua esperienza durante il servizio militare.
Eh vabbè, minchia! Anche Jovanotti ha fatto il militare… Questo è un altro titolo per l’intervista: “Sono diventato Bugo grazie al servizio militare, come Elvis”.

Sarà la noia che si sviluppa in certe situazioni?
Per me la noia è tutto. Che non è la monotonia. Ho scritto Io mi rompo i coglioni, la noia è importantissima. Infatti per me mollare la musica è anche un modo per dire: basta, queste canzonette hanno rotto il cazzo. Mi prendo tempo per annoiarmi e vediamo cosa succede.

Bugo - I Miei Occhi Vedono

Ma come farai a trasformare un addio in una festa il 1° aprile all’Alcatraz?
Ci saranno delle novità. Non sarà un live standard, altrimenti mi annoierei. È strutturato in modo da essere qualcosa di unico. Non durerà tre ore, questo è sicuro, perché odio i concerti troppo lunghi. Però voglio raccontare un po’ della mia storia. Non sarà neanche di un’ora. Poi dipenderà dal pubblico, non solo da me. Se loro hanno voglia di divertirsi, ce l’avrò anch’io. Anzi, ti dirò di più. Anche chi non mi conosce o a chi faccio cagare, se viene, si divertirà.

Certo che scegliere il 1° aprile fa venire il dubbio che sia uno scherzo.
No, il destino ha voluto che fosse utile quella data. Ho 50 anni, può sembrare assurdo che mi ritiri. Ma più c’è confusione e più mi diverto. Ti dico questa frase che mi gira nella testa da quando ho preso la decisione e l’ho rubata a Prince…

Dopo Dylan e Elvis un altro nome da nulla…
Eh, ma a me piacciono i grandi, non seguo i mediocri. Lui ha detto: «Non capite come sono? Per fortuna». Neanche io devo spiegare troppo. C’è la mia musica e ci sono le mie scelte.

La tua, oltre agli aspetti personali, sembra anche un dito medio all’omologazione.
L’omologazione c’è sempre stata, anche negli anni ’90. Negli anni ’60 non c’erano solo i Beatles e i Rolling Stones, c’era in classifica un sacco di musica di merda. Quella plastificata, che prima chiamavano bubblegum music, c’era anche prima. C’è anche adesso, ma chi se ne frega. C’è anche un sacco di musica figa in giro e quella merita di essere ascoltata.

Foto press

Leggendo la presentazione dell’ultimo live ho notato quello che sembra un rimosso. Non so se voluto o casuale. Lo riporto testualmente: «Bugo ha partecipato come concorrente nella categoria big al Festival di Sanremo nell’edizione 2020 e sempre nel 2020 ha pubblicato l’album Cristian Bugatti». E Morgan, la squalifica, le conseguenze?
No no, non c’è nessun rimosso. È stato riportato tutto in modo sintetico. Va bene che voi di Rolling Stone cercate il titolo, ma io sono fiero di quel Sanremo. Poi c’è stato un incidente catastrofico. Parlandone proprio con te, ho detto che quella sera ero morto. Ma la mia decisione di ritirarmi non dipende da quella sera, lo avevo già deciso. Però non posso dirti che mi ha ridato la voglia di continuare. Lo ripeto: quella sera una parte di me è morta.

Hai mai riguardato quelle immagini in seguito, oppure hai preferito non farlo?
Non c’era bisogno che le riguardassi, erano dappertutto. Anche nei Sanremo successivi hanno continuamente riproposto in tutte le salse Bugo e Morgan. Certo che le ho riviste.

Hai mai pensato che avresti potuto comportarti in modo diverso?
Assolutamente no. Non volevo comportarmi in modo diverso. Per me è stata una liberazione, un gesto spontaneo. Sono stato fortunato ad aver scritto quella canzone, ad aver scelto Morgan per partecipare, anche se c’era una lista di altri nomi. Ho scelto lui ed è andata così. La mia risposta qual è stata? Puoi essere libero. Ero contento che mi avessero squalificato. Io non volevo tornare. Un momento doloroso di cui vado fiero, però non mi ha portato gioia. Sui social in particolare, mi ha fatto subire una delegittimazione incredibile. Ma tanto lo fanno con tutti. Come dicevo prima, più fai lo stronzo con l’altro e più sei figo.

Arriverà mai un tempo per fare pace con Morgan?
Non c’è bisogno di fare pace… Allora, visto che sei milanista e quindi dovresti starmi un po’ sul cazzo, mi rivolgo ai vostri lettori: caro Rolling Stone, che mi fai ’ste domande di merda, che necessità ci sarebbe di fare pace? Non siamo fratelli come Liam e Noel Gallagher. Lui ha fatto qualcosa di imperdonabile, ma io sono in pace con me stesso. Non siamo obbligati a perdonare. Dove sta scritto? Se uno ti ha violentato, prima o poi, lo devi perdonare?

È un retaggio cattolico? La croce che porti al collo mi ha fatto pensare…
Lascia stare, questa è una cosa mia personale e dovrei nasconderla. Ma non è quello. Perdonare è sbagliato. Non va fatto sempre. Che cazzo devo perdonare uno che mi ha distrutto una canzone e portato alla delegittimazione pubblica? Se un uomo violenta una donna, poi quella donna deve perdonarlo? Per me non dovrebbe mai farlo. Se uno è un coglione, lo rimarrà sempre. Invece la pace servirebbe soltanto a voi per fare il titolo.

Come disse lo scrittore Andrea G. Pinketts, non sono per il perdono, ma per la vendetta immediata?
L’ho conosciuto, grande Pinketts. Ma io non sono per la vendetta, lo sai che non ho parlato per un lungo periodo perché c’era la pandemia. Sarebbe stato ridicolo parlarne mentre la gente moriva. Non c’era bisogno di vendetta, perché quella gente lì si autoelimina. Tutti questi fenomeni, e vorrei fare tanti altri nomi ma li sappiamo, si distruggono da soli. Il tempo parlerà per me. Io sono sempre stato trasparente con tutti. La vendetta è da perdenti.

BUGO - PER FORTUNA CHE CI SONO IO (OFFICIAL VIDEO)

Per tornare al calcio, Bugo che si ritira anzitempo che parallelismo ricorda?
Mi sento Michel Platini. In questi anni, avendo preso questa decisione, confesso di essermi andato a leggere anche come si sono ritirati altri artisti o sciolte altre band. Ho studiato e ti rendi conto che spesso si lascia perché cambiano talmente tante cose intorno a te e dentro di te che, anche se non riesci a spiegartelo, ti viene naturale. La musica, come il calcio per Platini, non è più una parte importante della mia vita. Le mie canzoni mi sembrano tutte delle cagate. E come Michel si sarà stufato di fare sempre i soliti gol e assist, anch’io mi sono stufato di fare sempre le solite canzonette. Un insieme di cose mi ha portato a pensare che lasciare mi farà stare meglio. Credo che anche Platini abbia continuato a giocare a calcio con gli amici, come io potrò suonare ancora con i miei amici, però è più forte di me il desiderio di dire basta, di mettere la parola fine. Stavolta non è come se morissi, muoio davvero e sono anche curioso di sapere cosa la gente, i giornalisti, i social, diranno di me dopo il decesso.

Si potrebbe andare tutti quanti al tuo funerale… e vedere di nascosto l’effetto che fa, cantava Enzo Jannacci.
Sì, mi stimola molto di più del dire che sto facendo un disco nuovo. Con il pubblico bisogna essere onesti. Non si può sempre fingere che fino a 70 anni ti stai divertendo a pubblicare dischi, mentre invece gli ultimi dieci non avevi nessuna voglia di farli. Io vedo spesso le interviste ai cantanti e sembra che non abbiano alcuna intenzione di presentarli. Lo fanno perché devono, le canzoni fanno cagare e non vogliono riconoscerlo. E lanciano questi messaggi alle persone? Gli artisti dovrebbero lasciare messaggi pazzeschi, non cavolate.

In famiglia come hanno preso questa tua decisione?
Non sono uno di molte parole. Amo fare le interviste, sono un chiacchierone, però con gli amici e in famiglia non ho bisogno di spiegare troppo. Si intuisce, c’è un sottinteso sacro, che non ha a che fare con la religione, che è vissuto con serenità. I miei figli, mia moglie e i miei genitori l’hanno presa così. Mio papà ieri me l’ha chiesto.

Come glielo hai spiegato?
Gli ho risposto: «Che cazzo ti devo dire? Te lo ripetevo da cinque anni e adesso ci siamo arrivati». Era stupito: «Non ci posso credere». Siccome mio padre ama Hendrix, gli ho ricordato che negli ultimi mesi Jimi fece delle interviste dove dichiarò che stava pensando di lasciare. Partecipò a un concerto in estate, prima di morire a settembre, dove litigò con il manager e disse che si era rotto il cazzo di fare musica in quel modo. Così come se uno va a rileggere le ultime interviste di Jim Morrison, anche lui si era stufato, tanto che passò allo scrivere poesie. Il ritirarsi può essere una nuova forma di energia. Quindi, a mio papà e a tutti gli altri in famiglia, ho fatto capire che mica muoio per davvero, però sto morendo artisticamente. E voglio che loro siano contenti, perché io sono felice di lasciare la musica.

E tuo padre cosa ti ha risposto?
Che se anche Hendrix voleva mollare, allora va bene. Non bisogna vederla come una cosa triste. Ritirarmi è per me una vittoria. Continuare sarebbe una sconfitta.

Leggi altro